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J.R. Taylor, Introduzione all'analisi degli errori, Zanichelli Editore. • C. Mencuccini e V. Silvestrini, Fisica I e II, Liguri Editore. • M. Severi, Introduzione alla ...
Appunti del corso di

Fisica Generale A/Lab

Docente: L. Pasquali

Programma corso Fisica Generale A/Lab 1. Grandezze Fisiche e Metodo sperimentale a. Definizione operativa di Grandezza Fisica b. Grandezze Fisiche fondamentali e derivate c. Dimensioni d. Unità di Misura e Sistemi di unità di Misura 2. Strumenti ed errori di misura a. Schematizzazione delle parti costituenti uno strumento b. Caratteristiche di funzionamento di uno strumento: taratura, intervallo di funzionamento, prontezza, sensibilità, risoluzione, precisione, accuratezza. c. Errore di sensibilità d. Errori come incertezza di ogni operazione di misura e. Concetto di distribuzione delle misure f. Cifre significative g. Errori casuali h. Errori sistematici i. Grafici e misure sperimentali j. Discrepanza 3. Elementi di analisi degli errori a. Stima delle incertezze nelle misure ripetibili b. Concetti di media, scarto e deviazione standard c. Istogrammi e distribuzioni d. Distribuzione limite e. Distribuzione normale (o di Gauss) f. Valore medio, deviazione standard, giustificazione della media come migliore stima per la distribuzione normale; Stima del parametro di larghezza della distribuzione g. Propagazione delle incertezze: somma di una costante numerica con una grandezza misurata, prodotto di una costante numerica con una grandezza misurata, somma di due grandezze misurate, regola generale per la propagazione degli errori. h. Incertezze relative. i. Deviazione standard della media j. Rigetto dei dati k. Medie pesate l. Metodo dei minimi quadrati m. Regressione lineare, covarianza e correlazione 4. Esperienze di laboratorio a. Misura del coefficiente di viscosità. b. Verifica della Legge di Hooke e misura della costante elastica di una molla. c. Verifica della legge di Ohm e misura della resistenza elettrica. d. Misura dell’indice di rifrazione. Testi consigliati: • Dispense del corso di Fisica generale A/Lab (in rete al sito www.gfms.unimore.it) • S. Nannarone, L. Pasquali, Fisica A, Athena editore, 2006 • J.R. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli Editore • C. Mencuccini e V. Silvestrini, Fisica I e II, Liguri Editore. • M. Severi, Introduzione alla sperimentazione fisica, Zanichelli Editore

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Capitolo 1 Grandezze Fisiche e Metodo sperimentale Scopo della scienza è l’osservazione e la descrizione dei fenomeni naturali su base oggettiva, indipendente cioè dall’osservatore. La scienza si suddivide in varie branche a seconda della specifica classe di fenomeni che vengono presi in esame. Ogni settore scientifico raggruppa un insieme di nozioni e conoscenze su un determinato argomento. Tali nozioni e conoscenze sono basate su osservazioni, anche di tipo quantitativo. Per fenomeno in questa sede si intende un qualsiasi oggetto, fatto, evento percepito o osservato direttamente o mediante dispositivi particolari (strumenti) I metodi per conseguire la conoscenza della natura su base scientifica devono essere oggettivi: i fenomeni che possono essere descritti scientificamente devono essere indipendenti, a parità di condizioni, dal momento e dal luogo in cui vengono osservati. Per questo il metodo scientifico deve tenere conto della salvaguardia dell’oggettività nella descrizione di un fenomeno e deve fornire una metodologia adeguata di osservazione e descrizione. Occorre in altre parole stabilire una serie di regole e prescrizioni tali per cui qualsiasi osservatore sia in grado in qualunque luogo o momento di descrivere un determinato fenomeno con le stesse modalità. Data la molteplicità dei casi che si possono presentare, di volta in volta i metodi e gli approcci sperimentali possono variare ed essere più o meno complessi. In sintesi occorre: 1. Individuare il fenomeno da descrivere. 2. Individuare un certo numero di sue caratteristiche importanti per darne una descrizione adeguata e per poterlo distinguere in modo non ambiguo. Tali caratteristiche sono le Grandezze Fisiche. Una grandezza fisica può considerarsi tale quando è possibile indicare le operazioni che si debbono eseguire per giungere ad un numero che esprime il suo valore in modo quantitativo. Ciò va sotto il nome di definizione operativa della grandezza fisica. La valutazione quantitativa di una grandezza fisica si attua per mezzo di operazioni di confronto con un’altra grandezza omogenea, assunta come campione. Tali operazioni di confronto sono dette operazioni di misura. I risultati ottenuti sono detti misure. Misurare una grandezza significa determinare il numero che esprime il rapporto tra la grandezza stessa e il suo campione. Tale campione viene chiamato unità di misura. 3. Dalle operazioni di misura sulle grandezze in gioco è possibile individuare eventuali legami di tipo funzionale tra di esse (o alcune di esse). Tali legami si traducono in relazioni matematiche tra le grandezze fisiche che descrivono il fenomeno. 4. Queste relazioni permettono di formulare le leggi che governano il fenomeno oppure verificare l’adeguatezza di leggi previste solo per via teorica mediante il confronto con le misure. Grandezze fisiche misurabili direttamente sono dette fondamentali. Altre grandezze fisiche possono essere definite e misurate a partire dalle grandezze fondamentali attraverso relazioni tra queste ultime. Tali grandezze sono dette derivate. Il fatto che le grandezze derivate siano ottenute mediante relazioni algebriche tra grandezze fondamentali fissa le unità di misura per le grandezze derivate. Mentre le unità di misura delle grandezze fondamentali possono essere scelte in modo arbitrario (con accorgimenti che verranno chiariti in seguito), le unità di misura delle grandezze derivate sono 2

espresse attraverso le unità di misura di quelle fondamentali, mediante le stesse relazioni funzionali che descrivono le grandezze derivate a partire da quelle fondamentali. In linea di principio, qualsiasi grandezza misurabile (anche solo in modo concettuale) per confronto diretto con un campione può essere definita come fondamentale. Tra queste ne vengono usualmente scelte solo alcune, insieme alle rispettive unità di misura, in modo tale che da esse si possano derivare, con opportune relazioni algebriche, tutte le altre grandezze che compaiono nella descrizione dei fenomeni fisici. Vengono in questo modo anche fissate le unità di misura delle grandezze derivate. Le grandezze fondamentali scelte ed i loro campioni definiscono un sistema di unità di misura. Dimensioni Le grandezze fisiche, indipendentemente dal loro valore numerico e dall’unità di misura, si suddividono in classi di appartenenza. Si possono confrontare tra loro solo grandezze appartenenti alla stessa classe (grandezze omogenee). L’appartenenza ad una classe di grandezze è detta dimensione della grandezza. Se con il simbolo G si indica una generica grandezza, la sua dimensione è espressa attraverso il simbolo [G]. Dato un insieme di grandezze fondamentali Fi, ad ognuna di esse è associata la corrispondente dimensione [Fi]. Come detto, le grandezze derivate sono definite attraverso relazioni algebriche tra le grandezze fondamentali. Simbolicamente si può scrivere

dove con D si è indicata la grandezza derivata, con C un generico coefficiente numerico, con un eventuale esponente per la grandezza Fi e dove il simbolo indica il prodotto (scalare o vettoriale) tra le varie grandezze . Poiché possono essere confrontate tra loro solo grandezze omogenee (appartenenti alla stessa classe), si deve avere . Le dimensioni della grandezza derivata sono determinate dalle dimensioni delle grandezze fondamentali secondo le stesse relazioni algebriche che legano tra loro grandezze fondamentali e derivate. Si noti che nelle dimensioni di una grandezza non compaiono i coefficienti numerici (essi non hanno dimensioni). Le dimensioni di una grandezza derivata hanno dunque sempre la forma di prodotto dimensionale delle grandezze fissate come fondamentali, elevate a potenza con esponente reale positivo o negativo. Nei sistemi di unità di misura più usati si scelgono come grandezze fondamentali per la meccanica la lunghezza, la massa, il tempo, indicati con [L],[M],[T]. Con tale scelta, esempi di grandezze derivate sono Superficie Volume Velocità Accelerazione

[S] = [L]2[M]0[T]0 [V] = [L]3[M]0[T]0 [v] = [L]1[M]0[T]-1 [a] = [L]1[M]0[T]-2 3

Densità di massa Forza

[!] = [L]-3[M]1[T]0 [F] = [L]1[M]1[T]-2

Grandezze fisiche o loro funzioni possono essere legate da uguaglianze solo se i membri hanno le stesse dimensioni. Il segno di uguaglianza implica infatti l’equivalenza delle operazioni di misura (oltre a uguaglianza numerica). È possibile sommare tra loro solo grandezze omogenee. Ciò implica che grandezze fisiche differenti possono essere combinate solo con operazioni di moltiplicazione e divisione. Nelle operazioni di elevamento a potenza gli esponenti sono necessariamente adimensionali. Per essere usati come argomenti di funzioni, le grandezze fisiche devono essere legate in modo tale che la loro combinazione risulti adimensionale. L’esponente di una potenza, l’argomento di una funzione trascendente (sin(x), cos(x), ln(x), ex, …) devono dunque essere adimensionali (numeri puri). Infatti, qualunque funzione può essere sviluppata in serie di potenze. Affinché ogni addendo sia omogeneo, è necessario che l’argomento sia adimensionale. Esempi:

Le dimensioni di una grandezza non dipendono dal particolare valore che una grandezza assume. Per alcune grandezze, ad esempio la superficie o il volume di un corpo, le dimensioni non dipendono dalla particolare forma geometrica del corpo a cui si riferiscono. Si noti poi che le dimensioni non definiscono la grandezza fisica a cui si riferiscono. Non rendono conto della natura scalare o vettoriale della grandezza. Inoltre, grandezze fisiche differenti possono avere le stesse dimensioni. A titolo di esempio, l’energia e il momento di una forza hanno le stesse dimensioni, pur non rappresentando la stessa grandezza fisica. [Energia] = [L]2[M]1[T]-2 [Momento di una forza] = [L]2[M]1[T]-2 Sistemi di unità di misura Una data scelta delle grandezze fondamentali e delle loro unità di misura fornisce un sistema di unità di misura. Due sistemi possono differire per una diversa scelta delle grandezze fondamentali e/o per una diversa scelta dei campioni di unità di misura. Come per le dimensioni, le unità delle grandezze derivate si ottengono direttamente dalle relazioni che legano tra loro le grandezze derivate a quelle fondamentali. . Nella espressione scritta, u indica l’unità di misura e k è un opportuno coefficiente numerico. Si dicono coerenti le unità di misura tali per cui k = 1. Per chiarire il significato del coefficiente k può essere utile ricorrere ad un esempio: un’unità di misura della pressione non coerente di largo uso è 4

l’atmosfera. Essa vale 1.01325 · 105 Pa, che è l’unità di misura coerente nel sistema internazionale (si veda a breve).

L’espressione ora scritta mette in evidenza un altro aspetto. Nonostante l’unità di misura di una grandezza derivata sia sempre espressa nei termini delle unità di misura delle grandezze fondamentali, talvolta viene utilizzato per comodità un nome specifico per indicare l’unità della grandezza derivata. È questo il caso della pressione, la cui unità di misura nel sistema internazionale prende anche il nome di Pascal – abbreviata con Pa (dallo scienziato francese B. Pascal), della forza, la cui unità di misura prende il nome di Newton – abbreviata con N (dal fisico inglese Newton) e di numerose altre grandezze. La scelta delle unità di misura delle grandezze fondamentali è peraltro arbitraria. Tuttavia essa deve rispecchiare alcuni condizioni: 1. essere definita senza ambiguità 2. essere costante nel tempo e nello spazio 3. essere pratica nell’uso (né troppo grande né troppo piccola rispetto ai valori della grandezza più frequentemente misurati) 4. essere disponibile in qualsiasi laboratorio opportunamente attrezzato. Il simbolo dell’unità di misura deve sempre seguire il valore numerico della misura. Non deve essere seguito da un punto. Deve essere scritto a lettere minuscole a meno che esso non sia derivato da un nome proprio. Date le unità di misura, si possono usare sottomultipli e multipli, come riportato nella seguente tabella. Simbolo del prefisso T G M k m µ n p f

Nome del prefisso Tera Giga Mega kilo milli micro nano pico femto

Valore 1012 109 106 103 10-3 10-6 10-9 10-12 10-15

Il sistema internazionale (S.I.) Il sistema di misura internazionale è oggi quello raccomandato per tutti gli usi. Le grandezze fondamentali sono: la massa, il tempo, la lunghezza, la corrente elettrica, la temperatura termodinamica, l’intensità luminosa, la quantità di materia. Le corrispondenti unità di misura sono di seguito elencate: Massa: kilogrammo (kg). La massa campione è costituita da un blocco di lega platino (90%) – irridio (10%) ed è conservata a Parigi. Tempo: secondo (s). Esprime la durata di 9192631770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133 (133Cs). Lunghezza: metro (m). Lunghezza del cammino percorso dalla radiazione elettromagnetica nel vuoto in un intervallo temporale pari a 1/299792458 secondi. 5

Corrente elettrica: Ampère (A). Intensità della corrente elettrica costante che percorrendo due conduttori paralleli, rettilinei, di lunghezza infinita e di sezione trasversale trascurabile posti alla distanza di un metro uno dall’altro nel vuoto, produce tra questi una forza pari a 2·10-7 N per metro di lunghezza. Temperatura termodinamica: Kelvin (K). È la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua. Intensità luminosa: candela (cd). È l’intensità luminosa, nella direzione perpendicolare, emessa da una sorgente che emette radiazione monocromatica alla frequenza di 540·1012 hertz e che ha un’intensità radiante in quella direzione di 1/683 watt per steradiante. Quantità di materia: mole (mol). È la quantità di materia di un sistema che contiene tante unità elementari quanti sono gli atomi di 0.012 kg di carbonio 12. Le entità elementari devono essere esplicitate; possono essere atomi, molecole, ioni,… Altri sistemi di unità di misura •

Sistema cgs per la meccanica.

Le grandezze fondamentali sono la lunghezza, la massa e il tempo. Le unità di misure relative sono il centimetro, il grammo ed il secondo. •

Sistema tecnico o pratico per la meccanica

Le grandezze fondamentali sono la lunghezza, la forza e il tempo. Le unità di misure relative sono il metro, il kilogrammo-forza ed il secondo. Il kilogrammo-forza rappresenta la forza con cui la Terra attira la massa di un kilogrammo in corrispondenza della accelerazione di gravità misurata a Parigi. •

Sistema inglese

Le grandezze fondamentali sono la lunghezza, la forza e il tempo. Le unità di misure relative sono il yard, il pound ed il secondo. A titolo di esempio, si ha che 1 y = 0.9143992 m Il fattore numerico che esprime il rapporto tra le due unità di misura nei due sistemi di misura è detto fattore di ragguaglio. •

Sistema termotecnico

Le grandezze fondamentali sono la lunghezza, l’energia, il tempo e la temperatura. Le unità di misure relative sono il metro, la caloria, il secondo e il grado centigrado. La caloria in particolare è data dal calore necessario per elevare da 14.5°C a 15.5°C la temperatura di 1 g di acqua distillata. Si ha che 1 cal = 4.1868 J, dove

è l’unità di misura

dell’energia nel sistema internazionale. Cambiamento del sistema di unità di misura Noto il valore di una grandezza espresso con una data unità di misura, per conoscerne il valore espresso con un’altra unità di misura è sufficiente conoscere il fattore di ragguaglio, r, dato dal rapporto tra le due unità di misura.

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Capitolo 2 Strumenti ed errori di misura Tutto l’impianto della scienza si basa sulla misurazione di grandezze fisiche, le quali possono poi essere messe in relazione tra loro per fornire delle leggi. Una volta effettuate delle operazioni di misura su grandezze, è fondamentale decidere se queste siano da ritenersi valide o meno. Le misure sono effettuate attraverso strumenti. Gli strumenti sono dei dispositivi che consentono il confronto, direttamente o indirettamente, tra il valore delle grandezze in esame e la corrispondente unità di misura, fornendo in questo modo una risposta quantitativa. Per potere valutare la risposta fornita dallo strumento è fondamentale conoscerne le caratteristiche ed il modo di funzionamento. Ciò è alla base sia del corretto uso dello strumento stesso, sia della valutazione del grado di validità o qualità delle misure effettuate. Gli strumenti, in generale, possono essere schematizzati come costituiti da diverse parti: A. Un elemento rivelatore, sensibile alla grandezza da misurare e che può eventualmente interagire con essa. B. Un trasduttore, che converte l’informazione ottenuta dal rivelatore in una grandezza di più facile utilizzo da parte dello sperimentatore C. Un dispositivo di visualizzazione, che fornisce visivamente o graficamente il risultato della misura (un ago mobile, una scala graduata, un display, …) Esempi: in un termometro a liquido il sensore ed il trasduttore sono costituiti dal bulbo in cui è contenuto il liquido, la parte di visualizzazione è costituita dal capillare con scala graduata; in un oscilloscopio l’elemento sensibile è dato dall’amplificatore di segnale in ingresso, il trasduttore è costituito dalle placchette di deflessione e dal fascio di elettroni prodotti nel tubo catodico e la parte di visualizzazione è data dallo schermo fluorescente. È fondamentale notare sin da ora che data la sua natura, ogni processo di misurazione non può fornire un valore assolutamente esatto della grandezza misurata. Ogni misura è intrinsecamente affetta da un certo grado di incertezza, detto errore. La trattazione corretta delle incertezze derivanti da un processo di misura è dunque un punto fondamentale, sia per valutarne l’effetto sulla eventuale previsione di leggi e fenomeni, sia per ridurle, ove possibile, al minimo. Caratteristiche di uno strumento È bene introdurre alcune notazioni. Sia G un generica grandezza fisica su cui viene operata una misura. Si indichi con Gm il risultato di un’operazione di misura su G, con Gv il valore vero, in linea di principio sconosciuto, che G assume mentre viene misurata (Gm = Gv solo se la misura è priva di incertezza) e con Gr la risposta dello strumento, quale risultato della misura di G1. In un’operazione di misura lo strumento fornisce una risposta sul dispositivo di visualizzazione in corrispondenza di una data sollecitazione rilevata dall’elemento sensibile. 1

Il significato di Gm e Gr è concettualmente differente. Gm rappresenta il valore misurato della grandezza che ha Gv come valore vero. Gr è la risposta che lo strumento fornisce quando questo è utilizzato per misurare G. La risposta non è in generale rappresentata da una grandezza omogenea a G. Si pensi ad un voltmetro ad ago mobile: la posizione angolare dell’ago indicatore fornisce Gr e tale posizione è da mettere in relazione con la differenza di potenziale, che rappresenta la grandezza da misurare.

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Per completare l’operazione di misura occorre conoscere la relazione tra la risposta Gr e il valore vero Gv della sollecitazione. Tale relazione è chiamata taratura dello strumento. La taratura si effettua registrando la risposta Gr in relazione a diversi valori assunti da Gv noti indipendentemente per altra strada. Si ottengono così coppie di valori in corrispondenza reciproca che possono essere tabulati o graficati. In tale modo, usando la tabella o grafico di taratura, ogni possibile valore della risposta può essere messo in corrispondenza ad un valore vero, riferito all’unità di misura scelta. Eventualmente può essere applicata un’interpolazione tra i dati di taratura per ricavare i valori intermedi della grandezza fisica rispetto a quelli inizialmente usati per effettuare la taratura. A titolo di esempio: la taratura di un termometro può essere effettuata rilevando le altezze della colonna di liquido in corrispondenza di alcune temperature note (ad esempio in corrispondenza di cambiamenti di stato). Le caratteristiche generali di uno strumento di cui tenere conto sono, oltre alle condizioni di funzionamento prescritte (posizionamento, temperatura di lavoro,…), al costo, al peso, all’ingombro, l’intervallo di funzionamento, la prontezza, la stabilità, la sensibilità (e il corrispondente errore di sensibilità o risoluzione), la precisione e l’accuratezza. Intervallo di funzionamento L’intervallo di funzionamento è determinato dal valore massimo (detto portata) e minimo (detto soglia) della grandezza da misurare che lo strumento è in grado di fornire. Al di fuori dei limiti di funzionamento lo strumento può essere danneggiato o comunque non fornire più valori affidabili e riproducibili. Accanto a ciò è utile notare che alcuni strumenti possono presentare scale di lettura differenti, che possono essere opportunamente selezionate prima della misura. Ogni scala è caratterizzata da un valore di fondo scala, che rappresenta il valore massimo che può essere misurato nell’impostazione scelta dello strumento. Non conoscendo a priori il valore della grandezza da misurare è sempre opportuno cominciare selezionando la scala di lettura massima compatibile con lo strumento, poi eventualmente scendere di scala se il valore misurato lo consente. Prontezza La prontezza è legata al tempo necessario affinché lo strumento risponda ad una variazione della sollecitazione. Quanto minore è questo tempo (detto tempo caratteristico) tanto maggiore è la prontezza. Se la grandezza da misurare varia molto velocemente rispetto al tempo caratteristico lo strumento non sarà in grado di misurare la grandezza in modo appropriato. Eventualmente esso fornisce un valore mediato nel tempo del valore della grandezza. Occorre dunque scegliere uno strumento con maggiore prontezza. Esempio: un normale voltmetro ha tempi caratteristici dell’ordine del secondo. Esso non è adeguato a misurare differenze di potenziale che varino su tempi inferiori a 10 secondi. Un oscilloscopio, che ha tempi caratteristici molto più piccoli, può essere invece uno strumento adeguato in questi casi. Stabilità La stabilità è definita come l’attitudine di uno strumento a mantenere costanti le proprie caratteristiche metrologiche. Tali caratteristiche possono cambiare nel tempo o in funzione dei parametri ambientali (temperatura, pressione, umidità,…). Esempio: un regolo graduato può cambiare le caratteristiche in funzione della temperatura; il periodo di oscillazione della molla di un orologio può variare per usura; i componenti elettronici in uno strumento elettronico possono cambiare le proprie caratteristiche per usura, temperatura, umidità.

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Sensibilità La sensibilità è definita come il rapporto tra la variazione della risposta Gr dello strumento e la corrispondente variazione della grandezza Gv, quando questa sia molto piccola (infinitesima).

Si noti che non è detto che Gr dipenda linearmente da Gv, per cui in generale S è una funzione di Gv. Per ogni strumento esiste chiaramente un limite all’accuratezza con cui si può rilevare la risposta. In altri termini, valori della risposta Gr che differiscono tra loro per meno di una certa quantità, che può essere indicata come , vengono percepiti come lo stesso valore dall’osservatore. Questo determina una incertezza sulla conoscenza di Gv, legata alla sensibilità S dalla relazione . Quantitativamente, il minimo valore che può essere letto dallo strumento in una determinata scala o modo di funzionamento, ovvero la gradazione più piccola che può essere letta sulla scala dello strumento, è detto risoluzione. Il fattore 2 che compare nella relazione precedente è legato a una questione di comodità. Dall’incertezza sulla lettura del valore di Gr segue che il suo valore può essere compreso tra e . A sua volta ciò corrisponde ad un’incertezza per la grandezza misurata, che assumerà un valore compreso tra e . Per brevità si usa scrivere il risultato della misura come . La quantità è detto errore di sensibilità. In altri termini, lo strumento non è sensibile ad un intervallo di valori pari a intorno al valore misurato Gm. È bene notare che in alcuni strumenti la risposta Gr assume valori continui (ad esempio un metro a nastro, un ago mobile su una scala graduata, un oscilloscopio analogico), mentre in altri solo valori discreti (strumenti muniti di display digitale). Nel primo caso solitamente si fa in modo che la suddivisione della scala corrisponda proprio a . È possibile dunque leggere direttamente sia il valore di Gm che il valore dell’errore di sensibilità. Nell’ultimo caso corrisponde ad un unità sull’ultima cifra meno significativa indicata. Precisione In genere la risposta Gr non dipende esclusivamente da Gv. In ogni dispositivo sono infatti presenti effetti non eliminabili completamente come attriti, giochi meccanici, isteresi, fluttuazioni di livelli elettrici, vibrazioni, disturbi che fanno sì che la risposta non sia sempre esattamente la stessa per una fissata sollecitazione. Da una serie di misure di una grandezza G, per un fissato valore di Gv, si ottiene dunque una distribuzione di valori (un insieme di valori differenti) per Gm la cui larghezza dipende dalle caratteristiche costruttive dello strumento. Convenzionalmente si può definire la precisione come una quantità inversamente proporzionale a tale larghezza. Accuratezza

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L’accuratezza è legata alla taratura dello strumento. Essa indica quanto il valore misurato Gm è vicino al valore effettivo Gv della grandezza G. Si noti che uno strumento può essere preciso ma non accurato o viceversa.

non preciso non accurato

preciso non accurato

non preciso accurato

preciso accurato

Distribuzione delle misure Supponendo di avere a disposizione uno strumento infinitamente preciso e sensibile, ci si aspetterebbe di ottenere sempre lo stesso risultato per la misura di un valore Gv di una grandezza, a parità di condizioni. In generale si ha invece che ripetendo più volte le misure si possono trovare valori differenti, anche operando rigorosamente nelle stesse condizioni. Ciò è dovuto al fatto che (a) non è possibile controllare le condizioni al contorno in modo infinitamente preciso e riproducibile e (b) il valore assunto da Gv è dovuto alla somma di molteplici contributi che possono variare nel tempo ed in relazione alle condizioni ambientali. La non riproducibilità intrinseca del valore Gm di una misura è dunque sia determinata dallo strumento sia dovuto alle fluttuazioni intrinseche del valore Gv della grandezza. I due effetti sono indistinguibili per l’osservatore. È bene puntualizzare sin d’ora che tale non riproducibilità complessiva non si visualizza qualora i livelli di variabilità siano contenuti all’interno dell’errore di sensibilità dello strumento. Nel caso contrario si riscontra una variabilità di Gm. Usualmente tale variabilità può essere messa in evidenza riportando i dati sperimentali in un grafico od istogramma. Ciò si realizza riportando in ascissa i valori di Gm suddivisi per intervalli di ampiezza opportuna (comunque non inferiore a ) ed in ordinate in numero n di volte in cui la misura Gm assume un valore che ricade nell’intervallo corrispondente.

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Gm

Gm

Gm

Gm

Gm

Un istogramma a sua volta può essere interpretato come la reppresentazione sperimentale di una funzione che tiene conto del modo in cui gli effetti accennati influiscono sui valori delle misure. Esistono diverse tipologie o cause di incertezza. Tali cause vengono raggruppati in due imporanti classi: errori casuali ed errori sistematici. Errori casuali Gli errori casuali sono errori non eliminabili e sono determinati da più concause aleatorie ed indipendenti. Queste sono legate alla precisone dello strumento, a fattori ambientali, a variazioni seppur piccole del valore Gv. Per potere valutare l’errore casuale è necessario che la misura sia ripetibile. Si presentano vari casi 1. Se ripetendo più volte la misura si ottiene sempre lo stesso risultato, ciò significa che l’errore di sensibilità è molto maggiore dell’ampiezza della distribuzione dei valori dovuti alla fluttuazione intrinseca di Gv e delle fluttuazioni introdotte dall’apparato. Si sa a priori che all’interno di è contenuta una distribuzione di valori, ma essi non sono apprezzabili. assume allora il significato di errore massimo. 2. Nel caso in cui l’errore di sensibilità sia molto minore dell’ampiezza della distribuzione dei valori dovuti alla fluttuazione intrinseca di Gv e alle fluttuazioni introdotte dall’apparato (o solo a una delle due) per determinare il valore corretto da attribuire al risultato della misura ed il suo errore o incertezza occorre ricorrere a metodi statistici per l’analisi dei dati. È logico attendersi che la migliore stima per il valore assunto dalla grandezza sia dato dalla media di tutte le misure effettuate,

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dove N è il numero totale delle misure. Per quanto riguarda le stima dell’errore, si vedrà in seguito come questa possa essere fornita dalla deviazione standard dei dati misurati, definita come . La deviazione standard è un indice dell’ampiezza della distribuzione dei dati raccolti. Anticipando quanto verrà più diffusamente discusso in seguito, si ha che per misure affette da incertezze casuali il risultato di una serie di misure può essere sintetizzato fornendo come migliore stima il valore medio e come errore la deviazione standard2. La deviazione standard racchiude in sè tutti gli effetti di fluttuazione della grandezza misurata. Si vedrà in seguito che maggiore è il numero delle misure, migliore è la stima del valore vero della grandezza fornita dalla media. Da un punto di vista statistico, la deviazione standard utilizzata come errore fonisce una percentuale di confidenza del 68% che il valore misurato della grandezza sia compreso nell’intervallo di 2 intorno al valore vero. 3. Vi sono casi in cui e sono confrontabili. Ciò porta a perdere i dettagli della distribuzione dei risultati di più operazioni di misura. Ripetendo il numero delle misure si hanno in questo caso solo pochi intervalli in cui Gm ricade. Il caso estremo si ha quando si ottengono solo due possibili valori. Si può ancora ricavare il valore medio delle misure, ma non più . Il concetto di deviazione standard come stima statistica dell’errore perde di significato. Errori sistematici Si ha un errore sistematico quando ripetendo più volte una misura si ottiene un valore sempre minore o maggiore di quello effettivo. Di solito non c’è alcun modo di valutare l’entità ed il segno di tale errore poiché non si conosce in genere il valore effettivo della grandezza. Non è neanche di solito possibile rendersi conto della presenza di tale errore. È compito dello sperimentatore accertare la presenza di eventuali errori sistematici ed eliminarli. Oppure valutarli quantitativamente. Ciò può essere effettuato per mezzo di previsoni teoriche oppure eseguendo ulteriori misure che lo evidenzino. La valutazione degli errori sistematici può essere in realtà molto complicata e generalmente ci si accontenta di essere sicuri che il loro valore sia molto minore del contemporaneo errore casuale. Esistono diversi tipi di errore sistematico. A. Difetto di funzionamento dello strumento usato, dovuto ad esempio ad un difetto di taratura. Non è verificata la corrispondenza prevista tra la risposta ed il valore della grandezza. Un esempio tipico è dato da un orologio che marcia più velocemente o lentamente del dovuto. B. Errate condizioni di impiego. Anche in assenza di difetti lo strumento può essere usato in condizioni non ottimali. Un esempio può essere dato da una bilancia a bracci uguali non posizionata su un piano orizzontale. C. Interazione tra lo strumento e il sistema misurato. Corpi estranei o polvere possono falsare la lettura della lunghezza di un corpo effettuata con un calibro o con strumenti più precisi. In alcuni casi lo strumento può modificare, interagendo, il sistema misurato. Ciò succede ad 2

O come si vedrà in seguito, la deviazione standard della media, pari a

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.

esempio quando usando un calibro si serrano le ganasce con forza eccessiva, tale da deformare il corpo misurato. D. Imperfetta definizione del fenomeno da studiare. Non sono tenuti in conto effetti presenti, tali per cui dai dati misurati non si riesce a riprodurre sperimentalmente un dato fenomeno previsto per via teorica. È il caso di un grave in caduta libera sottoposto alla forza di gravità. Qualora gli effetti dell’attrito con l’aria non vengano considerati, non è possibile verificare in modo accurato la legge del moto. E. Presenza di disturbi che modificano la risposta di uno strumento. F. Presenza di un offset per la lettura dello strumento. L’offset è l’eventuale valore non nullo indicato dallo strumento nel caso in cui la grandezza da misurare sia posta uguale a zero. Il non tenere conto dell’eventuale offset può comportare errori nella corretta valutazione della misura. Errori su misure non ripetibili Può capitare di riuscire ad effettuare una sola operazione di misura. Ad esempio il fenomeno può essere unico, o estremamente raro. In questo caso non ha senso parlare di fluttuazione intrinseca della grandezza. L’incertezza è dovuta solo all’apparato sperimentale e questa deve essere valutata separatamente, eseguendo misure ripetibili su una grandezza omogenea. Errore e cifre significative Da quanto visto sinora, ad ogni operazione di misura è intrinsecamente legata un’incertezza, espressa attraverso l’errore, sia esso l’errore massimo o quello fornito dalla deviazione standard. In generale si può scrivere che da una misura di una grandezza si ottiene il seguente risultato

dove per brevità si sono omessi i pedici m e v. fornisce a volte il margine di incertezza assoluto, altre volte esso fornisce una data percentuale di confidenza che il valore vero della grandezza sia compreso nell’intervallo tra e . Dato il valore di una grandezza, il numero di cifre significative è il numero delle cifre decimali attraverso cui il valore è rappresentato a partire dalla prima cifra a sinistra non nulla fino all’ultima cifra riportata a destra inclusi gli zero. Dato che rappresenta la stima dell’incertezza, non ha senso riportarla con un numero di cifre significative molto elevato. Le incertezze sperimentali dovrebbero di norma essere approssimate ad una sola cifra significativa. . Soprattutto se la prima cifra dell’incertezza è 1, può essere opportuno tenere due cifre significative, per non sottostimare percentualmente troppo il risultato. . Una volta nota l’incertezza, devono poi essere valutate anche le cifre significative del risultato. Scrivere ad esempio

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non ha infatti senso. Le cifre 2 e 6 non hanno significato in rapporto all’incertezza che è sull’unità. L’ultima cifra significativa di qualunque risultato deve essere dello stesso ordine di grandezza (nella stessa posizione decimale) dell’incertezza. I risultati, soprattutto quelli ottenuti dai calcoli, devono dunque essere arrotondati. Un valore si arrotonda all’ultima cifra significativa scelta se quella immediatamente successiva che viene omessa è inferiore di 5. In caso contrario, l’ultima cifra riportata deve essere aumentata di una unità.

Grafici e misure sperimentali Molte leggi della Fisica implicano la proporzionalità tra due differenti grandezze. Esempi sono dati dalla legge di Hooke, che esprime la proporzionalità tra la forza applicata e l’elongazione elastica di un corpo, la legge di Newton, che esprime la proporzionalità tra forza e accelerazione subita da un corpo, ecc… In generale, se una generica grandezza y è proporzionale ad una grandezza x, un grafico di y in funzione di x fornisce una linea retta passante per l’origine. Un grafico dei dati sperimentali può dunque essere un utile metodo per stabilire la correttezza di una relazione di proporzionalità ipotizzata per via teorica. Si supponga di misurare diversi valori per la grandezza x, dati da x1, …, xN, ed in corrispondenza di ciascuno di essi, i valori assunti dalla grandezza y, dati da y1,…, yN. Tali coppie di valori possono essere riportati in grafico e dall’andamento dei punti graficati può essere dedotta la dipendenza funzionale tra le due grandezze. D’altra parte, poiché i dati sperimentali sono intrinsecamente affetti da incertezza, anche supponendo una reale dipendenza di tipo proporzionale, difficilmente i risultati delle misure potranno coincidere esattamente con i punti della retta. Ci si attende quindi che i risultati della misura siano tutti ragionevolmente vicini ad una retta comune passante per l’origine. Appare di estrema utilità riportare le incertezze delle misure sul grafico, sotto la forma di segmenti centrati su ciascun punto sperimentale (dato da ogni coppia di valori di y e di x misurati). Tali segmenti saranno di lunghezza tale da corrispondere all’entità dell’errore sperimentale, riferito alle scale usate per gli assi del grafico corrispondenti alle grandezze x e y. Tali segmenti vengono chiamati barre di errore. Una buona retta dovrà ragionevolmente intersecare il maggiore numero possibile di barre di errore. In seguito verrà discusso un procedimento per ricavare la migliore stima per questa retta sulla base dei dati sperimentali e ricorrendo a metodi statistici. Un approccio semplificato consiste nel trovare la retta per via grafica, tracciando la linea che meglio interpola i dati.

14

Una situazione più complessa si manifesta quando ci si attende che una data grandezza fisica sia proporzionale ad una data potenza dell’altra (ad esempio nel moto di un grave soggetto alla forza peso si ha che lo spazio percorso y è proporzionale al quadrato del tempo trascorso t secondo la relazione

, supponendo che il grave parta da fermo all’istante iniziale). In questo caso si

può verificare la veridicità della legge riportando direttamente in ascissa la potenza della seconda grandezza ed in ordinata la prima grandezza. Il grafico ottenuto deve fornire ancora una volta una retta. Si verificano altre situazioni in cui una relazione non lineare può essere trasformata in una relazione lineare, operando un’opportuna scelta delle variabili da graficare. A titolo di esempio, sia dove y e x sono le due grandezze misurate e A e B due coefficienti numerici (B con le dimensioni di 1/x e A con le stesse dimensioni di y). Tra le due grandezze sussiste una dipendenza esponenziale. È facile mostrare che il logaritmo naturale di y dipende linearmente da x. Il grafico di

in funzione di x fornirà dunque una retta (

).

Qualora non sia possibile trasformare la relazione tra le grandezze sperimentali in una relazione lineare di facile visualizzazione, occorre trovare per via grafica la dipendenza più complessa. Discrepanza Date due misure della stessa grandezza x con associato un proprio errore sperimentale, e , si definisce discrepanza la differenza tra i valori misurati della grandezza . Una discrepanza può essere significativa o non significativa, in rapporto all’entità degli errori. In particolare se le barre di errore delle due grandezze misurate non si intersecano, la discrepanza è significativa e non si può affermare con confidenza che entrambe le misure si riferiscono allo stesso valore vero assunto dalla grandezza. In altre parole, se la discrepanza è 15

significativa. Viceversa, se la discrepanza è inferiore alla somma delle incertezze, allora vi è una ragionevole confidenza che entrambi i risultati della misura possano riferirsi allo stesso valore vero della grandezza x. Il concetto di discrepanza è utile quando il risultato di una misura con errore viene paragonato al valore vero accertato di una grandezza (noto per altra via) o al valore ottenuto da un altro sperimentatore. La discrepanza può dunque essere più o meno significativa in rapporto all’incertezza con cui la misura è stata ottenuta. Ciò può suggerire l’eventuale presenza di errori nella procedura di misurazione o difetti di funzionamento nell’apparato di misura. Qualora la discrepanza sia significativa e un’accurata verifica escluda la presenza di errori sistematici, si può concludere che i due valori della grandezza confrontati sono effettivamente differenti.

16

Capitolo 3 Elementi di analisi statistica delle incertezze casuali Si è anticipato nelle precedenti Sezioni che un’operazione di misura può essere affetta da due distinte cause di incertezza. Gli errori casuali sono dovuti a fluttuazioni intrinseche dell’apparato sperimentale o della grandezza misurata tali per cui vi è una uguale probabilità che il risultato di una misura assuma un valore inferiore o superiore al valore vero assunto dalla grandezza. Gli errori sistematici tendono a spostare il valore misurato della grandezza sempre al di sopra o al di sotto del valore vero, sono più difficili da individuare e devono essere il più possibile ridotti od eliminati. Mentre di questi ultimi non è possibile una trattazione in termini statistici, gli errori casuali determinano una dispersione dei risultati ottenuti in misure ripetute che può essere trattata con un’opportuna analisi statistica. Vengono di seguito fornite alcune definizioni. Media Si supponga di effettuare N misure della stessa grandezza x, affetta da errori di tipo casuale. Dalla serie di N misure si ottiene una dispersione dei valori di x, dati da con i che varia da 1 a N. Si definisce media delle misure la somma

Scarto Data la media ottenuta da N misure affette da incertezze di tipo casuale, la differenza

è

detto scarto di da . Lo scarto è l’indice di quanto il valore medio differisce dall’i-esimo valore. Se gli scarti sono tutti molto piccoli, allora la distribuzione dei valori ottenuti è molto stretta. In altri termini, la misura è molto precisa. Si noti che gli scarti sono sia positivi che negativi, a seconda che il valore misurato della grandezza sia maggiore o minore di . Discende immediatamente dalla definizione di valore medio che la somma di tutti gli scarti deve essere nulla. Infatti il calcolo del valore medio dello scarto fornisce

da cui discende direttamente che

.

17

Deviazione standard Il valore medio degli scarti è dunque non utile per caratterizzare l’entità delle dispersione delle misure. Modo più appropriato consiste nell’elevare al quadrato gli scarti in modo tale da ottenere quantità tutte positive e poi effettuare la media su tali valori. Operando su tale media la radice quadrata si ottiene una grandezza con le dimensioni della grandezza iniziale x. Si definisce deviazione standard di un insieme di misure della grandezza x la grandezza data dalla seguente espressione

. La deviazione standard permette di fornire una stima per la larghezza della dispersione delle misure. Il fattore N – 1 che compare al denominatore origina da argomentazioni di tipo teorico3, omesse in questa sede. Qualora le misure effettuate siano affette da errori di tipo casuale, la deviazione standard calcolata da una serie di misure può essere presa come stima per l’incertezza sul risulatato di una singola misura della stessa grandezza. Come sarà approfondito in seguito, in termini statistici essa fornisce il 68% di confidenza che il risultato di una misura differisca per meno di dal valore vero. Per tale motivo, supposto di conoscere la deviazione standard da una serie di misure, essa può essere considerata come una ragionevole incertezza da attribuire a qualsiasi altra singola misura della stessa grandezza. Deviazione standard della media Data la media dei una serie di misure, la deviazione standard caratterizza l’incertezza attribuibile ad ogni singola misura della stessa grandezza. In altri termini, se si facesse un’ulteriore misura della grandzza x, vi è un 68% di probabilità che essa differisca per meno di dal valore vero. D’altra parte, rappresenta la migliore stima per il risultato dell’insieme di misure. Esso è dunque un valore più affidabile di qualsiasi altra misura considerata separatamente. Può essere valutata l’incertezza della media ritenuta come il più affidabile valore da associare alla misura della grandezza. È logico attendersi che tale errore debba essere tanto minore quanto maggiore è il numero complessivo delle misure che concorrono a fornire il valore medio. Dalla analisi statistica, per misure affette da errori casuali si ottiene che la migliore stima per l’incertezza di è data da . Tale grandezza è chiamata deviazione standard della media (o errore standard). Si ha, come è logico attendersi, che la deviazione standard della media è minore della deviazione standard dell’insieme delle misure. La deviazione standard della media può dunque essere utilizzata come la stima dell’incertezza della media di una serie di misure assunta come valore più affidabile per il risultato. Istogrammi e distribuzioni Una corretta analisi statistica di un esperimento richiede numerose misure. Occorre dunque dotarsi di opportuni metodi per rappresentare le misure acquisite. Si supponga innanzitutto che i risultati della misura di una generica grandezza x assumano esclusivamente valori discreti. L’elenco dei valori di tutte le misure effettuate può essere 3

Sarebbe stato più naurale attendersi il solo fattore N, con il significato di scarto quadratico medio per anche J. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli, Capitolo 4.

18

. Si veda

convenientemente sostituito riportando in una tabella il numero di volte in cui lo stesso risultato viene ottenuto all’interno della serie di misure. …

Diversi valori di x ottenuti: Numero di volte

in cui



è ottenuto

Dato questo nuovo modo di rappresentare l’insieme delle misure, è possibile riscrivere l’espressione della media in modo più conveniente. Si ha

dove l’ultima sommatoria è effettuata sull’indice k che varia da 1 a M, dove M è il numero di distinti valori di x ottenuti nell’insieme di misure totali N. Chiaramente dovrà essere . La seconda sommatoria è dunque in generale data da un numero minore di addendi rispetto alla prima ed ogni addendo è moltiplicato per il numero di volte in cui un determinato valore è osservato. La seconda sommatoria prende il nome di somma pesata. Essa è particolarmente conveniente qualora il numero totale delle misure sia molto elevato. L’introduzione del fattore comporta diverse interessanti conseguenze. Si noti che deve necessariamente essere . È poi utile introdurre il concetto di occorrenza frazionaria, definita come . Essa esprime la frazione delle N misure che forniscono il valore del risultato pari a

.

I fattori hanno un ruolo fondamentale. Le frazioni forniscono infatti la distribuzione dei risultati. Esse rappresentano come sono distribuiti i risultati tra i differenti valori. Utilizzando il concetto di occorrenza frazionaria è possibile riscrivere l’espressione della media come .

Dal fatto che

consegue direttamente che

. Un qualunque insieme di numeri la cui somma è unitaria si dice normalizzato. Le normalizzate e la relazione appena scritta è detta condizione di normalizzazione. 19

sono dunque

La distribuzione delle misure come già anticipato in una precedente sezione può convenientemente essere evidenziata graficamente per mezzo di un istogramma in cui vengono riportati in ascissa i diversi possibili valori di e in ordinata i valori di . Se l’insieme delle misure non è rappresentato da valori discreti ma esse assumono valori continui, può essere utile raggruppare tutte le misure in intervalli di opportuna larghezza, come accennato in precedenza non inferiori a (errore di sensibilità della singola misura), e contare il numero di volte in cui una misura ricade nell’intervallo. Se una misura cade esattamente sul limite tra due intervalli adiacenti, si può ragionevolmente scegliere di assegnare mezza misura ad entrambi gli intervalli. Ancora una volta si possono riportare i risultati in tabella o in grafico. Il grafico in questo caso non sarà più un grafico a bare discrete ma a intervalli continui.

Estremo inferiore del primo intervallo

Estremo superiore del primo intervallo e Estremo inferiore del secondo intervallo

Si denoti con l’ampiezza dell’intervallo k-esimo. Solitamente la ampiezze egli intervalli sono tutte uguali. In questo modo di procedere, la frazione delle misure che ricadono nell’intervallo è 20

determinata dall’area del rettangolo compreso tra i due estremi dell’intervallo stesso. Di conseguenza l’altezza del rettangolo è scelta in modo tale che l’area sia , frazione delle misure nell’intervallo k-esimo. Per la scelta dell’ampiezza degli intervalli occorre fare in modo che essi non siano minori di e comunque non siano troppo stretti in modo tale che vi sia solo una misura per intervallo; d’altra parte occorre anche che essi non siano troppo larghi, in modo tale che tutte le misure siano raggruppate in solo pochi intervalli. Distribuzione limite Nella maggior parte degli esperimenti aumentando il numero delle misure, la distribuzione assume una forma semplice e ben definita. Quando il numero delle misure , la loro distribuzione si avvicina sempre più ad una curva continua. Tale distribuzione è detta distribuzione limite. La distribuzione limite è una costruzione teorica, mai raggiungibile esattamente da un numero qualsivoglia grande, ma necessariamente limitato di misure. Per poterla determinare occorrerebbero infinite misure ed intervalli infinitamente stretti. Data una serie di misure ripetute per il valore di una grandezza x, la distribuzione limite definisce una funzione . All’aumentare del numero di misure, l’istogramma che rappresenta la distribuzione delle misure della grandezza diventa sempre più prossimo a

.

f(X), fk

f(X)

0

2

4

6

8

10

X

12

14

16

18

La frazione delle misure che cadono in un piccolo intervallo compreso tra all’area della striscia ombreggiata4 nella figura seguente.

4

Essa corrisponde all’occorrenza frazionaria introdotta in precedenza.

21

20

e

è uguale

Più in generale, la frazione di misure che cadono tra due qualunque valori a e b corrisponde all’area totale sotto la curva tra e . In altri termini, la frazione delle misure che cadono nell’intervallo è fornito dall’integrale definito tra a e b della funzione .

Le ultime considerazioni sono valide qualora il numero delle misure sia molto elevato e la distribuzione sia bene rappresentata attraverso la distribuzione limite. In altre parole, indica la probabilità (l’occorrenza frazionaria su un numero ipoteticamente infinito di misure) che una singola misura della grandezza x sia compresa nell’intervallo tra e e l’integrale indica la probabilità che una misura sia compresa tra

e

.

Poiché la probabilità di ottenere una qualsiasi risultato della misura che sia compreso tra deve necessariamente essere unitaria, si ha che 22

e

, in completa analogia con quanto visto per le occorrenze frazionarie dunque normalizzata. Dalla conoscenza di

è

è possibile ricavare il valore medio atteso dopo un numero molto elevato

di misure (tendente ad infinito). Poiché (

. La funzione

, passando al limite per intervalli infinitesimi

) si ha .

In modo analogo, è possibile calcolare la deviazione standard che si otterrebbe dopo un numero tendenzialmente infinito di prove. Se è la media degli scarti al quadrato, si ha . Si noti che quando il numero di prove N tende ad infinito, non produce alcuna differenza nella definizione di deviazione standard l’utilizzo al denominatore del fattore N oppure N – 1. Distribuzione normale Si trova che quando una misura di una grandezza è soggetta a molte piccole sorgenti di errori casuali e trascurabili errori sistematici, i valori misurati sono distribuiti secondo una curva a campana centrata attorno al valore vero assunto dalla grandezza. Qualora vi siano apprezzabili errori sistematici, la distribuzione è ancora dello stesso tipo, ma non più centrata attorno al valore vero. Gli errori casuali spingono con uguale probabilità i valori misurati per una grandezza al disopra e al disotto del valore vero. Dopo un elevato numero di prove vi saranno dunque uguali numeri di esse al disopra ed al disotto del valore vero. Ciò implica che il centro della distribuzione sia coincidente con il valore vero e la distribuzione sia simmetrica rispetto ad esso. In questi termini, il valore vero di una grandezza assume il seguente significato: esso è il valore al quale ci si avvicina sempre più facendo moltissime misure e dato dal centro della distribuzione. Chiaramente esso rappresenta un idealizzazione. La curva matematica che descrive la distribuzione limite per una serie di misure affette da errori casuali è la distribuzione normale o distribuzione di Gauss. La distribuzione di Gauss prende la forma

ed ha l’andamento mostrato in figura.

23

Nell’espressione di

il parametro A definisce l’ampiezza della curva, il parametro

conto della larghezza. Maggiore è il valore assunto da campana e viceversa.

rende

, maggiore sarà la larghezza della curva a

La curva di Gauss espressa dalla relazione è centrata sull’origine ed è simmetrica rispetto ad essa. Per ottenere la curva di Gauss centrata attorno ad un valore differente per la grandezza x, si pone nell’esponenziale al posto di x il termine , dove rappresenta il nuovo valore attorno a cui la distribuzione è centrata. Si ha . Affinché una funzione

sia una funzione limite, essa deve essere normalizzata. È possibile

ricavare il valore del coefficiente A appropriato affinché la curva di Gauss sia normalizzata. Deve essere

da cui . Effettuando un cambio di variabile, ponendo prima diviene

poi

, l’integrale di partenza

.

L’ integrale

è un integrale notevole della matematica, il cui valore è pari a

ottiene di conseguenza per A il valore

24

. Si

. La funzione di Gauss normalizzata è dunque espressa da . Si noti che dalla condizione di normalizzazione discende che distribuzioni di Gauss più allargate saranno più basse di distribuzioni di Gauss più strette, dove il parametro di larghezza è determinato da . Valore medio della distribuzione di Gauss Se la distribuzione di Gauss rappresenta la distribuzione limite di una serie di misure, il valore medio atteso dopo un grande numero di prove è dato da . Effettuando il cambio di variabili

si ha

.

Il primo integrale è nullo in quanto prodotto di una funzione pari per funzione dispari. Il secondo integrale corrisponde a quanto già calcolato in precedenza, per cui si ha . Dunque si è determinato che il valore medio di una serie di infinite misure coincide con il valore vero attorno a cui la distribuzione di Gauss è centrata. Deviazione standard della distribuzione di Gauss Se la distribuzione di Gauss rappresenta la distribuzione limite di una serie di misure, la deviazione standard attesa dopo un grande numero di prove è data da

dove si è indicata con la deviazione standard per distinguerla dal parametro di larghezza della curva di Gauss. Ponendo per quanto visto in precedenza e effettuando il cambio di variabile si ottiene 25

. Questo integrale può essere risolto effettuando dapprima un ulteriore cambio di variabili e poi integrando per parti. Ponendo si ha .

Tenendo conto che

si può scrivere

. Si ottiene che la deviazione standard è uguale al parametro di larghezza della curva di Gauss. Si sottolinea che il valore della deviazione standard ottenuto è quello atteso dopo un numero di prove tendente ad infinito. Per un qualsiasi numero limitato di misure, la deviazione standard osservata è dunque un’approssimazione a . Integrale degli errori e probabilità di una misura Da quanto visto sinora, l’integrale

indica la probabilità che una misura sia compresa tra

tra e , dove a e b sono valori qualsiasi per la grandezza misurata x. Data la distribuzione di Gauss è possibile calcolare questa probabilità. In particolare, la probabilità che il risultato di una misura differisca per meno di dal valore vero è data da .

Ponendo

ed effettuando il cambio di variabile, l’integrale diviene

.

In modo analogo, la probabilità che il risultato di una misura differisca per meno di vero (dove t è un qualsiasi parametro numerico positivo) è data da

26

dal valore

.

L’integrale scritto è un integrale standard della matematica. Esso è chiamato integrale degli errori (erf(t)). Esso può essere calcolato per via numerica con un calcolatore per ogni possibile valore del parametro t. Molti testi specializzati riportano i valori tabulati dell’integrale degli errori5. Per t = 1 si ha la probabilità che la misura differisca per meno di (per eccesso o per difetto) dal valore vero. Tale probabilità è pari a circa 0.68, ovvero pari a circa 68%. La probabilità si avvicina sempre più al 100% all’aumentare di t. Per t = 2 la probabilità è pari al 95.4%. Considerato il problema da un altro punto di vista, può essere utile esprimere la probabilità che la misura cada al di fuori di un intervallo pari a intorno al valore vero. Tale probabilità è data da . Accanto all’integrale sopra riportato, che esprime la probabilità che una misura possa simmetricamente ricadere in un intervallo pari a intorno al valore vero, una forma conveniente per l’integrale normale degli errori è data da ,

che rappresenta chiaramente la metà dell’integrale scritto in precedenza6. Questo nuovo integrale è di estrema utilità in quanto esso permette di calcolare la probabilità che il risultato di una misura cada in qualunque intervallo generico di estremi e . Si ha .

5 6

Si veda ad esempio J. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli, Appendice A. Si veda anche ad esempio J. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli, Appendice B

27

Giustificazione della media come migliore stima Sfortunatamente la distribuzione limite per un insieme di misure difficilmente è nota a priori. In pratica si dispone solamente di un numero finito di valori misurati. Dati questi valori, come è possibile valutare la migliore stima per il valore vero della grandezza? Si supponga di avere N misure della grandezza x, , e di conoscere a priori i parametri e della distribuzione normale limite associata alle misure. La probabilità di ottenere una misura vicina al primo valore ottenuto è data da

. Tralasciando i coefficienti numerici e l’ampiezza dell’intervallo dx, si può scrivere . Di conseguenza, per le probabilità di ottenere le altre misure si ha . Ora, la probabilità di osservare l’intero insieme di N valori è data dal prodotto delle singole probabilità, in quanto trattasi di probabilità complessiva di eventi indipendenti.

. In questa espressione rappresentano i valori ottenuti dalle misure, essi sono quindi noti. I valori dei parametri e sono invece in generale sconosciuti. Si assume solamente che le misure obbediscano ad una distribuzione limite di tipo Gaussiano. Per determinare le migliori stime (i 28

valori più verosimili) per e è possibile procedere cercando la coppia di valori per cui la probabilità complessiva di ottenere le misure è massima. Si vede facilmente che la probabilità è massima quando l’esponente è minimo. La migliore stima di è dunque quel valore tale per cui

è minimo. Per determinare tale valore si differenzia l’espressione rispetto a uguale a zero. Si ottiene

e si pone la derivata

da cui dove con si è indicata la migliore stima per ottenuta a partire dai risultati delle misure. Si ottiene come anticipato in precedenza che la migliore stima per il valore vero della misura è fornito dalla media dell’insieme delle misure. Stima del parametro di larghezza della distribuzione Anche per trovare la migliore stima per si può procedere in modo analogo. Occorre differenziare la rispetto a e porre la derivata uguale a zero. N

dP(x1 ,..., x N ) ! = d!

# (x

N i=1

N

i

" x0 )

4!

4

2

4! e

"

N

# ( xi " x0 )2 i=1

2! 2

" N!

! 2N

Si ottiene che

Da cui

29

N "1

e

"

# ( xi " x0 )2 i=1

2! 2

=0

e

. Nell’ultima uguaglianza è stato taciuto un fatto importante. La migliore stima per implica che venga utilizzato il valore vero . Questo non è in generale uguale a . La più appropriata applicazione della teoria degli errori7 mostra che questa sostituzione implica per

.

7

Vedi ad esempio J. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli, Capitolo 5 e Appendice E.

30

Propagazione delle incertezze In questa Sezione viene trattato il problema della propagazione delle incertezze quando si misurano più grandezze differenti x,y,…,z soggette a errori di tipo casuale e poi si utilizzano tali grandezze per calcolare altre grandezze espresse come funzioni delle grandezze misurate . Occorre dotarsi di metodi per stabilire l’incertezza da attribuire al risultato finale. Se le grandezze x,y,…,z sono soggette solo ad errori di tipo casuale, esse sono distribuite normalmente con parametri di larghezza . Sulla base di quanto visto in precedenza, queste possono essere assunte come le incertezze su base statistica da associare alle misure delle singole grandezze. Per stabilire come le distribuzioni delle grandezze misurate influenzino la distribuzione della grandezza q è utile procedere per passi. (1) Somma di una costante numerica con una grandezza misurata Sia , dove A è dato da un valore numerico noto di una grandezza, privo di incertezza, e x è la grandezza misurata. Se x è soggetta a una distribuzione normale per i suoi possibili risultati, allora siano questi distribuiti attorno al valore con parametro di larghezza dato da . La probabilità di ottenere il generico valore x (in un intervallo dx) è dato da

. Nello

specifico si ha

. Per trovare la probabilità di ottenere il valore q si consideri che si può porre

, per cui

. Si ha cioè che i valori di q sono normalmente distribuiti attorno a

, con larghezza pari a

.

Prendendo come l’incertezza sulla misura di x, l’incertezza su q è dunque pari all’incertezza che si ha su x. Indicando genericamente tali incertezze come dq e dx si ha

31

. (2) Grandezza misurata moltiplicata per una costante numerica Sia B un coefficiente numerico noto senza incertezza e si consideri la grandezza dove x è una grandezza misurata soggetta a distribuzione normale. In completa analogia con il caso precedente, la probabilità di ottenere un determinato valore di q è data da

. Si è ottenuto che i valori di q sono distribuiti normalmente, con centro in da . Prendendo come l’incertezza sulla misura di x si ha che

e con larghezza data

. (3) Somma di due grandezze misurate Si supponga di effettuare la misura di due grandezze indipendenti x e y soggette solo ad errori di tipo casuale. Si voglia calcolare la loro somma. Si ha . Siano x e y distribuite normalmente attorno ai valori e con parametri di larghezza e . Si troverà che la distribuzione dei valori calcolati per la somma è di tipo normale, con centro dato da

e larghezza data da

. Una somma del tipo

viene solitamente

detta somma in quadratura o somma quadratica. Per semplicità si assuma che sia (le due distribuzioni sono centrate sull’origine). Le probabilità di ottenere un generico valore x ed un generico valore y sono date da

Poiché x e y sono misurati indipendentemente, la probabilità di ottenere qualunque x e qualunque y è dato dal prodotto delle singole probabilità

. Data la probabilità di ottenere x e y indipendentemente, è possibile da questa derivare la probabilità di ottenere un dato valore per . Tenendo conto che

32

si ha

La probabilità di ottenere qualunque valore di x e y indipendentemente scritta in questo modo può anche essere vista come la probabilità di ottenere qualunque valore della somma e qualunque valore di z, . Per ottenere la probabilità di avere qualunque indipendentemente dal valore assunto da z, occorre sommare (o meglio integrare) su tutti i suoi possibili valori.

Integrando il termine Per cui

tra

e

si ottiene

, come visto in precedenza.

. Ciò mostra che la probabilità di ottenere un valore di

è ancora una volta legata ad una

distribuzione di tipo normale, la cui larghezza è data da Nel caso in cui

e

, da cui

.

non siano entrambi nulli, si può porre .

In questo modo q è stato scritto come la somma di tre contributi. I primi due termini sono centrati sullo zero con larghezze date da e , per quanto visto in precedenza. Si ottiene dunque che la somma dei primi due termini è normalmente distribuita, con larghezza data dal parametro . Il terzo termine corrisponde ad un valore fissato, per cui, per quanto visto al punto 1, esso trasla semplicemente il centro della distribuzione in corrispondenza del valore , senza influenzare la larghezza. Riassumendo, se , con x centrato su e y centrato su , si ha che q è normalmente distribuita con centro in Assumendo

e

e larghezza data da

.

come incertezze su base statistica delle misure delle grandezze x e y si ha che

Si noti che allo stesso risultato si giunge anche per la differenza tra due grandezze. (4) Caso generale

33

Si supponga di misurare due grandezze x e y indipendenti ed i cui valori siano distribuiti normalmente con parametri di larghezza dati da e . Si voglia calcolare una qualunque grandezza di x vicini a

espressa nei termini di x e y. Siano inoltre e i valori di y vicini a

Per l’espressione di

e

piccole (siano cioè i valori

).

si può allora usare l’approssimazione .

Le derivate parziali sono calcolate per x e y fissati a modo Il primo

e

rispettivamente. Espressa in questo

è data dalla somma di tre termini. è un numero fissato. Esso sposta semplicemente la distribuzione dei risultati.

Il secondo termine è dato dal prodotto di un numero fissato distribuzione ha larghezza

moltiplicato per

la cui

. Per quanto visto nei precedenti punti, i valori del secondo termine

sono centrati sullo zero con larghezza data da

.

Discorso analogo vale per il terzo termine. Esso fornisce valori distribuiti normalmente, centrati sullo zero e con larghezza data da

.

Combinando i tre termini e ricordando quanto stabilito nei punti precedenti si ha che fornisce una distribuzione centrata attorno a

e con larghezza data da

Identificando le incertezze dx e dy di x e y con

e

rispettivamente si ha

. Questa relazione rappresenta l’espressione generale per la propagazione degli errori in grandezze che dipendono in modo qualunque da una serie di grandezze misurate tra loro indipendenti e affette da incertezze di tipo casuale. Qualora dipenda da molte variabili, la trattazione precedente può essere estesa per ottenere

.

34

I risultati appena esposti riassumono tutti gli effetti di propagazione delle incertezze su una qualsiasi grandezza espressa come funzione di grandezze misurate affette da distribuzione normale dei possibili valori. In alcuni testi vengono fornite alcune regole di propagazione delle incertezze che sono ricavate su base non statistica. Esse forniscono in ogni caso una stima per eccesso sulle incertezze delle grandezze derivate. Questi risultati possono essere così riassunti: Somma o differenza tra due grandezze: Prodotto o quoziente tra due grandezze: Prodotto di una grandezza per numero esatto: Potenza di una grandezza: Queste regole rappresentano comunque dei limiti superiori alla valutazione delle incertezze delle grandezze derivate. Se vi è qualche ragione di sospetto che gli errori sulle grandezze misurate non siano indipendenti e casuali, allora le regole derivate su base statistica, e che conducono alle somme quadratiche per le incertezze come ottenuto nei punti (1)-(4) precedenti, non possono essere applicate. D’altra parte le regole approssimate ora fornite rappresentano sempre un limite per eccesso sulle incertezze. Può essere una buona norma, solo in questo caso, utilizzare le regole approssimate. Spesso, di fatto, vi è poca differenza se si sommano le incertezze in quadratura o direttamente. Incertezze relative Si è sinora parlato di incertezza dx su una grandezza come margine di confidenza per il risultato della misura di cadere in prossimità del valore vero assunto dalla grandezza. È spesso utile indicare la percentuale di tale errore rispetto al valore della grandezza misurata. Si definisce errore relativo la quantità data da . L’errore relativo fornisce un’idea della bontà della misura, dando un’indicazione approssimativa della sua qualità. L’errore dx è invece spesso indicato come errore assoluto. Al contrario dell’errore assoluto che ha le stesse dimensioni della grandezza, l’errore relativo è adimensionale, in quanto rapporto tra grandezze omogenee. Poiché l’errore relativo è spesso un numero piccolo, è spesso conveniente moltiplicarlo per 100 e rappresentarlo come incertezza percentuale . A titolo di esempio, errori percentuali di 10% sono indice di misure piuttosto rozze, mentre errori percentuali di 1% o 2% indicano misure abbastanza accurate. Propagazione degli errori e statistica in un esperimento 35

In molti esperimenti il ruolo della propagazione degli errori è complementare a quello dell’analisi statistica. In molti altri casi invece, l’esperimento può essere analizzato utilizzando sia la propagazione delle incertezze, sia metodi statistici. Sarebbe buona norma seguire entrambe le strade, per valutare se esse conducono, almeno approssimativamente, alle stesse risposte. A titolo di esempio si consideri la misura dell’accelerazione di gravità a partire dalla misura del periodo delle oscillazioni di un pendolo. Dallo studio del moto del pendolo8 si ottiene che l’accelerazione di gravità può essere ottenuta in funzione della lunghezza del filo del pendolo e del periodo di oscillazione. In particolare

, dove

e

. Per ottenere l’incertezza su g è possibile

misurare separatamente l e T e quindi usare la propagazione degli errori. Alternativamente è possibile ripetere la misura di g parecchie volte ed analizzare statisticamente la distribuzione di valori ottenuti. I valori delle incertezze ottenute nei due modi dovrebbero ragionevolmente essere simili. Deviazione standard della media Si supponga di avere N misure della grandezza x e che queste siano distribuite normalmente attorno al valore vero con parametro di larghezza . È possibile chiedersi quale sia l’incertezza, e dunque l’affidabilità, da associare alla media come migliore stima del valore vero. La media

può essere vista come una funzione semplice degli N valori . È dunque possibile utilizzare le regole di propagazione delle incertezze viste in precedenza per determinare la distribuzione dei risultati. In questo caso si ha che tutte le sono misure della stessa grandezza x, con lo stesso valore vero e lo stesso parametro di larghezza . Da quanto visto, poiché tutte le misure sono distribuite normalmente, deve essere distribuita normalmente anche la loro somma e di conseguenza il valore medio . Inoltre, poiché tutte le hanno lo stesso valore vero comune, il valore vero della media deve essere dato da

. Si ottiene quindi che nell’ipotesi di effettuare parecchie volte lo stesso insieme delle N misure, i possibili valori di ottenuti sarebbero distribuiti normalmente attorno al valore vero . Per quanto riguarda la larghezza della distribuzione si ha che

8

Si veda a tal proposito S. Nannarone, L. Pasquali, Fisica A, Athena Editrice, Capitolo 14

36

e poiché tutte le N misure hanno la stessa

e

, ne consegue che

,

giustificando quanto è stato anticipato in precedenza. In conclusione, se si effettua una serie di N misure una sola volta, allora si può essere confidenti al 68% che il risultato della media giaccia entro (per eccesso o per difetto) dal valore vero . può dunque essere presa come incertezza della media. Essa è anche detta deviazione standard della media. Discrepanza e analisi statistica La statistica permette di stabilire in termini quantitativi circa l’accettabilità o meno della discrepanza tra due valori, siano essi il risultato di due differenti misure della stessa grandezza (ad esempio effettuate con due diversi apparati o da due diversi osservatori) oppure sia uno di essi il risultato di un’operazione di misura e l’altro il valore atteso, noto per altra strada. Ciò può essere fatto in base alla distribuzione dei valori misurati. Si consideri l’ultimo caso. Ponendo

, il parametro t fornisce il numero di

deviazioni standard per cui differisce da . È possibile calcolare la probabilità di ottenere uno specifico valore di t (o maggiore di esso) come . Se è sufficientemente alto (convenzionalmente maggiore di 5%) allora vi è una ragionevole confidenza che la discrepanza non sia significativa. Se è basso (minore di 5%) é molto improbabile ottenere tali valori di t e la discrepanza è significativa. In altri termini non è ragionevolmente il valore vero attorno a cui le misure sono distribuite. Se poi è minore di 1% la discrepanza è altamente significativa.

37

Applicazioni ed approfondimenti della teoria statistica dell’analisi dei dati Rigetto dei dati Si supponga di effettuare N misure della stessa grandezza fisica. Come più volte discusso, ci si attende che queste forniscano valori relativamente prossimi tra loro e distribuiti in modo normale, qualora le misure siano indipendenti ed affette solo da errori casuali. Tuttavia può accedere che una o più tra le misure siano in evidente disaccordo con l’insieme delle altre. Occorre dunque stabilire se tali valori debbano essere comunque considerati oppure debbano essere scartati per non influenzare in modo determinante una corretta valutazione del valore vero della misura. Il problema del rigetto dei dati è un argomento controverso. Secondo alcuni nessun dato andrebbe mai rigettato, in quanto esso è il risultato dell’operazione di misura, intrinsecamente affetta da incertezze, e come tale esso dovrebbe contribuire all’analisi complessiva. In ogni caso, può essere di utilità riassumere in questa sede un semplice criterio per stabilire la accettabilità o meno di un risultato dubbio. Bisogna comunque tenere bene in conto che qualora si decida si scartare un risultato, la media e la deviazione standard dei dati subiscono un profondo cambiamento, soprattutto in quanto il dato scartato assume un valore significativamente separato dall’insieme degli altri dati. Scartando un dato dunque si incide profondamente sul risultato complessivo della misura. Una volta deciso di scartare un dato dall’insieme complessivo sarebbe poi buona norma cercare di stabilire le cause del risultato anomalo. Ciò contribuirebbe a rendere più giustificata la decisione. Siano dunque date N misure della grandezza x, con valori dati dall’insieme . Di queste è possibile calcolare il valore medio e la deviazione standard . Assumendo che le misure siano distribuite secondo la distribuzione di Gauss, è poi possibile calcolare la probabilità di ottenere ciascuna delle N misure, assumendo come centro per la distribuzione il valore medio e per larghezza la deviazione standard. In particolare, sia il risultato sospetto all’interno della serie. Sia t il numero di deviazioni standard per cui

differisce da

,

. È possibile calcolare la probabilità di ottenere

misure di questo tipo, che differiscono al minimo di questa quantità dalla media. Tale probabilità è data da . Tenendo conto che sono state effettuate N prove è poi possibile calcolare il numero delle misure attese di tipo ‘anomalo’ quanto sul totale delle prove. Questo numero si ottiene moltiplicando la probabilità per il numero di prove effettuate N numero atteso di misure anomale quanto

=

.

Un possibile criterio di rigetto, chiamato criterio di Chauvenet, stabilisce che qualora il numero atteso di risposte cattive almeno quanto la misura sospetta sia minore di 0.5, allora la misura dubbia dovrebbe essere rigettata. Si sottolinea che sulla scelta del fattore 0.5 non vi è alcuna motivazione oggettiva. Esso è stato scelto come limite arbitrario, legato solo a criteri di ragionevolezza. Qualora si decida di rigettare un dato, occorre tenere ben presente che sia media che deviazione standard dovranno essere ricalcolate con l’insieme ridotto dei dati. 38

Medie pesate Si consideri il caso in cui diversi sperimentatori effettuino una misura della stessa grandezza ed ottengano diversi risultati, ciascuno caratterizzato da un proprio margine di incertezza. Si supponga che tutti i prodotti delle misure siano il risultato di dati distribuiti secondo distribuzioni di Gauss. I margini di incertezza di ciascuna misura saranno quindi legati alla larghezza della rispettiva distribuzione. Ci si chiede quale sia il valore complessivo corretto da attribuire alla misura della grandezza, considerando l’insieme globale delle misure disponibili e combinando misurazioni in sé distinte. Potrebbe sembrare ragionevole considerare la media tra i diversi valori ottenuti dai diversi sperimentatori. Occorre altresì riconoscere che se le incertezze fornite sulle differenti misure (le larghezze delle diverse distribuzioni) non sono tra loro uguali, vi saranno alcune tra le misure caratterizzate da un margine di precisione maggiore di altre. Tali misure dovrebbero quindi essere considerate maggiormente affidabili o, in altri termini, avere un peso maggiore nel risultato complessivo. Per fissare le idee, si pensi a due soli risultati distinti, ciascuno fornito con il suo errore, dati da e . Le incertezze e possono essere il risultato dell’applicazione dei metodi della statistica su più misure effettuate separatamente dai due osservatori oppure possono essere il frutto della propagazione delle incertezze. Si supponga che i dati siano distribuiti in modo Gaussiano e che le incertezze fornite rappresentino le larghezze delle distribuzioni rispettive ottenute dai due sperimentatori. Sia cioè e con . Si supponga inoltre che la discrepanza

non sia significativa (rispetto a

e

).

Se con si identifica il valore vero comune della grandezza x che entrambi gli sperimentatori stanno misurando, è possibile calcolare la probabilità che il risultato di una misura fornisca il valore , per una distribuzione di possibili risultati affetti da larghezza , e la probabilità di ottenere , per una distribuzione di larghezza . Per quanto sinora visto si ha

. Poiché le due misure sono indipendenti, la probabilità complessiva che i due sperimentatori ottengano i due valori e nelle rispettive misure è data dal prodotto delle probabilità

dove si è posto .

39

La grandezza (chi quadrato) è data dalla somma dei quadrati delle deviazioni delle misure dal valore vero divise per la rispettiva incertezza. Per la determinazione della miglior stima del valore vero (ignoto) è possibile procedere come già fatto in precedenza, considerare cioè come migliore stima del valore vero il valore tale per cui la probabilità complessiva di ottenere i due valori e come risultati delle due misure è massima. Ciò equivale a cercare il valore tale per cui l’esponente è minimo. A tale fine si differenzi rispetto a e si ponga la derivata prima uguale a zero. Si ottiene

da cui

,

dove si è sostituito con la sua miglior stima semplificata nella forma ponendo e

. L’ espressione ora trovata può essere

,

da cui . I termini e vengono detti pesi delle due grandezze misurate e e la somma ora trovata viene detta media pesata. Si vede che qualora i due pesi non coincidano, la miglior stima del valore vero non coincide con la media aritmetica . La grandezza con peso maggiore è quella a cui corrisponde una larghezza di distribuzione più stretta. Si ha quindi che risultati più precisi, con incertezze più basse, pesano maggiormente nella determinazione della migliore stima di . Questa espressione è analoga di quanto visto9 nel caso della determinazione del centro di massa di una distribuzione di masse dello spazio. Il centro di massa è più prossimo al luogo dove è concentrata la massa maggiore. L’analisi ora eseguita per due operazioni di misura effettuate da due osservatori distinti può essere generalizzata a un qualsiasi numero di misure. Si supponga di avere N distinti valori (con ) della grandezza x ottenuti in diverse prove e ciascuno caratterizzato da una propria incertezza . 9

Si veda ad esempio S.Nannarone, L. Pasquali, Fisica A, Ed. Athena, Capitolo 12 – Elementi di dinamica dei sistemi di particelle.

40

Si ottiene che la media pesata delle N misure è data da

con . Poiché la media pesata può essere considerata come una funzione delle N misure, è possibile calcolare la sua incertezza mediante la formula generale per la propagazione degli errori. Si ottiene che

.

Metodo dei Minimi Quadrati Nella maggior parte degli esperimenti vengono misurate grandezze fisiche differenti e si cerca di determinare l’eventuale presenza di relazioni matematiche di dipendenza tra di esse. In alcuni casi si vuole verificare la sussistenza o meno di una data dipendenza ipotizzata per via teorica (o attraverso altri esperimenti). Altre volte si vuole determinare l’eventuale tipo di dipendenza che le grandezze in gioco mostrano, sulla base della quale trarre deduzioni sul comportamento del fenomeno. Si consideri il caso in cui vengano misurati i valori di solo due grandezze fisiche che caratterizzano il fenomeno e si voglia stabilire se tra di esse sussiste una relazione di tipo lineare. La dipendenza di tipo lineare è la più semplice tra le possibili relazioni e si è già discusso come in molte circostanze dipendenze di tipo non lineare possano essere trasformate con un opportuno cambiamento di variabili in modo da apparire come lineari. Se la dipendenza tra due grandezze è di tipo lineare, i dati sperimentali possono essere riportati in grafico in modo tale che essi giacciano in prossimità di una retta che passa loro ‘ragionevolmente’ vicino. I dati sperimentali sono infatti sempre affetti da incertezza. È dunque estremamente improbabile che essi giacciano sulla retta che rappresenta la dipendenza. Il meglio che ci si può attendere è che la distanza di ogni punto determinato dalla coppia di valori assunti dalle due grandezze dalla retta che rappresenta la loro dipendenza sia minore o uguale all’incertezza sperimentale sulle grandezze misurate. 41

Il problema della determinazione della migliore retta che si adatta all’insieme delle misure può essere affrontato per via statistica. Siano x e y due generiche grandezze misurate che descrivono un fenomeno e siano , gli insiemi dei valori ottenuti in N misure delle due grandezze durante l’evoluzione del fenomeno. Ogni diverso valore assunto da una delle due grandezze ( ) deve essere posto in relazione con il corrispondente valore dell’altra grandezza ( ). Si noti che gli insiemi dei valori assunti dalle grandezze

,

si riferiscono ciascuno a valori

veri differenti della grandezza corrispondente. Supposto che le due grandezze siano in relazione lineare, sia la migliore retta che interpola i dati, dove A e B sono opportuni coefficienti da determinare. Il metodo statistico per individuare la migliore stima per la retta di interpolazione è chiamato regressione lineare o metodo dei minimi quadrati per una retta. Accanto a ciò, occorre stabilire criteri di oggettività per valutare quanto bene la retta trovata si adatti ai dati sperimentali, quanto bene cioè la dipendenza ipotizzata sia appropriata per la descrizione dei dati. Calcolo delle costanti A e B Si disponga di un insieme di misure delle grandezze x e y date da , e si voglia determinare la migliore retta del tipo che interpola i dati. Si supponga che l’incertezza sulla grandezza x sia trascurabile in termini relativi rispetto all’incertezza sulla grandezza y. Si supponga inoltre che le incertezze sulla grandezza y siano tutte di tipo casuale e della stessa entità. In altri termini siano i valori tutti distribuiti in modo normale attorno ai rispettivi valori veri e sia il parametro di larghezza comune delle distribuzioni, identica per tutti i punti. Si noti che in questo caso i vari (come gli ) rappresentano valori differenti della grandezza y (o x), per cui ad ognuno di essi corrisponde un suo differente valore vero, incognito. Poiché si assume che l’incertezza sui valori di sia trascurabile, si ha che il valore vero di ogni corrisponde a stesso. Ipotizzando dunque di conoscere le costanti A e B, si può pensare di calcolare il valore vero di ogni . Esso è dato da . Avendo poi ipotizzato che i valori misurati siano distribuiti in modo normale attorno ai rispettivi valori veri, si può calcolare la probabilità di ottenere ciascun valore misurato come

. Poiché tutte le misure l’insieme dei valori

sono tra loro indipendenti, la probabilità complessiva di ottenere tutto è data dal prodotto delle probabilità semplici. Si ha

avendo posto 42

. Seguendo il procedimento già più volte impiegato, la migliore stima per i coefficienti A e B può essere ottenuta cercando quei valori tali per cui la probabilità complessiva è massima. Ciò equivale a trovare il minimo dell’esponente . Per determinare il minimo di occorre differenziare rispetto ad A e B e porre le derivate uguali a zero. Si ha

Queste due uguaglianze portano alle seguenti equazioni, che devono essere verificate simultaneamente

Dalla risoluzione delle due equazioni si ricavano le migliori stime per i coefficienti A e B. Si ha

Come si vede dal risultato, le migliori stime per A e B possono essere calcolate immediatamente dall’insieme dei dati sperimentali. Molte calcolatrici programmabili al giorno d’oggi già contengono preimpostata la funzione che permette il rapido calcolo dei due coefficienti. La retta che meglio interpola i dati è anche detta retta dei minimi quadrati. Valutazione dell’incertezza su yi Si è assunto nel punto precedente che solo le misure fossero affette da incertezza e che tutte le incertezze fossero della stessa entità. In realtà l’entità dell’incertezza non è spesso nota a priori. Nondimeno essa può essere calcolata su base statistica ricorrendo ai dati stessi. Ci si può fare un’idea dell’incertezza dei dati esaminando la loro dispersione rispetto alla retta di interpolazione. 43

Assumendo che ogni che gli scarti

sia normalmente distribuito attorno al suo valore vero

, si ha

sono normalmente distribuiti attorno allo zero.

Come fatto in precedenza, la migliore stima per il parametro che rende massima la probabilità complessiva la derivata prima uguale a zero si ottiene

può essere fatta cercando il valore

. Differenziando rispetto a

e ponendo

. Si noti che i coefficienti A e B che compaiono in questa espressione sono quelli esatti, a cui corrisponde il valore vero di ogni . In realtà ciò che si conosce in base ai dati è solo la migliore stima per questi coefficienti. È possibile mostrare10 che una corretta valutazione per utilizzando le migliori stime per i coefficienti di regressione lineare (e non i valori esatti) porta alla scrittura .

Valutazione delle incertezze su A e B Avendo stimato l’incertezza sulle misure di y, date da

, è possibile calcolare le incertezze sui

coefficienti A e B. Le stime per A e B sono funzioni ben definite dei valori misurati

e

. Come tali, le incertezze possono essere dunque calcolate utilizzando le tecniche di propagazione degli errori. Si ottiene che

.

In tutte le precedenti discussioni si è ipotizzato che le incertezze sulla grandezza x fossero trascurabili e che le incertezze su y fossero tutte della stessa entità. Anche quando queste circostanze non si verificano è possibile applicare i metodi della statistica per valutare la migliore retta di interpolazione e le relative incertezze. Le procedure sono però più complesse e non vengono fornite in questa sede. Per esse si rimanda a testi specializzati di analisi degli errori11.

10 11

Ciò esula dalle finalità del presente corso. Si veda ad esempio J.R. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Ed. Zanichelli, Bologna.

44

Covarianza e Correlazione Una volta determinate le migliori stime per i coefficienti A e B di regressione lineare occorre dotarsi di metodi che permettano di valutare quanto bene i dati sperimentali siano rappresentati (si accordino) con la retta trovata. Siano effettuate N misure delle due grandezze x e y. Si definisce covarianza di x e y la quantità

dove e sono i valori medi dell’insieme dei dati. Si definisce coefficiente di correlazione lineare la quantità

dove

e

sono gli scarti quadratici medi dei valori di x e

y. Si noti che il significato di

e

è in questo caso differente da quanto visto sinora, in quanto

gli , come gli , si riferiscono a valori veri distinti e differenti delle stesse grandezze x e y. Per questo e non devono essere in generale piccoli. Esplicitando , e si ha

.

Il coefficiente r è un indice di quanto bene i punti sperimentali si adattino ad una retta. Il coefficiente r è sempre compreso tra +1 e –1. Se r è vicino a i punti giacciono effettivamente vicino ad una retta. Se r è prossimo a zero i punti non sono correlati, con poca o nessuna tendenza ad essere interpolati con una retta. Per rendersi conto di ciò basti supporre che i punti stiano esattamente su di una retta data da . Si ha allora che per ogni vale e . Sottraendo membro a membro si ottiene

. Sostituendo questa espressione nella scrittura di r si ha

,

dove il segno di r dipende dal segno di B (dalla pendenza della retta). Nel caso in cui non vi sia alcuna correlazione tra le due grandezze x e y, per qualunque valore di ogni avrebbe la stessa probabilità di trovarsi sopra come sotto . I termini della sommatoria al

45

numeratore

sono dunque sia positivi che negativi, mentre il denominatore è

sempre positivo. Al limite di N tendente ad infinito, r tende ad annullarsi. Nel caso di un numero limitato di misure ci sia attende che r sia comunque piccolo. Per attribuire un significato quantitativo al parametro r si consideri quanto segue. Si supponga che x e y non siano correlate. Per un numero di prove tendente ad infinito r dovrebbe tendere a zero. Dopo un numero limitato di misure è altresì molto improbabile che r sia nullo. Con i metodi della statistica è possibile calcolare la probabilità che r sia più grande di qualche specifico valore dopo un dato numero di prove N. Si dice

la probabilità che N misure di due grandezze x e y non correlate diano un coefficiente di correlazione lineare più grande di un dato valore . Il calcolo di tale probabilità è complesso e non viene fornito in questa sede. Vi sono numerosi testi12 che riportano i valori calcolati per tali probabilità, per differenti valori di e di N. Ci si attende che se le grandezze x e y non sono correlate, la probabilità sia grande. Viceversa, una bassa

di trovare

è indice di scarsa probabilità che le misure

siano non correlate e dunque è indice di dipendenza lineare tra di esse. Convenzionalmente se è minore del 5% si dice che la correlazione è significativa. Se è minore del 1% la correlazione è altamente significativa. Adattamento del metodo dei minimi quadrati ad altre curve Si disponga di un insieme di misure delle grandezze x e y date da , di cui si ipotizza una determinata dipendenza funzionale. Nelle precedenti sezioni si è visto come sia possibile stimare la migliore retta che interpola i dati sperimentali. Utilizzando le medesime procedure è possibile trovare la migliore curva che si adatta ai dati anche per dipendenze funzionali più complesse. Siano verificate tutte le ipotesi assunte nelle sezioni precedenti (assenza di incertezza per le misure della grandezza x e incertezze tutte uguali per le misure di y, con i dati distribuiti normalmente attorno ai rispettivi valori veri). Si ipotizzi che tra le due grandezze vi sia una dipendenza funzionale del tipo , dove la è espressa attraverso un opportuno numero di parametri indipendenti. Si vuole determinare la scelta migliore per tali parametri affinché la curva che esprime la interpoli al meglio i dati. Se i valori di x sono noti senza incertezza, ipotizzando di conoscere i valori esatti da attribuire ai parametri nella

, è possibile esprimere i

valori veri di ciascun come . In modo del tutto analogo a quanto fatto nelle precedenti sezioni è possibile scrivere la probabilità complessiva di ottenere l’insieme completo delle N misure come il prodotto delle singole probabilità di ottenere ciascun valore 12

. La migliore stima dei parametri da cui la

Si veda ad esempio J.R. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Ed. Zanichelli, Bologna, Appendice C.

46

dipende è ottenuta cercando i valori di questi che rendono massima la probabilità complessiva. Alternativamente, ciò equivale a trovare i valori dei parametri che rendono minima la somma di quadrati . Occorre dunque derivare rispetto ad ognuno dei parametri da cui la dipende e porre le derivate uguali a zero. Si ottiene in questo modo un sistema di tante equazioni simultanee quanti sono i parametri della . Le migliori stime dei parametri sono date dalla soluzione del sistema.

47

Tabella delle probabilità percentuali

che N misure di due variabili non correlate linearmente diano un coefficiente di correlazione

(Si veda J.R. Taylor, Introduzione all’analisi degli errori, Zanichelli). Le caselle vuote indicano probabilità inferiori a 0.05%.

r0 N

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 25 30 35 40 45

100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100

94 90 87 85 83 81 80 78 77 76 75 73 72 71 70 69 68 67 63 60 57 54 51

87 80 75 70 67 63 61 58 56 53 51 49 47 46 44 43 41 40 34 29 25 22 19

81 70 62 56 51 47 43 40 37 34 32 30 28 26 24 23 21 20 15 11 8 6 4.5

74 60 50 43 37 33 29 25 22 20 18 16 14 12 11 10 9 8.1 4.8 2.9 1.7 1.1 0.6

67 50 39 31 25 21 17 14 12 9.8 8.2 6.9 5.8 4.9 4.1 3.5 2.9 2.5 1.1 0.5 0.2 0.1

59 40 28 21 15 12 8.8 6.7 5.1 3.9 3 2.3 1.8 1.4 1.1 0.8 0.7 0.5 0.2

51 30 19 12 8 5.3 3.6 2.4 1.6 1.1 0.8 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0.1 0.1

41 20 10 5.6 3.1 1.7 1 0.5 0.3 0.2 0.1 0.1

29 10 3.7 1.4 0.6 0.2 0.1

0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

0

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

50 60 70 80 90 100

100 100 100 100 100 100

73 70 68 66 64 62

49 45 41 38 35 32

30 25 22 18 16 14

16 13 9.7 7.5 5.9 4.6

8 5.4 3.7 2.5 1.7 1.2

3.4 2 1.2 0.7 0.4 0.2

1.3 0.6 0.3 0.1 0.1

0.4 0.2 0.1

0.1

48

Misure elettriche – circuiti a corrente continua Legge di ohm. Dato un conduttore che connette i terminali di una sorgente di forza elettromotrice si osserva nel conduttore stesso un passaggio di corrente elettrica. Con riferimento al Capitolo 9 del testo di Fisica A, se ai capi A e B di un conduttore metallico è applica una differenza di potenziale , vale in generale la seguente relazione, nota come prima legge di Ohm

dove I è l’intensità della corrente elettrica che fluisce nel conduttore e RAB è la sua resistenza. La legge di Ohm stabilisce dunque una proporzionalità tra differenza di potenziale e corrente che fluisce nel conduttore. Un conduttore per cui vale la legge di Ohm è detto di tipo ohmico. La resistenza elettrica di un conduttore ohmico dipende dalla geometria e dal materiale, oltre che dalle condizioni fisiche ed in particolare dalla temperatura. Per conduttori omogenei e a sezione costante (come sbarre, cilindri, fili) la resistenza può anche essere espressa nella forma , nota anche come seconda legge di Ohm, dove l è la lunghezza del conduttore, S la sua sezione trasversale e è la resistività del materiale che compone il conduttore. La resistenza ha le -2 2 1 -1 dimensioni di [C L M T ], la sua unità di misura è data da C-2· m2· kg1·s-1 e prende sinteticamente il nome di Ohm (indicato con il simbolo !). Conseguentemente la resistività si misura in Ohm·m, (!·m). Va sottolineato che vi sono materiali per i quali la legge di Ohm non è verificata. Tali materiali sono detti non ohmici. Un conduttore che verifica la legge di Ohm è detto resistore. Schematizzazione di un circuito. Nei disegni schematici di circuiti elettrici un resistore è solitamente indicato come in figura. R

A

B

In modo analogo, ogni altro componente elettrico viene indicato con un simbolo convenzionale. Un semplice circuito elettrico in cui è inserito un resistore, una sorgente di forza elettromotrice e un interruttore può essere rappresentato nel seguente modo. + f.e.m.

R Interruttore 49

In uno schema circuitale come quello indicato in figura si assume che la resistenza dei tratti di conduttore necessario a connettere tra loro i vari elementi sia tutta concentrata nell’elemento resistore R. In altri termini, i tratti di filo in uno schema circuitale come quello rappresentato sono ideali (hanno resistenza nulla). Resistenze in serie Quando due o più resistori sono collegati insieme in modo che abbiano un solo estremo in comune per ogni coppia, si dice che sono collegati in serie. La situazione è mostrata in figura per due resistori.

+ f.e.m.

I

R2

R1

Si noti che nel circuito mostrato, la corrente che fluisce in entrambi i resistori è la stessa, in quanto la carica che transita attraverso R1 deve essere uguale a quella che transita attraverso R2. Per la legge di Ohm, la differenza di potenziale ai capi di ciascun resistore dovrà essere pari a e rispettivamente. La differenza di potenziale complessiva ai capi del ramo di circuito in cui sono posizionati i resistori è dunque data da . Si può pertanto considerare il ramo di circuito in cui sono presenti i due resistori come equivalente ad un unico resistore, Rserie, di resistenza pari a

ai cui capi è presente una differenza di potenziale . Si noti che la differenza di potenziale presente ai capi della coppia di resistori in serie coincide con la differenza di potenziale fornita dalla sorgente di forza elettromotrice. Estendendo il discorso, nel caso in cui nel circuito siano presenti più resistori in serie, la resistenza equivalente è semplicemente fornita dalla somma delle singole resistenze Resistenze in parallelo

50

Due resistori sono collegati in parallelo quando la differenza di potenziale ai loro capi in un circuito è la stessa, come mostrato in figura ("V1= "V2= "V).

+ f.e.m.

I

I2

R1

a

b I2

R2

Ciascun capo dei due resistori è collegato in questo caso direttamente ai terminali del generatore di forza elettromotrice. La corrente che scorre in ciascun resistore è in generale diversa. Quando le cariche arrivano al punto (a), chiamato nodo, la corrente si divide in due parti, I1 che transita attraverso R1 e I2 che transita attraverso R2. Per la legge di conservazione della carica, la corrente totale I che entra nel punto (a) deve essere uguale alla corrente totale che esce dal punto (a). Si ha

Analogo discorso può essere fatto per il punto (b) in cui confluiscono le due correnti nei due rami dove sono presenti i due resistori. Poiché la differenza di potenziale ai capi dei resistori è la stessa e per ognuno vale la legge di Ohm si ha

dove Rparallelo è una singola resistenza equivalente che ha lo stesso effetto sul circuito che hanno le due resistenze R1 ed R2. Essa fa sì che il generatore fornisca la stessa corrente a parità di forza elettromotrice. Si ha così che . Estendendo il discorso a più resistori in parallelo si ottiene

51

Strumenti per misure elettriche L’amperometro a bobina mobile Per le misure in corrente continua uno degli strumenti più semplici e diffusi è l’amperometro a bobina mobile. Il suo funzionamento si basa sulle proprietà di una spira percorsa da corrente di orientarsi nello spazio in presenza di un campo di induzione magnetica. Si consideri una regione di spazio in cui è presente un campo di induzione magnetica costante in modulo, direzione e verso. Si prenda una spira piana percorsa da una corrente I di forma rettangolare immersa in tale campo, come rappresentato in figura, in modo tale che due suoi lati opposti (a e c) siano ortogonali a e che essa possa ruotare attorno ad un asse parallelo a questi lati ed equidistante da loro.

d c

b

a !

!

b I

Con riferimento alla figura, i lati b e d sono percorsi dalla corrente I in versi opposti e sono soggetti alle forze di Lorentz e , uguali in modulo, che costituiscono una coppia a braccio nullo. I lati a e c sono anche essi sottoposti alle forze di Lorentz e uguali in modulo ed opposte in verso, ma in questo caso il braccio vale , dove è l’angolo formato dalla normale al piano della spira e dal campo di induzione magnetica. Poiché il modulo di e vale , il momento di questa coppia di forze ha modulo M dato da

dove con S si è indicata l’area della spira. Vettorialmente si può scrivere

in cui si è posto . La grandezza è anche chiamata momento di dipolo magnetico della spira. In presenza di un campo di induzione magnetica la spira tende dunque a ruotare per disporsi ortogonalmente a . Tale tendenza può essere contrastata dalla presenza di una molla a spirale che 52

eserciti un momento resistente opposto a quello dovuto al campo di induzione magnetica. La spira raggiunge dunque una posizione di equilibrio quando i due momenti si compensano. In questa circostanza è possibile stabilire una relazione tra l’angolo di equilibro della spira e la corrente che circola in essa, fissato il campo di induzione magnetica. Su tale principio si basano gli amperometri a bobina mobile. In essi la misura della corrente circolante è ricondotta alla misura di un angolo di deflessione di una bobina mobile costituita da un avvolgimento di più spire per aumentare la sensibilità dello strumento. Misure di corrente Le misure di corrente si eseguono inserendo l’amperometro in serie al ramo in cui si vuole misurare la corrente, interrompendo il circuito in un punto e richiudendolo mediante lo strumento. Si noti che la bobina attraverso cui fluisce la corrente da misurare, essendo composta da un conduttore avvolto a formare più spire, presenta una sua resistenza ohmica caratteristica, R0, detta resistenza interna dello strumento. A causa di ciò, la lettura della corrente misurata Im è affetta da un errore sistematico. In particolare la corrente Im è sempre più piccola della corrente I che circolerebbe nel ramo in assenza dello strumento. Per vedere ciò si consideri il ramo di un circuito in cui circola la corrente I. Sia R la resistenza complessiva del tratto di circuito e la caduta di tensione ai capi del tratto. Inserendo nel ramo lo strumento di misura, dotato della sua resistenza interna R0, si ottiene una resistenza totale per il tratto dato dalla serie delle resistenze R e R0. Lo schema circuitale è mostrato in figura

+ f.e.m.

I

amperometro R

R0

Fissata la differenza di potenziale ai capi del tratto, la corrente circolante in esso sarà necessariamente diversa da quella originale. In base alla legge di Ohm si ha . Poiché la corrente originale I è data da

si ha

53

. La corrente misurata risente dunque della inserzione dello strumento. Se la resistenza interna dell’amperometro fosse idealmente nulla non si avrebbe alcun errore sistematico. Questo non dipende solamente da una grandezza caratteristica dello strumento (nel qual caso esso potrebbe essere opportunamente tarato per fornire letture corrette) ma anche dalle caratteristiche del circuito di misura ed in particolare dalla resistenza del tratto in cui circola la corrente da misurare. Nell’atto pratico è necessario che la resistenza interna dello strumento sia il più piccola possibile. Si noti che un amperometro a bobina mobile funziona correttamente solo entro un limitato intervallo di valori di corrente. Correnti troppo elevate tenderebbero a far ruotare l’equipaggio mobile solidale con la bobina si angoli superiori rispetto al valore di fondo scala ammesso, con la possibilità di danneggiare lo strumento. Un artificio semplice permette di aumentare la portata dello strumento. Ciò può essere fatto inserendo in parallelo allo strumento, e quindi a R0, una resistenza tarata, Rs, di valore opportuno, detta resistenza di shunt. Lo schema del circuito assume la seguente forma.

+ f.e.m.

I

R

Is

Rs

Im amperometro R0

In questo modo si riduce la corrente nel ramo in cui è inserita la bobina mobile. Con riferimento allo schema elettrico sopra riportato, per la conservazione della carica si ha

D’altra parte, ai capi della bobina mobile e della resistenza di shunt si ha la stessa caduta di tensione, per cui . Ne consegue che .

54

In particolare, scegliendo la resistenza di shunt in modo tale che

, si ottiene

. In questo modo la lettura della scala dello strumento risulta ampliata di un fattore n. Negli strumenti commerciali è possibile selezionare resistenze di shunt di valore differente operando su opportuni commutatori o inserendo i puntali di misura in fori differenti. In questo modo si hanno a disposizione portate differenti per lo strumento. Misure di differenze di potenziale Un amperometro fornisce automaticamente anche una misura di differenza di potenziale ai suoi capi una volta conosciuto il valore della sua resistenza interna. Ciò è dovuto alla legge di Ohm, tale per cui . È dunque possibile tarare la scala dello strumento in modo da fornire una misura della differenza di potenziale. Lo strumento utilizzato in questa modalità è detto voltmetro. Detta Im,max la corrente massima che può circolare nella bobina, il corrispondente valore massimo di differenza di potenziale misurabile è dato da . Tale valore può essere aumentato facilmente ponendo in serie alla bobina delle resistenze tarate di valore opportuno Rn in modo tale che . Se si ha . In modo analogo a quanto visto per l’amperometro, la portata dello strumento può essere dunque facilmente variata cambiando il valore di Rn mediante un opportuno commutatore o inserendo i puntali dello strumento in fori differenti. Per la misura della differenza di potenziale che si presenta ai capi di un tratto di circuito in cui fluisce una corrente I è necessario porre il voltmetro in parallelo ad esso. Lo schema di circuito è mostrato in figura.

I

+ f.e.m.

IR

R

Im R0

Rn

voltmetro 55

Si noti che inserendo lo strumento in parallelo al ramo del circuito si perturba la corrente che fluisce nel ramo stesso e dunque la differenza di potenziale ai suoi capi. Infatti parte della corrente si troverà a transitare ora attraverso il voltmetro. Con riferimento alla figura si ha

dove I è la corrente fornita dal generatore. Si ha poi che la differenza di potenziale misurata è fornita da

avendo sinteticamente indicato con Rv la resistenza totale del voltmetro data dalla somma di R0 e Rn. Essendo la differenza di potenziale ai capi dello strumento uguale a quella ai capi di R si può scrivere

da cui . La differenza di potenziale ai capi della resistenza R in assenza del voltmetro è data da . Unendo i risultati si ottiene che . Come la misura di corrente, anche la misura di differenza di potenziale è affetta da errore sistematico. Tale errore non dipende solo dalle caratteristiche interne dello strumento ma anche dalla resistenza del ramo in parallelo al quale il voltmetro è applicato. Affinché il voltmetro non perturbi in modo significativo il valore della differenza di potenziale originale occorre che il rapporto sia molto piccolo. Occorre cioè che la resistenza dello strumento Rv sia molto grande rispetto ad R. Voltmetri digitali Si tratta di misuratori di differenza di potenziale basati su tecniche numeriche e su dispositivi elettronici a stato solido. Il principio di funzionamento può essere sintetizzato nel modo seguente. All’interno di un voltmetro digitale un circuito elettronico genera una rampa di tensione (differenza di potenziale) crescente linearmente nel tempo. Tale tensione viene inviata all’ingresso di un circuito comparatore. All’altro ingresso del comparatore viene inviata la tensione da misurare . Quando il livello della rampa lineare di riferimento raggiunge il livello pari a il comparatore emette un segnale. Questo segnale ferma l’avanzamento di un temporizzatore (contatore) fatto 56

partire in corrispondenza dell’inizio della rampa lineare di riferimento. La distanza temporale tra l’inizio e lo stop del contatore è proporzionale alla tensione da misurare. In questo caso la misura di differenza di potenziale è ricondotta a una misura di intervalli temporali. Opportunamente tarato, lo strumento fornisce la lettura su un display digitale. Tutte le funzioni svolte dal misuratore digitale sono compiute in realtà da un unico dispositivo integrato, detto convertitore analogico-digitale (ADC – Analog to digital converter).

57

Schema di una relazione scientifica Sommario Nel sommario si spiega concisamente lo scopo dell'esperimento, come esso è stato effettuato e quali sono stati i principali risultati ottenuti. Introduzione Nell'introduzione viene spiegato più in dettaglio lo scopo dell'esperimento e quali sono le sue basi di partenza, ovvero ciò che è già noto e/o che si vuole verificare. Apparato sperimentale • Descrizione dell'apparato sperimentale e del suo montaggio (con schema); • Descrizione degli strumenti usati e delle loro caratteristiche, con particolare riguardo per la loro risoluzione. Risultati • Descrizione di come viene effettuata la misura, con particolare attenzione agli accorgimenti adottati per ridurre gli errori. • Tabella dei dati sperimentali e delle loro incertezze • Discussione degli errori sui risultati ottenuti • Grafici che rappresentano i dati: Nei grafici devono sempre comparire le grandezze e le relative unità di misura sugli assi e le barre di errore dei dati sperimentali. Discussione Discussione dei dati sperimentali ottenuti e dei risultati quantitativi che da essi si possono ricavare (facendo riferimento allo scopo dell'esperimento). I risultati ottenuti vanno riportati con i loro errori. Conclusioni Nelle conclusioni si verifica se gli scopi prefissati sono stati ottenuti e si riportano eventuali considerazioni critiche sui limiti dell'esperimento effettuato.

58

Esperienza n.1 Misura del coefficiente di viscosità Cenni teorici I fluidi sono sistemi formati da moltissimi elementi microscopici in continuo movimento gli uni rispetto agli altri. La forma dei fluidi è in generale fissata dai recipienti che li contengono. Essi non presentano forma propria. Fanno parte dei fluidi i liquidi e i gas. I primi sono sostanzialmente incomprimibili (a densità costante) mentre i secondi possono essere compressi e dunque variare la propria densità in rapporto al volume del contenitore. Si supponga di suddividere il volume occupato dal fluido in piccoli volumi elementari di dimensioni infinitesime (tali però da contenere un elevato numero di costituenti microscopici). Su ogni elemento di volume dV agiscono per effetto degli altri elementi di volume di fluido e per effetto di agenti esterni due tipi di forze: forze di volume e forze di superficie. Le forze si volume (come la forza di gravità) agiscono su tutti i costituenti microscopici compresi entro dV e dunque sono proporzionali alla quantità di materia presente in dV. Le forze di superficie agiscono sui costituenti microscopici presenti alla superficie di dV. Queste possono essere sia forze normali, che agiscono in direzione perpendicolare alle pareti dell’elemento di volume, sia forze tangenziali, che agiscono parallelamente alla superficie che delimita l’elemento di volume e dunque rappresentano sforzi di taglio. In particolare si dice pressione la grandezza scalare

dove

è la forza

che agisce perpendicolarmente sulla superficie infinitesima dS di fluido. Le dimensioni fisiche della pressione sono quelle di una forza per unità di superficie e nel sistema internazionale essa si misura in Pa (Pascal) = . Se un fluido è in quiete, su ogni elemento di volume agiscono solo forze di pressione (sforzi normali). Se un fluido è in movimento, oltre agli sforzi normali devono considerarsi anche gli sforzi di taglio. Infatti, gli elementi che costituiscono il fluido (molecole), pur essendo in moto relativo gli uni rispetto agli altri, sono soggetti a forze di coesione reciproche (forze intermolecolari riconducibili ad effetti elettrostatici13). Quando una parte di fluido viene messa in movimento rispetto alle altre, le forze di coesione producono una sorta di attrito interno nella forma di uno sforzo di taglio. Questo dipende dal fluido considerato. La grandezza che rappresenta l’effetto dell’attrito interno è chiamata viscosità. Per dare la definizione operativa di viscosità si consideri un recipiente che contenga un liquido in quiete. Si ponga sulla superficie libera del fluido una lastra galleggiante di area S e si applichi una forza costante in modulo diretta tangenzialmente rispetto alla superficie libera. Supponendo che la velocità della lastra galleggiante sia sufficientemente piccola da non creare vortici ai suoi bordi, si osserva che gli strati superficiali di liquido a contatto con la lastra (che bagnano la lastra) per effetto delle forze intermolecolari di coesione tra liquido e lastra procedono con essa. In modo analogo, gli strati di liquido più bassi, a contatto con la parete di fondo del recipiente, sempre per effetto delle forze di coesione rimangono in quiete, a contatto con la parete. Gli strati di liquido intermedi si muovono con una velocità che dipende dalla profondità, variabile tra la velocità della lastra alla superficie libera e la velocità nulla delle parti di liquido a contatto con il fondo. Si osserva inoltre che applicando una forza di trazione costante, la velocità di regime con cui la lastra si muove è costante. Ciò è dovuto agli effetti di attrito viscoso che si manifestano tra i vari strati di liquido e che fanno sì che la forza di trazione sia controbilanciata dalla forza di attrito dovuta alla

13

Si veda ad esempio S. Nannarone, L. Pasquali, Fisica A, Capitolo 11 – Forze nella pratica

59

viscosità del fluido. Sia la velocità limite della lastra. Gli elementi di fluido a contatto con essa procedono alla stessa velocità. Gli elementi di fluido appartenenti allo strato di liquido immediatamente sottostante si muovono con una velocità leggermente inferiore, frenando lo strato sovrastante e così via sino allo strato a contatto con il fondo che rimane in quiete. La situazione è schematizzata in figura 1.

Y

y0

dy

v+dv v X

Fig.1 Dall’osservazione sperimentale si ricava che

da cui, integrando, si ottiene

dove

è il livello del liquido nel recipiente. Il coefficiente

ha le dimensioni di [M L-1 T-1 ] e si misura in

è detto coefficiente di viscosità. Esso

.

In modo similare, quando un liquido viscoso è in moto in modo stazionario all’interno di un condotto a sezione cilindrica costante di raggio R, si osserva che la velocità del fluido è massima al centro e nulla alle pareti di contatto col condotto. Definendo la portata come il volume di fluido che attraversa una qualunque sezione trasversale del condotto nell’unità di tempo ( ), si ricava la cosiddetta legge di Poiseuille14

14

Per la derivazione della legge di Poiseuille si rimanda ai testi specializzati. Si veda ad esempio C. Mencuccini, V. Silvestrini, Fisica I, Ed. Liguori, Cap.IX.

60

dove l è la lunghezza del condotto e è la differenza di pressione agli estremi del condotto stesso. La legge di Poiseuille può essere utilizzata per la misura del coefficiente di viscosità di un fluido, in quanto il valore di tale coefficiente può essere ricavato in base ai parametri geometrici del condotto e alle differenze di pressioni ai suoi capi. Su tale legge si basa il funzionamento dei viscosimetri a flusso capillare. Nel viscosimetro di Ostwald (si veda fig.2) la misura del coefficiente di viscosità ignoto di un liquido è ottenuto in termini relativi, sulla base del confronto con il coefficiente di viscosità noto di un secondo liquido, solitamente acqua. Il viscosimetro di Ostwald è costituito da un tubo piegato ad U con due rigonfiamenti. Uno dei due rami dello strumento è costituito da un tubo capillare e presenta un rigonfiamento superiore agli estremi del quale sono segnati due indici m1 e m2. La misura del coefficiente di viscosità procede nel seguente modo. Si introduce dapprima acqua dal ramo più largo fino al raggiungimento del livello c. La si aspira quindi per mezzo di una pompetta dal tubo più sottile fino a che il liquido non raggiunge il livello m1. Si misura il tempo t1 necessario affinché l’acqua passi dall’indice m1 all’indice m2 per effetto della forza peso. Si ripete lo stesso procedimento con il liquido di coefficiente di viscosità incognito, misurando anche in questo caso il tempo t2 necessario per la discesa da m1 a m2. Fig.2

61

Durante gli intervalli di tempo t1 e t2 il volume di liquido fluito nei due casi è lo stesso. Per definizione di portata, il volume è dato dalla seguente: . Per i due liquidi si ha

. Poiché i due volumi sono uguali (il medesimo volume compreso tra le due tacche m1 ed m2) e le geometrie dello strumento sono le stesse nei due casi si ha . Per la determinazione delle due differenze di pressioni, si noti che se un liquido contenuto in un recipiente è soggetto alla sola forza di gravità, si ha che la pressione ad una qualunque profondità d è determinata dal peso di tutta la massa di liquido sovrastante (più eventualmente il peso della massa d’aria che preme sulla superficie libera del liquido). In altri termini

dove S

è la sezione del recipiente, è la densità di massa del liquido. Ne consegue che la differenza di pressione presente tra due livelli (quote) del liquido d1 e d2 è data da . Ciò detto, chiamando con il dislivello tra le due superfici libere del liquido dopo che è trascorso il tempo t, si avrà

da cui

62

dove

e

rappresentano i dislivelli medi nei due casi. Poiché le due misure sono condotte in

modo identico con la stessa strumentazione, si ha che

. Ne consegue che

. Nota dunque la viscosità di uno dei due liquidi (acqua in questo caso) è possibile risalire alla viscosità dell’altro misurando i tempi necessari affinché il livello dei liquidi passi per le due tacche m1 ed m2. Occorre poi conoscere il rapporto tra le densità dei due liquidi. Per la determinazione delle densità è possibile procedere misurando le masse di un volume noto di ciascuno dei due liquidi e quindi ottenere la densità da

.

Il coefficiente di viscosità dell’acqua alla temperatura di 20°C è pari a Materiale occorrente ! • Viscosimetro di Ostwald • Bilancia • Sostegno con asta • Morsetto doppio • Pinza metallica • Propipetta in gomma o pompetta a tre vie • Spruzzetta con acqua distillata • Spruzzetta con alcool etilico • Cronometro • Brocca in plastica per raccolta liquidi usati • Cilindro graduato da 25 ml • Cilindro graduato da 50 ml

Fig.3 63

Procedimento esecutivo Si misura con la bilancia la massa del cilindro da 50 ml prima vuoto e successivamente con un volume noto di acqua. Si ripete la stessa operazione con il liquido incognito (l’alcol etilico) usando, questa volta, il cilindro graduato da 25 ml. Note massa e volume dell’acqua e del liquido incognito si possono calcolare le densità dei due liquidi ed il relativo errore. Successivamente si introduce acqua dal ramo più largo del viscosimetro con la spruzzetta fino al raggiungimento del livello c (vedi Fig. 4). Dal ramo più sottile la si aspira mediante la propipetta finché non raggiunge un livello superiore a m1 (vedi Fig. 5). Si toglie la propipetta in modo da consentire la discesa del liquido per effetto della forza di gravità. Per il calcolo del tempo t1 si fa partire il cronometro nel momento in cui il liquido passa per il livello m1 e lo si blocca quando passa per m2. Fare almeno cinque misure del tempo t. Ripetere lo stesso procedimento con il liquido di viscosità incognita (alcol etilico). Avvertenza Le vibrazioni del tavolo su cui è appoggiato il sostegno col viscosimetro, anche se piccole, modificano il tempo di deflusso del liquido e per tanto sono fonte di errori sistematici.

64

Esempio di relazione Misura del coefficiente di viscosità Sommario In questo esperimento è stato misurato il coefficiente di viscosità dell’alcol etilico mediante un viscosimetro di Ostwald. La misura è stata effettuata in termini relativi, confrontando la viscosità dell’alcol etilico con quella dell’acqua, il cui coefficiente di viscosità, noto, è dato da . Per ottenere il coefficiente di viscosità incognito sono state misurate le densità dei due liquidi. Per le densità dei due liquidi sono stati ottenuti i valori (unità di misura) e (unità di misura), dove è la densità dell’acqua e quella dell’alcol etilico. Per la misura del coefficiente di viscosità dell’alcol etilico si è ottenuto il valore (unità di misura). Introduzione Nell'introduzione viene spiegato più in dettaglio lo scopo dell'esperimento e quali sono le sue basi di partenza, ovvero ciò che è già noto e/o che si vuole verificare. Apparato sperimentale • Descrizione dell'apparato sperimentale e del suo montaggio (con schema); • Descrizione degli strumenti usati e delle loro caratteristiche, con particolare riguardo per la loro risoluzione. Risultati •

Descrizione di come viene effettuata la misura, con particolare attenzione agli accorgimenti adottati per ridurre gli errori. • Valutare quale errore è conveniente associare al valore noto del coefficiente di viscosità dell’acqua (esso è un valore noto per via sperimentale). • Valutare le sorgenti di errore nelle misure di densità e in quelle di intervalli temporali. Indicare le ragioni per cui le misure di densità non vengono ripetute mentre è conveniente ripetere più volte le misure di intervalli temporali per effettuare un’analisi statistica. • Tabella dei dati sperimentali e delle loro incertezze. Esempi: V1 unità di misura m1 unità di misura V2 unità di misura m2 unità di misura unità di misura unità di misura

1

Numero prova … n

t1 t2

65

• •

Utilizzo della propagazione delle incertezze per la determinazione degli errori da attribuire alla misura del coefficiente di viscosità. Discussione degli errori sui risultati ottenuti.

Discussione Discussione dei dati sperimentali ottenuti e dei risultati quantitativi che da essi si possono ricavare (facendo riferimento allo scopo dell'esperimento). I risultati ottenuti vanno riportati con i loro errori. Conclusioni Nelle conclusioni si verifica se gli scopi prefissati sono stati ottenuti e si riportano eventuali considerazioni critiche sui limiti dell'esperimento effettuato.

66

Esperienza n.2 Forze elastiche Cenni teorici Si dicono elastici i corpi che quando vengono deformati con una compressione o dilatazione reagiscono con una forza di richiamo proporzionale alla deformazione. Tale forza tende a far riacquisire al corpo le dimensioni originali. Per i dettagli si faccia riferimento al Capitolo 11 del corso di Fisica A – Forze nella pratica. La forza elastica può essere espressa dalla seguente relazione, nota come legge di Hooke

dove rappresenta la deformazione (espressa come quantità vettoriale) e K è detta costante elastica; essa ha le dimensioni di [MT-2] e si misura in Newton!m-1. La costante K dipende dal materiale di cui è costituito il corpo e microscopicamente dalle proprietà dei legami chimici tra gli atomi costituenti il materiale. Quando un corpo elastico è deformato esso genera quindi una forza di richiamo proporzionale alla deformazione stessa. Se consideriamo un corpo di massa m soggetto ad una forza elastica, l’equazione che ne determina il moto è espressa dalla seguente relazione (per deformazione lungo l’asse X)

che rappresenta l’equazione differenziale del moto armonico. La soluzione dell’equazione differenziale è espressa come

dove

è l’ampiezza massima dell’oscillazione,

periodo di ogni oscillazione è dato da

è la pulsazione e

è la fase iniziale. Il

.

Le molle sono dei corpi di forma opportuna (generalmente di forma elicoidale) sagomati in modo tale da massimizzare, fissate le caratteristiche di elasticità del materiale, la forza elastica. Misura della costante elastica di una molla Da quanto visto, la misura della costante di elasticità di una molla può essere effettuata in due modi differenti: 1. Si sottopone la molla ad una forza nota e si misura la deformazione da questa risentita. Da tale deformazione, in base alla legge di Hooke, si ricava il valore della costante della molla. In questo caso infatti la forza esterna è controbilanciata dalla forza elastica dovuta al materiale. Per una corretta valutazione possono essere applicate forze note differenti e in corrispondenza di queste possono essere misurate le elongazioni. Si possono poi riportare in un grafico i dati e verificare che tra questi sussista una relazione lineare. Dalla pendenza 67

della retta che meglio interpola i dati si ricava la costante K, qualora non sia stato superato il limite elastico del sistema. Per applicare alla molla forze differenti è possibile appendere la molla verticalmente e agganciare al suo estremo inferiore corpi di massa crescente. In questo caso la forza sarà data da . 2. Si misura il periodo di oscillazione di una massa m attaccata alla molla e da questo si ricava la costante di elasticità. Operativamente, si può procedere appendendo la molla verticalmente e attaccando all’estremo inferiore una massa nota. Il sistema viene quindi posto in oscillazione e si misura il periodo. In questo caso l’equazione del moto diventa

che è un’equazione differenziale del secondo ordine a coefficienti costanti non omogenea. La soluzione in questo caso è data dalla soluzione dell’omogenea associata più una soluzione particolare della equazione completa15. La soluzione dell’omogenea fornisce , mentre come soluzione particolare della completa può essere presa la seguente . Tenendo conto delle condizioni al contorno (

, dove

è la deformazione

applicata inizialmente dall’esterno per mettere il sistema in oscillazione, e

) si

ha . La soluzione è sempre di tipo oscillatorio, con oscillazioni che avvengono attorno alla posizione di equilibrio statico

15

e con periodo

.

Si veda la sezione ‘Appendice’ del testo Fisica A, S. Nannarone, L. Pasquali, Ed. Athena, 2006 .

68

Materiale occorrente • • • • • • • • •

N. 2 basi d’appoggio Aste metalliche Morsetti Molle a spirale Metro millimetrato Nastro adesivo Indicatore meccanico Pesetti Cronometro

Procedimento esecutivo Montaggio apparecchiatura Dopo aver collocato un’asta metallica sulla base d’appoggio preventivamente fissata sul bordo di un tavolo con un morsetto di bloccaggio, si dispone, tramite il secondo morsetto, una seconda astina metallica a circa 120 cm dal pavimento. Sull’estremità inferiore della molla si fissa tra due spire l’indicatore meccanico e si dispone l’estremo superiore della molla così preparata in prossimità del punto medio dell’asta metallica orizzontale. Si fissa poi parallelamente alla molla il metro, che sarà bloccato sull’asta metallica tramite nastro adesivo in modo che l’indicatore meccanico sia posto molto vicino al metro stesso. Svolgimento della prova 1: Verifica della legge di Hooke e misura della costante elastica della molla. Si valuta inizialmente la lunghezza della molla in assenza di massa applicata. Si aggiungono in sequenza all’estremità inferiore della molla masse di 50g fino al raggiungimento della massa massima complessiva di 1500g. Si misura l’elongazione raggiunta dalla molla per ogni diversa massa applicata. Svolgimento della prova 2: misura della costante elastica della molla dalla misura del periodo delle oscillazioni. Per questa esperienza occorre scegliere valori di m opportuni: per corpi piccoli le oscillazioni sono infatti rapide e difficili da misurare. È conveniente scegliere corpi di massa compresa tra 500g e 1000g. Per ogni massa si misura il tempo necessario affinché la molla compia 10 oscillazioni complete. Si ripete questa misura più volte in modo da potere calcolare la media e la deviazione standard. Il periodo andrà calcolato dividendo il tempo ottenuto per il numero di oscillazioni, in modo tale da ridurre l’errore relativo. La costante elastica della molla sarà calcolata usando la relazione

Misura della costante elastica di due molle collegate in serie. Per poter verificare l’effetto della composizione delle costanti elastiche si utilizza una seconda molla. 69

È innanzi tutto necessario caratterizzarla, misurandone la costante elastica utilizzando uno dei metodi descritti precedentemente. Si collegano quindi in serie le due molle fissandole una di seguito all’altra in modo da applicare la stessa forza ad entrambe. Si procede come nei punti precedenti per la misura della costante elastica di ciascuna molla. Cosa si può dire della costante elastica del sistema composto?

70

Verifica della legge di Hooke e misura della costante elastica di una molla Schema della relazione Sommario Max 10 righe Introduzione (Max mezza pagina) Apparato sperimentale • Descrivere l'apparato sperimentale utilizzato e il montaggio dell'esperimento • Disegnare lo schema dell'apparato. • Descrivere le caratteristiche degli strumenti utilizzati, ed in particolare la loro risoluzione. Risultati • Descrivere come sono state effettuate le misure di: o Misura I: allungamento di una molla (molla1) in funzione della forza ad essa applicata o Misura II: periodo di oscillazione di una massa appesa alla molla1, molla2 e (molla1+molla2). Indicare in particolare quali procedure sono state eseguite per ridurre al minimo gli errori. Misura I • Riportare in una tabella i valori delle seguenti quantità misurate (ricordarsi di indicare sempre l'unità di misura della grandezza considerata): o Masse utilizzate m o Forza peso corrispondente F = mg (utilizzare valore di g = 9.81 m/s2) o Corrispondente allungamento della molla "l o Incertezze su ciascuna di queste quantità (le masse fornite, per le quali l'incertezza è sull'ultima cifra significativa, sono rispettivamente di 50.0 g, 500 g e 1000 g.) • Riportare le misure effettuate in grafico Misura II • Scelta una opportuna massa, appenderla alla molla1 e misurare il periodo di oscillazione del sistema molla-massa. Per ridurre l'errore relativo, misurare il periodo di 10 oscillazioni complete. • Ripetere la misura 50 volte • Riportare in una tabella i valori del periodo misurati. • Calcolare valore medio e deviazione standard delle misure • Riportare in un grafico l'istogramma relativo, indicando il valore medio e la deviazione standard • Fornire la migliore stima del periodo e la sua incertezza. Ripetere le operazioni sopra descritte per valutare il periodo di oscillazione della seconda molla fornita (molla2) e del sistema di molle in serie (molla1+molla2). Discussione Misura I 71



Utilizzando il metodo dei minimi quadrati, calcolare la migliore stima della costante elastica della molla K e del termine noto A della relazione lineare y = Bx + A. • Calcolare la deviazione standard sui valori di "l in base alla dispersione dei dati rispetto alla retta dei minimi quadrati e dire se è maggiore l'errore strumentale o quello statistico. • Utilizzare il maggiore fra errore statistico ed errore strumentale per calcolare l'incertezza sui coefficienti K e A. • Riportare sul grafico la retta dei minimi quadrati • Calcolare il coefficiente di correlazione r dei dati misurati e dire (sulla base della tabella fornita) qual è la probabilità che le due grandezze misurate siano effettivamente correlate linearmente. La legge di Hooke è verificata? Misura II • Utilizzare la migliore stima sul periodo T per calcolare il valore di K. • Calcolare, utilizzando la propagazione degli errori, l'incertezza sulla determinazione di K. Discutere le differenze fra i due metodi di valutazione K. Gli errori giustificano la differenza fra i "#$%&'('#)!! • *'#&#++(",!&,!-,.#,!/,$(',!/,"!0'',1,",!.(#!.%,!-,'0.#!%1(!-#2�"!$'#-(!.#!!3! • Discutere il risultato ottenuto per il sistema di molle in serie e dire se esiste una relazione semplice che lega i valori di K delle sue molle a quello del sistema in serie. Conclusioni (max mezza pagina)

72

Esperienza n.3 Verifica delle leggi di Ohm e misura della resisitività Schema della relazione NOTA PRELIMINARE: In questo esperimento vengono misurate contemporaneamente la corrente che passa attraverso un resistore e la differenza di potenziale potenziale ai capi di esso. Per questo V + vengono utilizzati due multimetri (uno digitale e uno analogico). Lo schema dei due circuiti di misura è riportato nella Fig.1. È importante ricordare che per la misura della I differenza di potenziale "V lo strumento + (usato come voltmetro) deve essere messo in parallelo al resistore (Fig.1a) in modo tale a b che la differenza di potenziale ai capi dello Fig1 In rosso è indicate il resistore, lo strumento strumento sia pari alla caduta di potenziale è indicato con un cerchio (verde se usato come ai capi del resistore. La misura di una voltmetro (V), rosso se usato come amperometro corrente I viene invece eseguita mettendo lo (I)). È importante notare che il polo positivo strumento in serie al circuito (Fig.1b) in del voltmetro va collegato al capo positivo della modo tale che la corrente che scorre nel resistenza (dato a sua volta dalla polarità del multimetro (che opera in questo caso come generatore) e il capo negativo del voltmetro al amperometro) sia la stessa che scorre nel capo negativo della resistenza. resistore. Fare riferimento alle dispense (misure elettriche) per maggiori dettagli.

Sommario Max 10 righe Introduzione (Max mezza pagina)

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Apparato sperimentale: • Descrivere l'apparato sperimentale utilizzato e il montaggio dell'esperimento • Disegnare lo schema dell'apparato. • Descrivere le caratteristiche degli strumenti e il loro utilizzo, in particolare la loro risoluzione, i fondo-scala utilizzati per ciascuna misura e l'eventuale presenza di un offset (lettura diversa da zero quando non passa corrente nel circuito). Nota: Per ciascuna misura occorre sempre scegliere il fondo-scala più piccolo (che quindi garantisce la migliore risoluzione), compatibile con la misura (cfr. dispense lezione 1). Attenzione: Fate passare corrente nel circuito solo durante la misura: un passaggio prolungato nel tempo produce un aumento di temperatura nel filo con conseguente variazione della resistività ed eventuale danneggiamento del filo stesso. Risultati • Descrivere come sono state effettuate le misure di: o Misura I (I legge di Ohm): Misura della dipendenza del potenziale ai capi di un resistore in funzione della corrente che passa attraverso esso. Utilizzare come 73

resistore il filo di costantana di diametro 1.000 mm. Montare il circuito in modo da utilizzare il multimetro digitale come amperometro e quello analogico come voltmetro. Misurare la "V ai capi del resistore al variare di I nell'intervallo 0-1.0 A, a passi di 0.05 A. Utilizzare i fondo-scala appropriati di entrambi gli strumenti. o Misura II (II legge di Ohm) Misura del potenziale "V ai capi del resistore in funzione della sua lunghezza L. Utilizzare il resistore di costantana, di diametro 0.700 mm e montare il circuito analogamente alla misura I. Fissata la corrente (0.5 A), misurare la "V per diverse lunghezze del resistore, spostando uno dei due connettori collegati al voltmetro lungo il filo utilizzando un 'coccodrillo' , a passi di 5 cm (misurati utilizzando il metro che vi verrà fornito). o Misura III (II legge di Ohm): Misura della dipendenza della resistenza dalla sezione del resistore. A fissata corrente (0.5 A) e lunghezza L (quella max del filo) misurare la differenza di potenziale ai capi dei resistori di costantana con diversi diametri (0.350 mm, 0.500 mm, 0.700 mm e 1.000 mm). o Misura IV (II legge di Ohm): Misura della dipendenza della resistenza dal materiale. A fissata corrente (0.5 A) misurare la differenza di potenziale ai capi del resistore di Messing. Indicare in particolare quali procedure sono state eseguite per ridurre al minimo gli errori e come essi sono stati valutati. Misura I • Riportare in una tabella i valori delle seguenti quantità misurate (ricordarsi di indicare sempre l'unità di misura della grandezza considerata): o Differenza di potenziale "V e sua incertezza o Corrente I e sua incertezza • Riportare le misure effettuate in un grafico, scegliendo come variabile indipendente quella misurata con errore trascurabile rispetto all'altra. Misura II • Riportare in una tabella i valori delle seguenti quantità misurate (ricordarsi di indicare sempre l'unità di misura della grandezza considerata): o Differenza di potenziale "V e sua incertezza o Lunghezza del resistore L e sua incertezza o Rapporto fra la differenza di potenziale e la corrente "V/I, e sua incertezza • Riportare su un grafico la quantità V/I in funzione della lunghezza del resistore L Misura III • Riportare in una tabella i valori delle seguenti quantità misurate (ricordarsi di indicare sempre l'unità di misura della grandezza considerata): o Differenza di potenziale "V e sua incertezza o Diametro del filo (il diametro è indicato di fianco a ciascun filo ed è fornito con precisione molto elevata, ovvero con errore trascurabile rispetto agli errori delle altre grandezza misurate) o Area della sezione del filo o La quantità (I/"V)L (dove L è la lunghezza, misurata, del resistore) e sua incertezza • Riportare su un grafico la quantità (I/"V)L in funzione della sezione del resistore. Misura IV • Calcolare il valore della resistività ! del Messing a partire dai valori misurati "V, I , L (lunghezza del resistore) e del valore fornito del diametro del resistore. Fornire l'incertezza sul valore di !. Discussione 74

Misura I • Utilizzare il metodo dei minimi quadrati per calcolare i coefficienti della relazione lineare che lega la differenza di potenziale "V alla corrente I. Determinare la migliore stima della resistenza R e del termine noto A. • Calcolare la deviazione standard sui valori di "V (supponendo che sia la stessa per tutti i punti) in base alla dispersione dei dati rispetto alla retta dei minimi quadrati e dire, per ogni punto misurato, se è maggiore l'errore strumentale o quello statistico. • Utilizzare il maggiore fra errore statistico ed errore strumentale per calcolare l'incertezza sui coefficienti R e A. • Riportare sul grafico la retta dei minimi quadrati • Calcolare il coefficiente di correlazione r dei dati misurati e dire (sulla base della tabella fornita nella dispense) qual è la probabilità che le due grandezze misurate siano effettivamente correlate linearmente. La prima legge di Ohm è verificata? Misura II • Considerando il grafico di "V/I in funzione di L e le incertezze di ciascuna grandezza misurata, discutere se le approssimazioni necessarie per applicare il metodo dei minimi quadrati sono soddisfatte in questo caso. Come si può verificare, con un metodo alternativo, la dipendenza lineare di "V/I da L? Misura III • Procedendo analogamente alla misura I, verificare attraverso i minimi quadrati la dipendenza della quantità (I/"V)L dalla sezione del filo S. Ricavare il coefficiente di proporzionalità ! (resistività del materiale) e la sua incertezza. • Riportare sul grafico la retta dei minimi quadrati; • Calcolare il coefficiente di correlazione r dei dati misurati e dire (sulla base della tabella fornita nella dispense) qual è la probabilità che le due grandezze misurate siano effettivamente correlate linearmente. La seconda legge di Ohm è verificata? Misura IV Confrontare il valore della resistività ! per i due materiali (costantana e messing e dire se il metodo di misura (con la sua incertezza) permette di distinguere quantitativamente i due valori. Conclusioni (max mezza pagina)

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Esperienza 4 Misura dell’ Indice di rifrazione Cenni teorici Al termine del Capitolo 10 del testo di Fisica A sono state formulate le 4 equazioni di Maxwell in forma locale, dipendenti dal tempo. Esse vengono qui riassunte

Si è inoltre mostrato che i campi e soddisfano l’equazione differenziale di D’Alambert e quindi si propagano nello spazio vuoto come onde. Tali onde prendono il nome di onde elettromagnetiche. Si ottiene

dove la velocità di propagazione è data da

Tale velocità è spesso indicata con la lettera c e prende il nome di velocità della luce nel vuoto. Essa è pari a c " 3 ·108 m/s. I due campi, pur propagandosi per onde rimangono tra loro interrelati dalle equazioni di Maxwell dipendenti dal tempo. La presenza e propagazione di un campo è sempre accompagnata dalla presenza e propagazione dell’altro. I due campi così accoppiati costituiscono una entità fisica a sé stante che viene indicata come campo elettromagnetico. Si dimostra che il campo elettrico ed il campo di induzione magnetica sono sempre tra loro ortogonali e simultaneamente ortogonali alla direzione di propagazione dell’onda. Tale situazione è rappresentata in figura.

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È possibile mostrare che la perturbazione ondosa del campo elettromagnetico può essere scomposta in componenti periodiche di tipo sinusoidale (o cosinusoidale) che si propagano tutte con la stessa velocità c nel vuoto ma con differenti frequenze di oscillazione. Le onde elettromagnetiche (radiazione elettromagnetica) comprendono un vasto intervallo di possibili frequenze che vanno, per quanto riguarda la loro applicazione e studio, dal migliaio di Hertz (per le radioonde) sino a circa 1025 Hertz (raggi gamma). La luce visibile corrisponde a onde elettromagnetiche con frequenze comprese tra circa 4·1014 a circa 8·1014 Hertz. Le diverse frequenze della radiazione visibile vengono percepite attraverso l’occhio umano come colori diversi. Una radiazione visibile composta da una sola frequenza è detta monocromatica (un solo colore). Quando la luce visibile comprende radiazione delle differenti frequenze in ugual misura si ha la sensazione di luce bianca. In un mezzo omogeneo ed isotropo come il vuoto, la radiazione elettromagnetica si propaga in linea retta con velocità c. In un differente mezzo, sempre omogeneo ed isotropo, la velocità di propagazione dell’onda dipende dalle proprietà del mezzo stesso ed anche dalla frequenza della radiazione. In generale onde elettromagnetiche della stessa frequenza si propagano con differente velocità in mezzi diversi. Si definisce indice di rifrazione n il rapporto tra la velocità di propagazione della radiazione nel vuoto, c, e nel mezzo, v. Si ha . L’indice di rifrazione è dunque una caratteristica propria del materiale. Esso dipende dalle sue proprietà microscopiche. Quando un’onda elettromagnetica monocromatica che viaggia in un mezzo di indice di rifrazione incontra una superficie di separazione (interfaccia) con un altro mezzo di indice di rifrazione si osserva che parte dell’intensità della radiazione elettromagnetica viene riflessa dall’interfaccia e parte viene trasmessa nel secondo mezzo. Si riscontra (ed è possibile dimostrare sulla base delle equazioni di Maxwell e delle condizioni di raccordo tra i campi all’interfaccia tra due differenti mezzi) che l’onda riflessa dall’interfaccia ha direzione speculare rispetto alla direzione dell’onda incidente (i due angoli di incidenza e di riflessione rispetto alla direzione normale alla superficie sono uguali). Per quanto riguarda l’onda trasmessa nel secondo mezzo (onda rifratta), vale la legge di Snell, secondo la quale . La situazione è mostrata in figura 77

Mezzo 1 (n1) Onda incidente

!i

Onda riflessa

!'i= !i

Mezzo 2 (n2) !r Onda rifratta

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!"#$%&'(%)*#+ + Montare il corpo cilindrico di vetro acrilico sulla carta polare e centrato in modo esatto come mostrato in figura. La faccia smerigliata deve essere appoggiata sulla carta polare in modo che si renda ben visibile il percorso dei raggi. Il corpo semicilindrico, dopo la sua sistemazione, non deve essere più spostato. Introdurre davanti alla lampada il diaframma con una fenditura ed accendere la lampada. Disporre la lampada in modo che sia perpendicolare alla superficie piana del corpo semicilindrico. !

! ! !"#$%&'& 4#!%'#&#++#!1,&&(!/"#-(!/"05(!#&!60"/0!$,-#6#"60&(",!.#!5,'"0!(6"#ɛ!4#!5("#!&7(120&0!.#!#16#.,1+(! 8"#9!,!$#!-#$%"#10!#!60""#$/01.,1'#!(120&#!.#!"#:"(+#01,!8"$9!8,1'"(-;#!"#$/,''0!(&&(!10"-(&,!(&&(! $%/,":#6#,93!! #$6%',",!&,!:01'#!.#!,""0",!,!&(!&0"0!/"0/(2(+#01,!$%&&7#1.#6,!.#!"#:"(+#01,3! Prova 3
"#i (rad)

#r (rad) "#i (rad)

sin #i "(sin#i) sin #r

"(sin#r) n=sin#i/sin#r

"n

20*$/180 …. 70*$/180 •

• • • • •

Per ciascun materiale, disegnare i seguenti grafici (ricordandosi le unità di misura e le barre di errore) e dire quale mostra più chiaramente se la legge di Snell è verificata dai dati sperimentali: o #r in funzione di #i o sin#r in funzione di sin#i o n in funzione di #i Indicare come è stato calcolato l'errore sulla determinazione di sin#i, sin#r e n (notate che l'errore varia per ogni angolo misurato). Fornire la migliore stima di n, utilizzando il metodo della media pesata Descrivere il metodo di misura dell'angolo limite, nel caso del vetro acrilico, e fornirne il valore. Calcolare l'angolo limite a partire dal valore di nv precedentemente determinato e determinarne l'incertezza. Confrontare i due valori dell'angolo limite e dire se essi sono quantitativamente in accordo.

Conclusioni

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