Appunti di Pediatria - Yimg

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Lezioni di pediatria – 2011. 1. Appunti di Pediatria. “I bambini non studiano sui libri di pediatria…” – prof.ssa Oderda. Facoltà di Medicina e Chirurgia ...
Lezioni di pediatria – 2011

Appunti di Pediatria

“I bambini non studiano sui libri di pediatria…” – prof.ssa Oderda

Facoltà di Medicina e Chirurgia

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Lezioni di pediatria – 2011

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Lezioni di pediatria – 2011

Fisiologia dell’accrescimento La pediatria si occupa del periodo dell’età evolutiva, caratterizzato dalla trasformazione degli organi e dell’aspetto. La carta dei diritti del bambino stabilisce all’articolo 1 che ogni soggetto fino a 18 anni deve essere seguito da personale adeguato (OMS, 1989). I periodi di vita del bambino e dell’adolescente vengono suddivisi in: o Pre-natale: a sua volta si divide in periodo embrionario (0-3 mesi di gestazione) dove si strutturano gli organi e in un periodo fetale (3-9 mesi) dove si forma la placenta e maturano gli organi. o Neonato: dalla nascita al 10° giorno (o secondo altri 30° giorno). Si parlava di 10° giorno perché in quell’epoca viene perso peso, fino al 10% del peso alla nascita, anche se è una condizione che si realizza sempre meno frequentemente. Questo perché si ha la perdita della vernice caseosa, il neonato si disidrata per la perpiratio insensibilis, si ha la mummificazione del cordone ombelicale, si ha l’espulsione del meconio che inizia a 24 ore e prosegue nei giorni successivi (il meconio è una sostanza verdastra o verde-nerastra che è poi biliverdina frammista da cellule di sfaldamento ed eventuali peli deglutiti con il liquido amniotico, di consistenza vischiosa, sterile; un ritardo nell’espulsione dopo le 24 ore può essere segno di fibrosi cistica o di megacolon agangliare [rispettivamente ileo da meconio e malattia di Hishprung]) ma soprattutto perché il neonato nei primi giorni non viene alimentato. Infatti si deve aspettare la montata lattea nella madre, condizione che si verifica dopo minimo 48-72 ore. Ricorda che il feto non elimina meconio durante la gestazione e se questo avviene è sintomo di grave sofferenza fetale ipossica con rilasciamento degli sfinteri. Il problema di queste prime ore di vita è l’ipoglicemia neonatale che comporta convulsioni e possibile danno al SNC, per cui si somministra ai neonati acqua e zucchero (ma non la glucosata in quanto, per avere concentrazioni adeguate di glucosio sarebbe necessario raggiungere un’osmolarità troppo alta e il neonato vomiterebbe subito mentre se si tiene una concentrazione osmolare simile a quella del plasma la quantità di glucosio sarebbe troppo bassa). Per le ragioni appena dette si utilizza il saccarosio (a parità di calorie l’osmolarità è la metà visto che i due monosaccaridi sono uniti tra loro). Questa condizione di ipoglicemia neonatale è particolarmente frequente nei figli di madre diabetica (tipicamente macrosomi >4Kg perché cresciuti in ambiente iperinsulinemico) che, per iperplasia delle isole di Langerhans, sono più suscettibili al digiuno prolungato. Una volta si utilizzava la “giunta” (latte formulato) ma oggi non lo si fa più per l’alto rischio di sviluppare intolleranza alle proteine del latte vaccino. Per questo motivo si considerava neonato fino a 10 giorni, ma ora si preferisce considerarlo fino al 30°. Un neonato deve essere ricoverato in neonatologia e non in pediatria perché l’evoluzione di ogni malattia (in particolare quelle infettive) è drammatica e soprattutto vengono utilizzati dosaggi di farmaci molto diversi; tipicamente gli antibiotici si utilizzano a dosaggi doppi perché il neonato ha bassa immunità. Secondo il prof. Bona una volta la pediatria neonatale si occupava dei primi 7 giorni di vita perché 7 è il tempo massimo per dare un nome al neonato e quindi stabilirne il sesso, cosa non facile in alcune situazioni come la sindrome androgeni tale molto vivace in cui una femmina ha una deviazione del fenotipo in maschio per l’alta concentrazione di DHEA-S e di Д4-androstenedione. o Prima infanzia: dal 10° (o 30°) giorno ai 2 anni. A sua volta si divide in: periodo del lattante: da 1 mese ad 1 anno. “Lattante” è dovuto al fatto che il bambino potrebbe nutrirsi esclusivamente di latte perché ha una quota intestinale di lattasi molto elevata (che mantiene fino a 4 anni circa) rendendolo capace di tollerare 180mL/Kg/die di latte (che in un individuo adulto di 75 Kg vorrebbero dire 13,5 Litri di latte!) periodo del divezzo: da 1 a 2 anni, quando inizia il divezzamento (questo sarebbe improprio visto che comunque il divezzamento inizia verso i 4-6 mesi). o Seconda infanzia: dai 2 anni ai 6 anni. Questo periodo pre-scolare è caratterizzato da molte malattie infettive contratte in comunità (scuole materne) in cui il bambino è spesso ammalato; è però comunque meglio che il bambino perda ore di asilo piuttosto che ore di scuola elementare che invece potrebbero portare ad una difficoltà di apprendimento ma anche ad un odio del bambino verso la scuola. È questo un periodo importantissimo nell’acquisizione della vita di relazione. o Terza infanzia: dai 6 anni ai 9-12 anni circa, cioè all’inizio della pubertà. L’inizio della pubertà nella donna coincide la comparsa del bottone mammario (cosa peraltro difficile da distinguere dalla lipomastia nelle 3

Lezioni di pediatria – 2011 bambine obese) che precede di qualche settimana la comparsa di peli pubici. Nel maschio invece si considera pubere quando aumenta il volume testicolare, in genere se >4mL. o Adolescenza: dai 9-12 anni ai 18 (secondo gli americani 20), ovvero il periodo in cui viene completato il processo di accrescimento. Dopo la pubertà si ha l’adolescenza ed è questo un periodo della vita in cui ci si ammala meno; sicuramente gli adolescenti tendono a non dire le loro problematiche ma è vero anche che in questo periodo le malattie croniche (come la RCU) si “spengono temporaneamente” regalando al paziente un periodo di relativo benessere. L’adolescenza viene ulteriormente suddivisa in due momenti: il periodo della pubertà (che dura circa due anni) e quello dell’adolescenza propriamente detta, in cui è completato lo sviluppo genitale (teoricamente il soggetto è in grado di riprodursi) ma in cui c’è ancora un’esigua possibilità di crescita (massimo 1cm all’anno per 3 anni circa, tutti legati all’aumento della distanza intervertebrale). Questa suddivisione è molto importante perché in queste fasce d’età diverse i bambini vengono colpiti da malattie molto diverse (in età pre-scolare prevalgono le forme virali, in età scolare quelle batteriche,…) ma è importate anche per fare gli studi epidemiologici. Per tasso di mortalità infantile si intende il numero annuale di morti in bambini di età inferiore a 2 anni su 1000 nati vivi nello stesso anno. Per tasso di mortalità perinatale invece si intende il numero annuale di nati morti (≥ 28 sett.) e dei morti nella prima settimana di vita ogni 1000 nati (vivi e nati morti) nello stesso anno. In Italia è dello 0,36%, uno dei più bassi al mondo (negli USA è 0,4%), grazie soprattutto alla miglior assistenza in sala parto e all’assistenza ai bambini di basso peso e prematuri (oggi si arriva a salvare bambini di 600g!). Le caratteristiche della pubertà sono ovviamente diverse nei due sessi: o Pubertà femminile: è in anticipo di 1-2 anni rispetto a quella maschile e a Novara si è visto cadere mediamente a 10,4 anni (3° centile 8,1 anni, 97° centile 12,5). Il bottone compare prima in una mammella e dopo qualche settimana anche nella contro laterale, assieme alla comparsa dei primi peli pubici. Questi cambiamenti morfologici però sono la conseguenza di un’attivazione ormonale iniziata ben 1-1,5 anni prima. Contestualmente alla comparsa del bottone mammario inizia la crescita del piede (che segna l’inizio dello scatto puberale) e qui inizia anche la fase di crescita rapida di 6cm ogni 6 mesi, fondamentale per l’acquisizione di una statura adulta; nel mentre l’utero acquisisce una conformazione adulta (rapporto collo/corpo si modifica a favore del secondo). Il processo termina dopo circa 2 anni con il menarca e quindi la capacità del soggetto di riprodursi. o Pubertà maschile: sempre a Novara si è visto essere mediamente a 11,5 anni (3° centile 9,1 anni e 97° centile a 13,5). Compaiono i primi peli pubici e inizia il graduale aumento dei testicoli. Poi compaiono i cambiamenti dei caratteri secondari: l’azione degli androgeni porta ad un tono di voce più grave, compare la barba e compaiono i peli nelle aree non genitali. Questo processo termina con la completa spermatogenesi e la capacità di riprodursi. Tutti questi caratteri sono codificati attraverso le tavole di Tanner. Tutti i soggetti con pubertà che compare prima del 3° centile per sesso sono da considerare pubertà precoce e questa situazione può portare ad una crescita in statura insufficiente nella vita adulta. Fondamentale è conoscere cosa succede in sala parto. Occorre: o Recidere il cordone ombelicale dopo clampaggio ad alcuni centimetri con pinza apposita. o Disostruire le prime vie aeree (naso, bocca) con un aspiratore. o Calcolare l’indice di Apgar al 1° e al 5° minuto considerando 5 parametri: Battito cardiaco: assente 0, 100bpm 2. Respirazione: assente 0, pianto debole 1, pianto vigoroso 2. Tono muscolare: assente 0, lieve ipotonia 1, arti ben flessi 2. Riflesso di irritabilità: assente 0, lieve reazione con pianto 1, retrazione 2. Colorito della cute: cianotico o pallido 0, estremità cianotiche 1, roseo 2. Si fa la somma delle precedenti valutazioni e si ottiene un punteggio. Se al 5° minuto l’Apgar è 4000g. o LBW (low birth weight, basso peso alla nascita): 95%) a 2 anni di vita I glicidi (o zuccheri) devono essere il 55-60% delle calorie introdotte ogni giorno nella dieta dell’adulto sottoforma di amido (60%), saccarosio (massimo 30%) e 10% di altri zuccheri come lattosio, fruttosio, oligosaccaridi (trealosio nei funghi, stachioso nei legumi) L’amido è composto da amilosio (20%) e amilopectina (80%). L’amilosio sono catene di glucosio con legame 1-4 alfa-glicosidici mentre l’amilopectina sono catene di glucosio legami 1-4 e 1-6. La digestione dell’amido inizia nel cavo orale ad opera dell’amilasi salivare e continua nello stomaco nell'interno del bolo sino a che il pH non diviene acido. Prosegue poi nel duodeno per opera dell’amilasi pancreatica. L’amilasi pancreatica scinde i legami 1-4 e libera il 30% di alfa destrine (G5-G9) che contengono legami 1-4 e 1-6 e sono detti isomaltosio, scisso dalle isomaltasi in glucosio e per il 70% di malto-oligosaccaridi. Sull’orletto a spazzola 5% degli oligosaccaridi (G4-G9) viene idrolizzato dalla glico-amilasi, 40% del maltosio idrolizzato in glucosio dalla maltasi e il 25% del maltotrioso (G3) idrolizzato in glucosio dall’isomaltasi. 29

Lezioni di pediatria – 2011 L'amilasi salivare compare nelle la seconda metà della vita fetale. Il latte materno contiene un'amilasi. L’amilasi pancreatica compare a 4-6 mesi di vita ed è un enzima inducibile: si possono stimolare con creme di riso i lattanti a 2-3 mesi per indurre l’amilasi. Nell’orletto a spazzola degli enterociti della mucosa duodeno-digiunale troviamo: o una beta-galattosidasi o lattasi che idrolizza il lattosio in glucosio e galattosio. o tre alfa-glicosidasi che sono: saccarasi: idrolizza saccarosio in glucosio e fruttosio, e maltosio e maltotriosio in glucosio e glucosio isomaltasi: idrolizza oligosaccaridi con legame 1-4 ed 1-6 in glucosio e glucosio glicoamilasi: idrolizza gli oligosaccaridi (G4-G9) con legami 1-4 e l'amido in glucosio o trealasi che idrolizza il trealosio La lattasi ha un ruolo di controllo: limita l’assorbimento massivo del galattosio e del glucosio consentendo la loro fosforilazione ed evitando il loro accumulo in circolo (che potrebbe portare a cataratta). Compare al 6° mese di vita fetale ed aumenta fino alla nascita, diminuisce dopo il 4° anno di vita ai valori inferiori dell'adolescente e nell'adulto. Non è un enzima inducibile nell’uomo. Saccarasi e maltasi compaiono al 3° mese di vita fetale; sono quantitativamente maggiori della lattasi. Non si deve fare diluizione del latte dopo enterite per reintrodurre il lattosio; le lattasi si ritrovano dopo 7 giorni dall’episodio di diarrea sull’orletto a spazzola e basta aspettare questo lasso di tempo!

Alimentazione del neonato e del lattante Il neonato deve mangiare il latte di sua mamma (e non quello di un’altra donna come per le banche del latte): questo perché il latte cambia ed è adatto a seconda del momento della crescita e soprattutto, essendoci passaggio diretto produttore-consumatore, non c’è problema di conservazione e contaminazione. I vantaggi dell’alimentazione del neonato e del lattante al seno sono molteplici: o Psicologico: il contatto fisico ravvicinato comporta un migliore legame affettivo, e questo è alla base della marsupio terapia (i prematuri che vengono tenuti per alcune ore al giorno attaccati al torace della madre hanno una miglior sopravvivenza rispetto agli altri). o Immunologico: nel latte materno ci sono IgA di secrezione (specifiche per la flora batterica intestinale della madre) che non vengono digerite nei primi giorni ma passano nell’intestino andandosi a depositare lungo la parete e questo comporta una ridotta incidenza di enteriti, ma anche aumentano la tolleranza immunologica per gli alimenti (il neonato tende a fare anticorpi contro tutte le proteine non umane introdotte nei primi giorni, e questo viene “ridotto” dalle IgA materne). o Nutrizionale: sicuro microbiologicamente (questo è più un problema del III mondo in cui il latte in polvere viene miscelato con acqua contaminata e ha portato a morte migliaia di bambini, anche perché le istruzioni erano in inglese e invece di dare 1 misurino ogni 30g di acqua mettevano 1 misurino ogni litro!), bilanciato nutrizionalmente (il latte materno è per definizione bilanciato, in quanto è quello adatto e selezionato da milioni di anni per essere l’elemento ideale per il neonato), economico (ovviamente a costo zero) e specie-specifico (ma bisogna ricordare che in alcuni neonati allattati al seno ci può essere intolleranza alle proteine del latte vaccino perché assunte dalla madre passano nel latte scatenando fenomeni di intolleranza; in questi casi si consiglia la dieta povera di proteine del latte vaccino ma per contro un allattamento più lungo). Il latte materno è sufficiente fino al 120° giorno (4 mese) ma diventa non sufficiente oltre il 180° (sei mesi). Infatti compare dopo il sesto mese l’anemia sideropenia fisiologica del II semestre, ma non va mai comunque addizionato il latte di ferro (latte fortificato) in quanto non verrebbe assorbito ma creerebbe solo problemi; si deve invece introdurre nella dieta omogeneizzato di carne ricca di ferro assorbibile (emoglobina), e non comunque omogeneizzati di frutta! Alcuni studi hanno certificato che il quoziente intellettivo di bambini allatati più di 6 mesi è maggiore di quelli allattati per meno di tre; questo pone un freno allo svezzamento precoce! Il latte materno viene suddiviso in: colostro (primi giorni), latte di transizione (prime settimane) e latte definitivo. Il contenuto proteico del latte è funzione della velocità di crescita del mammifero in considerazione: per questo motivo il latte vaccino ha un contenuto medio di proteine di 3g/100mL rispetto a quello umano che è di 1g/100mL; l’eccessivo carico proteico viene eliminato col rene dato che non viene utilizzato per la crescita e 30

Lezioni di pediatria – 2011 quindi il latte vaccino pone alcuni rischi nefrologici. Però il colostro ha una quantità alta di proteine (2,3g/100mL) ma sono in gran parte IgA secretorie che vanno a tappezzare la mucosa intestinale; inoltre il colostro ha anche funzione lassativa che favorisce la peristalsi e la espulsione del meconio. Sempre riguardo alle proteine, il latte materno è ricco siero proteine mentre quello vaccino di caseina (che è difficile da digerire perché nello stomaco forma ricotta). Ancora il latte umano è ricco di lattosio (che induce meteorismo fisiologico ed è un pro-biotico, ovvero una sostanza che favorisce lo sviluppo della flora intestinale, in particolare crea un ambiente acido che favorisce la colonizzazione da parte dei Lactobacilli e non da parte dei batteri putrefattivi); quindi le calorie del lattosio in quello materno sono il 37% rispetto al 29% di quello vaccino (circa 70g/L nel LM, 45g/L nel LV). Poi il latte umano è più grasso del latte intero vaccino (4,5g/100mL rispetto ai 3) ed è necessaria una dieta ricca di lipidi per favorire la crescita del SNC. La composizione di questi grassi è altresì diversa: nel latte materno sono presenti acidi grassi mono-polinsaturi in percentuale maggiore rispetto al latte vaccino (in particolare Ω3 ed Ω6), rendendolo più digeribile (anche per la presenza nel latte di una lipasi materna che supplisce al deficit relativo di quella del neonato) mentre nel latte vaccino ci sono più acidi grassi saturi (prof. Bona: “Con il latte vaccino si fa il burro, con quello materno al massimo l’olio”). Poi il neonato ha bisogno di molto colesterolo: i bambini che vengono privati di colesterolo nei primi mesi e anni sono quelli più a rischio di ipercolesterolemia perché non sviluppano un adeguato apparato del catabolismo epatico del colesterolo; quindi mi dare il latte parzialmente scremato al bambino! Nel latte materno c’è la lattoferrina che serve a sequestrare il ferro non assorbito evitando di renderlo disponibile ai batteri putrefattivi (come il Coli). Quindi il ferro non causa la diarrea, ma diventa un minerale essenziale per la crescita di batteri che causano la diarrea. Poi il ferro in entrambi i latti è uguale, ma quello materno è più biodisponibile e quindi più utile. Il rapporto Calcio/Fosforo (C/P) nel latte materno è 2:1 mentre esattamente opposto è per quello vaccino; per questo motivo mai dare i formaggini al lattante che li rende rachitici (o i vecchi li rende osteoporotici) visto che sono a lunga conservazione e contengono alte quantità di pirofosfati che inibiscono con l’assorbimento del calcio. Le vitamine del latte materno sono intatte mentre quelle del LV sono degradate dalla bollitura e così devono essere integrate. Ultima cosa che l’aumento della concentrazione degli acidi grassi che c’è nel latte a fine poppata rallenta lo svuotamento gastrico e induce uno stimolo di sazietà; i bimbi allattati al seno sono meno cicciottelli perché questo comporta la diminuzione della Ghrelina e del NPY! Due aspetti che vanno ricordati nel bimbo che viene allattato al seno materno sono la relativa carenza di vitamina D e K: per questo motivo è utile l’integrazione nel I trimestre di allattamento con 1-2 gtt la settimana di Vit K e di 400U/die di Vit D (dose che deve essere raddoppiata nei bimbi di carnagione scura, in quelli poco esposti al sole e nei figli di genitori provenienti da zone ad alta resistenza alla vitamina D). Controindicazioni all’allattamento sono di due tipi: o Materne: ipo-agalattia, malformazioni del capezzolo, TBC e assunzione di farmaci tossici che passano nel latte; mastiti, ragadi del capezzolo e galattofortiti non sono controindicazioni assolute. o Neonatali: cheilo-palatoschisi, prematuranza (manca il riflesso della suzione), gravi stomatiti. Svantaggi quindi del latte vaccino sono: o Elevato contenuto proteico. o Basso contenuto Acidi Grassi Essenziali. o Basso contenuto lattosio: diminuito assorbimento Calcio e ridotto apporto di galattosio. o Elevato contenuto di Sali minerali. o Squilibrio Ca/P. o Scarso contenuto Fe (meno assorbibile). Ma quando una donna non può allattare? Esistono i latti formulati in polvere (norme ESPGHAN) che si dividono in 3 gruppi: latte 1 (adattato), latte 2 (proseguimento) e latti per prematuri. Tutti gli altri sono spazzatura e non devono essere considerati. I latti 1 (adattati) si fanno modificando quello vaccino: si deve diluire (ad esempio 2/3 di latte e 1/3 di acqua) ma questo diminuisce ulteriormente il contenuto di lattosio che deve essere aggiunto nei latti 1 (il lattosio deve 31

Lezioni di pediatria – 2011 essere 80% zuccheri e siccome è molto costoso questo condiziona il prezzo) e devono essere aggiunti anche acidi grassi insaturi (olio); ci vuole un rapporto Ca/P di almeno 1:1, poco sodio (il neonato tende alla ritenzione idrica) e poco ferro che non verrebbe assorbito. Il prezzo del latte dipende dalla pubblicità perché sono tutti uguali, basta che dopo l’1 non ci sia null’altro. I latti di proseguimento (latte 2) sono molto meno rigorosi perché il bambino tollera meglio tutto (osmolarità più alte, più ferro, più proteine e più fosforo) e si tratta sostanzialmente di un latte vaccino con qualche aggiunta. Al latte 2 non vanno aggiunti biscotti perché è già contenuto amido e zuccheri! Conviene comunque comprarlo e non farlo in casa perché occorrerebbe aggiungere al latte fresco di giornata (pastorizzato e intero, non parzialmente scremato) zuccheri semplici (es. saccarosio o meglio il maltosio del miele in quota di 5%) e l’amido (che hanno colloidoproteine che favoriscono l’assorbimento della caseina e sono digeriti più lentamente; meglio se la crema di riso). Se c’è intolleranza all’amido si possono addizionare malto destrine o si fa “biscottare” la farina con il calore (nonne lo sanno). I latti dei prematuri sono più simili ai latti 2, ricchi in proteine perché il neonato deve crescere più velocemente, ma contengono più acidi grassi (acido linoleico); il fabbisogno è di Kcal di 120-150/Kg. Questi neonati vanno supplementari di Vitamina E visto l’aumento di apporto di acido linoleico (1U vit E/gr. ac. linoleico). La maturazione della ghiandola mammaria porta ad un aumento delle strutture sotto lo stimolo estroprogestinico fin dal 2° mese di gestazione ma lo stimolo essenziale alla produzione di latte è l’ormone PRL, secreto sotto lo stimolo del TRH, che avvia la montata lattea intorno al 3-4° giorno. Nei primi giorni c’è il colostro(ce n’è poco ma basta: circa 20mL/die), ricchissimo di IgA e proteine che hanno effetto lassativo favorendo l’espulsione del meconio e poi porta alla produzione di feci schiumose giallo-oro intenso e molto ridotte perché ci sono pochi residui non digeriti, con scarso odore perché fermentate e non putrefatte. Fattori limitanti sono: insufficiente riflesso della suzione, ridotta capacità gastrica, insufficiente capacità digestiva, ridotta capacità metabolizzante e carenza di acidi biliari e lipasi pancreatica (per questo motivo si danno MCT). Alla nascita il 92% delle mamme allatta esclusivamente al seno, a 3 mesi il 70%, a 6 mesi il 50% e ad 1 anno il 35% allatta esclusivamente al seno. In generale la quantità di alimento è quella che vuole il bambino: se è allattato al seno fino a fine poppata mentre se è allattato artificialmente si consiglia di lasciar avanzare un po’ di latte al bambino (che non va buttato visti i costi, ma lo si addiziona e riscalda al pasto successivo e lo si butta a fine giornata). Non bisogna mai intervenir, nemmeno con la doppia pesata, che fa venire ansia alla madre e induce ipogalattia (oltre al fatto che serve una bilancia analogica e non quella digitale). Sapere quanto deve mangiare è utile nella patologia: il bambino che vomita latte, nel 30% dei casi è da iperalimentazione (“come un’oca nel grasso”). Anche il numero di pasti deve essere deciso dal bambino: si inizia mediamente con un pasto ogni 3 ore (di notte si salta un pasto perché viene prodotto meno latte e la mammella si riposa) e si arriva mediamente al 7° mese con 4 pasti più uno spuntino serale fino a 12 mesi. Il lattante non deve mai bere acqua perché si ammala di più (no camomille, tisane e soprattutto succhi di frutta che contengono conservanti e coloranti e sono stati messi in relazione con la sindrome del bambino irrequieto. Poi tutto quello che il bambino assume come liquidi viene sottratto al volume di latte e quindi il bambino rischia di crescere poco perché beve tanta camomilla e di conseguenza poco latte. Lo svezzamento è un cambiamento di abitudine: passaggio dal Latte Materno al Latte Vaccino oppure comunemente si intende un passaggio da dieta lattea a dieta con altri alimenti (brodi e proteine della carne). Il bambino in questa fase va abituato all’acido ed al salato, non al dolce che conosce già (il latte è dolce, quindi in questo periodo omogeneizzati dolci alla frutta non servono ad un tubo) né all’amaro che deve rimanere un meccanismo di difesa verso i tossici. Perché? Perché il latte ha circa 700Kcal/L e la mamma difficilmente riesce a produrne più di un litro al giorno, così dopo i 6 mesi non riesce più a sopperire al fabbisogno calorico del lattante. Poi per inserire proteine diverse da quelle del latte (la carne è ricca di ferro facilmente assorbibile che evita l’anemia fisiologica del II semestre (tutti i lattanti scendono tra 8 e 11g/dL di Hb con bassa reticolocitosi); è meglio introdurre la carne bianca che per colore è più smile al latte e il bambino la mangia più volentieri) e per abituare a sapori diversi (brodi). Il bambino va abituato presto al sodio e alle consistenze diverse perché da grande mangerà più alimenti; poi la tendenza al dolce è geneticamente determinata (in fondo il latte è dolce!) mentre quella al salato è acquisita. La 32

Lezioni di pediatria – 2011 carne va diluita in brodi vegetali (no in brodo di carne che fa aumentare molto l’acidità gastrica) dopo averla frullata. Va introdotto con lo svezzamento l’olio dietetico (ovvero controllato al 100%); in Italia è quello di semi di mais perché quello di oliva può avere solo 14% di olio di oliva e tutto il resto di paraffina, derivata dal petrolio. Infatti il costo al produttore di un olio extra vergine di oliva è di minimo 10-15€ al litro. Quando? Intorno al 4° mese (se allattato con latti formulati) o intorno al 5°-6° mese (se allattato al seno); più semplicemente quando la mamma deve tornare a lavorare. o A 4 mesi 4 pasti: 3 pasti di latte di proseguimento (latte 2) e 1 pasto “salato”. Brodo Vegetale (BV) come supporto liquido + glicidi (Creme di riso) 5% + proteine come liofilizzati di carne (mezzo vasetto) + lipidi come l’olio di Mais (ac.linoneico) 10 mL. o A 6 mesi 4 pasti: 2 pasti di latte di proseguimento (latte 2) e 2 pasti “salati”. Brodo Vegetale (BV) come supporto liquido + glicidi amidi (pastina che contiene glutine) + proteine carne frullata (30-50 gr) + lipidi olio di Mais (ac.linoneico) 10 mL + eventualmente parmigiano, che è una miscela di peptidi altamente digeribili e di acidi grassi a catena media che derivano dalla stagionatura. Il parmigiano è ben digerito e sarebbe il primo formaggio d dare al bambino. o Dopo l’11-12° mese il lattante può essere avviato ad una alimentazione simile a quella dell’adulto, evitando però cibi piccanti, spezie, fritti, carni crude, insaccati, caffè e alcolici e limitando cioccolato, caramelle e dolci. È importante però che il bambino continui ad introdurre almeno 250mL/die di latte materno e fino all’anno di vita sarebbe opportuno non introdurre il LV. La pastina viene introdotta a 6 mesi perché contiene glutine; si è visto che la sintomatologia di una celiachia è molto più grave nei piccoli pazienti che introducono presto il glutine. Inoltre più il glutine viene introdotto tardi e più i sintomi compariranno tardivamente, magari dopo mesi o anni, quando il bambino è già “più forte”. Unica eccezione è nei bambini con famiglie che hanno gentilizio per celiachia: si è visto che l’introduzione del glutine mentre il neonato è allattato al seno riduce il rischio di sviluppo della malattia e questo si fa. Le calorie dovrebbero così essere distribuite nella giornata: o I colazione: 25% delle calorie totali o Pranzo: 35 - 40% delle calorie totali o Merenda: 10 - 15% delle calorie totali o Cena: 25 - 30% delle calorie totali Le calorie introdotte nella prima ½ della giornata vengono utilizzate per il fabbisogno energetico mentre le calorie introdotte nella seconda ½ della giornata vengono accumulate nel tessuto adiposo. Il bambino deve mangiare uovo e pancetta a colazione perché se no utilizza gli amminoacidi del muscolo per fare il cervello e fare energia e diventano grassi (perché mangiano la sera) e flaccidi. Alimenti da evitare in caso di vomito sono: o Perché aumentano l’acidità gastrica (ed il vomito è più lesivo): the, caffè, alcolici, brodi di carne e bevande gasate o Perché diminuiscono la ‘continenza’ dello sfintere esofageo inferiore: the, cioccolato, bevande gasate Migliorano e/o diminuiscono il vomito pasti piccoli e frequenti, alimenti freddi e ghiaccio (pestato con zucchero).

Malattia da reflusso gastro-esofageo Per reflusso si intende il passaggio involontario del contenuto gastrico nell’esofago. Questo può essere: o Fisiologico: rigurgito saltuario nel 47% dei lattanti sino a 3-6 mesi. Questa è una condizione assolutamente normale e il bambino che ha rigurgito spesso non ha MRGE perché può essere la soluzione del problema visto che così il contenuto acido in esofago viene eliminato. o Patologico: malattia da reflusso (frequenza 1:500- 1-1000). La malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE) è una novità in pediatria, per i seguenti motivi: 1. È aumentata l’attenzione al problema perché prima, di fatto, non la si considerava. 33

Lezioni di pediatria – 2011 2. È diminuita l’incidenza della gastrite da Helicobacter Pylori (HP) nella popolazione che, essendo un grande produttore di ammoniaca (NH3), faceva da tamponante dell’acidità. 3. L’eccessiva igiene comporta l’introduzione con la dieta di un numero molto inferiore di batteri, che sono inibitori dell’acidità gastrica. 4. Siamo tutti più grassi ed il grasso addominale, spingendo verso l’alto, favorisce il reflusso anche nel bimbo. Normalmente esistono diverse strutture anatomo-funzionali che garantiscono la continenza tra stomaco ed esofago. Queste sono: o La forza di gravità: agisce favorendo la discesa del bolo nello stomaco e la permanenza in stomaco. o La muscolatura cardiale che forma il LES che ha una contrazione tonica interrotta dalle TRLES (vedi dopo); è questo però solo un fattore di continenza e non sicuramente il più importante. o L’angolo di Hiss, angolo tra porzione addominale dell’esofago e corpo gastrico: più è acuto e più è continente. I lattanti hanno un esofago molto breve e non hanno praticamente questo angolo. o Il legamento crurale del diaframma che strozza l’esofago durante la contrazione del muscolo stesso in inspirazione: durante l’aumento della pressione addominale si ha lo strozzamento dell’esofago che impedisce il reflusso in esofago. Molto importanti nella patogenesi della MRGE sono due condizioni, ovvero: o Aumentata frequenza di Rilasciamenti transitori dello Sfintere Esofageo Inferiore, >5 secondi non preceduti dalla deglutizione (TRLES: Transient Relaxation of Lower Esophageal Sphincter). Infatti le TRLES avvengono normalmente per permettere lo svuotamento dell’aria che distende la bolla gastrica (e favorendo l’eruttazione) ma diventano patologici se troppo frequenti e non direttamente legati alla deglutizione (infatti quando il cibo transita nel UES si ha attivazione della peristalsi primaria esofagea e l’apertura del LES). o Assenza dell’aumento reattivo del tono pressorio del LES in risposta all’aumento della pressione addominale. Questo peraltro spiega perché in gravidanza le donne hanno sempre reflusso visto che hanno una “massa occupante spazio”; questa condizione peraltro si sviluppa anche nell’obeso e fino a quando non viene curata l’obesità, non avrà risoluzione del reflusso. Co-fattori che favoriscono il reflusso e lo sviluppo di una MRGE sono: o Diminuita efficienza della peristalsi esofagea distale: normalmente il reflusso causa in esofago la partenza di onde peristaltiche secondarie che portano ad una chiarificazione rapida del lume. Soggetti con MRGE spesso hanno una ridotta peristalsi secondaria. o Effetto lesivo del materiale refluito sulla mucosa esofagea: questo dipende ovviamente dalla quantità, dall’acidità, dal tempo che permane in esofago e dall’eventuale presenza di bile. Infatti se ci sono anche Sali biliari, che derivano da un reflusso duodeno-gastrico, la condizione è ancora più grave perché la bile ha azione detergente togliendo il muco dall’esofago e permettendo la lesione dell’acido gastrico. o Rallentato svuotamento gastrico: i bambini che svuotano lentamente evolvono più spesso in malattia cronica. Infatti il cibo in stomaco stimola più a lungo la secrezione acida e lo stomaco diventa una sacca di acido cloridrico, con molte TRLES. o Diminuzione della secrezione salivare e della deglutizione (notturna). Esistono infatti due paradigmi di bimbi malati di MRGE, quelli che hanno reflusso di giorno con tanti sintomi e poche lesioni (l’effetto della saliva che tampona l’acidità limita i danni) e quelli con reflusso notturno, con pochi sintomi e molte lesioni (dorme e non sente, è coricato ed orizzontale, deglutisce poco e chiarifica pochissimo). Verso i 6 mesi aumenta la pressione a livello del LES, il bambino inizia a stare seduto, i pasti sono più viscosi e quindi la maggior parte dei lattanti guarisce dal reflusso (ovviamente quello fisiologico). Va detto peraltro che, nel 33% dei casi, la causa del reflusso è l’iperalimentazione: sono bambini che mangano più di quel che dovrebbero e quindi l’eccesso lo vomitano oppure svuotano lo stomaco molto lentamente e c’è reflusso. Secondo la prof. Oderda sono “figli di mamme che li vogliono vendere tanto al chilo, ingozzandoli come oche nel grasso”. Il bambino che rigurgita se ha MRGE è sottopeso (ricorda: il bambino che non cresce è il primo segno di malattia!) mentre quello che ha reflusso da sovralimentazione è ovviamente obeso! La diminuzione del rigurgito nel secondo semestre di vita è dovuta al fatto che migliora la competenza dello sfintere esofageo inferiore, aumenta il tempo in cui il busto è in posizione eretta e inizia lo svezzamento con 34

Lezioni di pediatria – 2011 aumenta la densità dei pasti (ma questo, a parità di calorie, significa un volume dei pasti inferiore perché se così non fosse non avrebbe alcun significato). Dal punto di vista clinico nel lattante si potranno avere rigurgito o vomito lontano dal pasto (non fa alcuna differenza nel lattante: quando è tranquillo rigurgita mentre quando piange, ride o si sforza vomita), interruzione della poppata o difficoltà di alimentazione, diminuzione dell’appetito o anoressia, risveglio con pianto notturno, singhiozzo, coliche gassose (però di solito queste sono tipiche dei primi mesi e scompaiono verso il 5-6° mese mentre la MRGE inizia verso il 6° mese con pianto notturno) e soprattutto accrescimento ponderale rallentato (il 55% dei ridotti accrescimenti da causa gastro-enterica è da riferirsi alla MRGE, il 20% alla malattia celiaca e il 15% alla gastrite da HP). Nella seconda infanzia (>2 anni) prevarranno come sintomi lo scarso appetito, molto raramente la pirosi (che nell’adulto è patognomonico), il dolore retrosternale (la localizzazione del dolore viscerale nel bambino è difficile fino a 8-10 anni e non sa riferire la provenienza ma indica frequentemente con la mano aperta la zona ombelicale; a volte invece indica una zona che vede “indicare” spesso dai genitori: potrebbe indicare la zona sovrapubica se la mamma è dismenorroica. In sostanza la localizzazione del dolore è l’ultima cosa che ci serve), nausea e vomito, alitosi, sensazione di acido in gola (o gola bruciante la mattina che si risolve in 1-2 ore) ma il più grave sintomo è l’ematemesi (o la melena) per sindrome di Mallory-Weiss o piccoli sanguinamenti (vale più fare un emocromo dopo 1 mese e non fare il SOF che cerca il ferro). Ci sono poi bambini con reflusso, esofago che “sta bene” ma ha sintomi extra-intestinali: asma o broncospasmo ricorrente (l’acido in esofago induce un broncospasmo riflesso, non è l’acido che arriva nei bronchi!), laringite cronica o ricorrente, otite media (alcuni ORL hanno dimostrato la presenza di pepsina nell’orecchio medio), anemia sideropenica, … A volte si considera la MRGE come implicata nelle crisi di apnea del neonato, fino ad arrivare ad ipotizzare il suo coinvolgimento in un terzo dei casi di morte in culla. Altri sintomi extra-intestinali sono la Sindrome di Sandifer (improvvise oscillazioni del capo in avanti, esofagite ed anemia sieropenica) e infezioni polmonari ricorrenti (in bambini cerebrolesi perché nel bimbo normale non si hanno mai queste manifestazioni così gravi per la MRGE). Fattori aggravanti infatti sono le cerebropatie (60% con rigurgito grave) e l’intervento chirurgico alla nascita per atresia esofagea (68% con rigurgito grave). Spesso queste condizioni necessitano di intervento chirurgico. La diagnosi si basa sull’anamnesi e su indagini invasive ma necessarie come la pH-metria 24 ore (e/o impedenzometria) per capire se i sintomi del bambino sono legati al reflusso e la gastroscopia con biopsia esofagea (EGDS che permette l’esame istologico e quindi la DD con l’esofagite eosinofila che non risponde assolutamente alla terapia, ma anche per escludere le altre due cause di ritardo di crescita: malattia celiaca e gastrite da HP) nel sospetto di esofagite. RX con transito con bario, scintigrafia con Tecnezio99m, ecotomografia e manometria esofagea sono esami con scarsa accuratezza diagnostica. La pH-metria è una tecnica che consiste nel posizionamento di un sondino in esofago (passando dal naso) che, collegato ad un registratore, valuta la variazione di pH nelle 24 ore; durante questo tempo la madre deve tenere un diario appuntando cosa fa il bambino (se mangia, dorme, beve, ecc…) per meglio interpretare le curve. Il sondino va posizionato prima del LES e questo veniva fatto sotto guida radioscopica, ma ora si utilizza la formula di Stabel: [(statura/4)*0,87]+5cm. Questa formula calcola la lunghezza dell’esofago (statura/4), la moltiplica per l’87% che è il valore di lunghezza al quale vogliamo mettere la sonda (prima del LES) e aggiunge 5cm che è la distanza naso-esofago in un lattante. Il pH-metro ci fornisce una curva e 4 parametri importanti: o Indice di reflusso: % di tempo in cui l’esofago ha un pH5%. Se questo valore è 30 nelle 24 ore. o N° di episodi lunghi >5 minuti. Questo è un dato importante che, assieme al precedente, ci permette di capire se il bambino ha pochi ma lunghi reflussi (malattia più grave) oppure tanti ma brevi perché chiarifica prima (malattia meno grave). o N° di minuti del reflusso più lungo, che normalmente è 6 per campo ad alto ingrandimento (400x). o Presenza di ulcera, per fortuna rara nel bambino. o Presenza di metaplasia colonnare (Barrett), eccezionale nel bambino perché presente su MRGE inveterate. La terapia è importantissima e si basa su due cardini fondamentali: la postura e la dieta (frazionamento dei pasti con eventuale ispessimento); questo sia nel neonato e lattante con rigurgito fisiologico che nel bimbo con MRGE. In seconda battuta nel bimbo con MRGE diagnosticata dopo esame invasivo la terapia farmacologica e solo, come ultima spiaggia, quella chirurgica. 1. Rassicurare i genitori: spesso il bambino “rigurgita l’ansia dei genitori”. 2. Postura: devo far mettere il bambino quando dorme con un’inclinazione del materasso di almeno 30° (ma anche 45°), alzando di ½ metro i piedi posteriori del lettino e mettendo due o tre cuscini sotto il materasso a livello della testa; non deve mettere cuscini tra il bambino ed il materasso perché questo porta ad una flessione dell’addome con aumento della pressione e incremento del reflusso. Se ben fatto però il bambino scivola verso il basso (“chiedo alla mamma se il bimbo scivola giù e dice di no: quella postura non serve a nulla!”) per cui è necessario fare un’imbracatura semplicemente con i boxer di papà legati all’alto. Questa postura consente al bambino di non essere orizzontale nel letto (e quindi di far agire la forza di gravità) ma anche gli permette di irrigidirsi nel momento del reflusso, cosa che porta a chiarificazione. Va fatta per anni! 3. Dieta: importante è il frazionamento dei pasti (anche 7-8 al giorno) mantenendo la stessa quantità, perché altrimenti si aggraverebbero solo le cose. Va detto che questa “terapia” abbiamo imparato a farla dai bambini stessi che soffrono di MRGE e hanno sazietà precoce proprio per introdurre meno cibo, dilatare meno lo stomaco ed evitare tutti quei meccanismi che portano al reflusso. Occhio però che così il bambino grande rischia di mangiare sempre solo il primo piatto nei pasti principali e poi si mangia le merendine come snack, e questo comporta una dieta ricca di glicidi e grassi ma povera in proteine; bisogna spiegare ai genitori che è meglio dargli come piatto unico il secondo ai pasti principali. Molte discussioni sono state fatte sull’ispessimento dei pasti (e dei latti). Se il pasto è ispessito il contenuto gastrico refluisce più lentamente in esofago, tampona più a lungo l’acidità gastrica e l’ispessimento permette l’introduzione di pasti isocalorici di minor volume. Tuttavia l’aumentata viscosità aumenta il tempo di svuotamento gastrico, aumenta il volume gastrico e la possibilità di reflusso nel tardo periodo postprandiale ed il reflusso chiarifica più lentamente e di conseguenza aumenta il tempo di contatto con la mucosa esofagea. Esistono dei latti AR (Anti Rigurgito), utili nel trattamento sintomatico dei rigurgiti del lattante sempre in associazione con la postura, che migliorano il problema del rigurgito fisiologico ma non il reflusso. Il problema di questi latti è che sono ispessiti con carruba (fibre) e non aumenta il contenuto di calorie, quindi per dare le stesse calorie devo dare almeno lo stesso volume di latte: che utilità ha allora? 4. Terapia farmacologica: Il neurotrasmettitore principale a livello del LES è l’ossido nitrico (NO) ma non possiamo dare donatori di NO come la trinitrina perché occorrerebbero dose così elevate che porterebbero ad importanti effetti collaterali (cefalea, vertigini, …). Per questo motivo i farmaci più utilizzati sono gli inibitori dell’acidità gastrica:

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Lezioni di pediatria – 2011 Antagonisti dei recettori H2 (Ranitidina, Famotidina, Nizatidina). Il più usato è la ranitidina 20mg/kg/die in unica somministrazione alla sera durante la cena; grosso vantaggio è che si trova come sciroppo ed è ben accettata dal bambino. La terapia va fatta per 3-6 mesi. o Inibitori della Pompa Protonica (PPI) (Omeprazolo e Lansoprazolo sono gli unici pediatrici). L’omeprazolo si da 1mg/Kg/die a digiuno (mezz’ora prima di colazione) ed è controindicato nei bambini con meno di un anno. Tutti gli altri si usano come farmaci off-lebel. o Antiacidi (Idrossido di alluminio e magnesio associati o no ad alginato); sono di dubbia utilità per il rigurgito, ma utili per il pianto notturno. Unico svantaggio è la loro brevità d’azione e quindi vanno assunti 4 o 5 volte al giorno: 5mL al lattante e 10mL nel divezzo 30 minuti dopo ogni pasto e al momento di coricarsi. Vanno evitati antiasmatici (teofillina o beta2-agonisti che diminuiscono il tono del LES), FANS e mucolitici (che diminuiscono il potenziale protettivo della barriera esofagea). I procinetici (Domperidone, Metoclopramide) hanno efficacia simile al placebo ed inoltre sono stati tolti dai farmaci pediatrici per la loro tossicità; i protettori della mucosa (Sucralfato, Alginato) sono di difficile somministrazione e dubbia efficacia. 5. Terapia chirurgica: l’intervento più effettuato è quello della fundoplicatio. Indicazioni alla chirurgia sono: o Esofagite peptica refrattaria alla terapia ben fatta (esclusa l’esofagite eosinofila) o Stenosi esofagea o Asma persistente o Crisi di apnea grave e recidivanti o Cerebropatia con ematemesi frequenti e/o anemizzazione ricorrente Linee guida per la MRGE: o MRGE non complicata (eccessivi rigurgiti): nessun test e terapia posturale con frazionamento dei pasti. o MRGE con sospetta esofagite (rifiuto dell’alimentazione, ritardo di accrescimento, sanguinamenti o anemia): EGDS, terapia posturale e terapia medica; se l’esofagite è di I grado con antiacidi, se di II-III grado con anti-H2 o IPP in seconda linea. o MRGE con sintomi extra-intestinali (es. respiratori): pH-metria; se anormale si fa terapia posturale, frazionamento dei pasti ed eventualmente farmaci, se normale occorre riconsiderare la diagnosi. o

La diarrea acuta La diarrea acuta, impropriamente definita gastro-enterite (visto che solo raramente c’è flogosi intestinale e mai flogosi gastrica) è una patologia molto importante visto che interessa ogni anno 3-5 miliardi di casi, causando nei paesi in via di sviluppo 2-3 milioni di morti. Solo negli USA è responsabile di 1,5 milioni di visite ambulatoriali con 220.000 ricoveri ospedalieri (10%) e fortunatamente solo 300 morti, con un costo di ben 1 miliardo di dollari. Si tratta di una malattia infettiva in cui la fanno da padrone i virus più dei batteri. Nei èaesi in via di sviluppo è una malattia pediatrica tra le più frequenti con circa 5 episodi/bambino/anno ed è tra le prime 2 cause di morte infantile; in America Latina addirittura si arriva a 8 episodi/bambino/anno 38,5°C si rara è responsabile di 500.000 visite mediche, Dolore addominale si raro 50.000 ricoveri e 20-40 decessi. Nei Paesi in Evacuazioni >8/die rare si via di Sviluppo è responsabile da solo di Vomito raro si 500.000 decessi. Durata >5 gg si raro Feci muco-emorragiche si no Caratteristiche dell’infezione: l’infezione da Epidemia da fonte unica si no Rotavirus è più comune in inverno e nei Epidemia stagionale rara si climi temperati. Il primo contatto col virus Stagione estate inverno avviene in bambini < di 3 anni, è sintomatico e può essere severo. La Laboratorio patologia è più grave tra i 3 e i 24 mesi di Leucociti nelle feci si no vita e quasi tutti i bambini tra i 4-5 anni sono VES elevata normale Leucocitosi si no positivi sierologicamente. Il periodo di incubazione è di 36-48 ore, la durata dei sintomi di 3-9 giorni, autolimitante. La sintomatologia è legata a febbre, vomito, diarrea acquosa. In alcuni casi è presente sintomatologia respiratoria (66% dei casi: può presentarsi prima dell’esordio dell’ enterite) e la complicanza principale è la disidratazione isotonica con acidosi. Sono stati sviluppati numerosi vaccini nei confronti del rotavirus che sono già in fase IV di sviluppo e che però hanno globalmente una risposta scarsa, intorno al 40%; uno di questi, il RotaShield, è stato anche ritirato dal commercio perché si diceva che la proteina VP7 verso la quale immunizzava il vaccino fosse simile al glutine e questo potesse causare un aumento dei casi di malattia celiaca. Ovviamente è stato tutto smentito dagli studi ma anche perché era stato sponsorizzato tutto da una ditta concorrente allo sviluppo di vaccini. Diagnosi differenziale: diarrea acuta ad eziologia batterica o virale? Nelle forme virali c’è febbricola ma non febbre alta come per il Campylobacter, e non c’è dolore (infatti il rota si localizza al tenue che è un organo muto che non fa male) mentre le forme batteriche interessano più il colon; poi il sanguinamento è tipico delle forme di colite da batteri e quando un bambino ha ematochezia va fatta la coprocoltura. Il rotavirus è comune in inverno (inteso come novembre-febbraio) ed è raro sotto i 3 mesi visto che esistono delle IgA nel latte materno che proteggono il bambino, ovviamente se la madre ha fatto una diarrea acuta da rotavirus da piccola. Questo virus si lega alla membrana degli enterociti maturi, li distrugge e ne provoca l’esfoliazione nel lume intestinale con accorciamento dei villi e infiltrazione infiammatoria. Il rotavirus è autolimitante e non si trova più l’antigene nelle feci dopo che è finita la diarrea. Nelle diarree acute è importante conoscere se si tratta di una forma virale o batterica per questioni epidemiologiche e non per questioni terapeutiche: se è virale, quando finisce la diarrea, posso mandare il bambino a scuola mentre se è batterica continua ad eliminare l’agente patogeno anche quando la diarrea è finita per cui è necessario fare delle copro colture ripetute e si può mandare a scuola il bambino in caso di Salmonellosi solo se tre copro colture consecutive sono risultate negative. Però se le epidemie di rotavirus sono frequenti in inverno e il rota d’estate praticamente non c’è e non lo si trova nei cibi e nell’ambiente, dove sta? In realtà qualche bambino continua ad essere portatore con basse cariche virali che non vengono viste al test classico ELISA ma invece visualizzabili con la PCR (si stima fino al 10-20% dei lattanti); quando si ha la riacutizzazione con piccole scariche diarroiche si può vedere perché aumentano le IgA specifiche. La terapia antibiotica nelle diarree acute non serve. Nelle forme virali è inutile mentre in quelle batteriche è addirittura controproducente. In uno studio condotto su veterani di guerra negli USA che si erano infettati con 39

Lezioni di pediatria – 2011 Salmonella in un loro incontro (visto che il cuoco aveva la Salmonella) si è visto come quelli trattati con antibiotici avevano una durata di malattia doppia ai loro coetanei che non avevano assunto antibiotici ed inoltre avevano un rischio dii 3 volte di diventare portatori sani; quando si diventa portatore è difficilissimo eradicare il battere. Questa condizione di svantaggio nell’utilizzo degli antibiotici è in relazione con il fatto che le enterobatteriacee sono microrganismi molto resistenti resistenti e che si passano la resistenza molto velocemente ma soprattutto che la flora microbica normale del colon è molto sensibile e la terapia antibiotica andrebbe a distruggere questi batteri che competono per le sostanze e per il sito di legame con la mucosa, mucosa favorendo il patogeno. Unica eccezione è nella diarrea da Campylobacter in cui l’antibiotico è utile prima che si manifesti la sintomatologia, e quindi lo posso dare ai fratelli più piccoli del bimbo con diarrea acuta di questo tipo. “Se all’esame mi ditee che nella diarrea acuta do l’antibiotico, se sono di buon umore vi prendo a schiaffi”. schiaffi La desquamazione degli enterociti e la peristalsi allontanano l’agente infettivo dall’intestino attraverso le feci e la diarrea è di per se un meccanismo di difesa dell’organismo dell’organismo e non andrebbe bloccata con agenti farmacologici che, inibendo la peristalsi, potrebbero aggravare ed allungare lo stato settico. Linee guida per la gestione della diarrea iarrea acuta: 1. Individuare i fattori attori di rischio per la disidratazione: disidratazione sono l’etàà (il lattante ha superficie corporea aumentata), la malnutrizione, il morbillo nel mese precedente (questo è vero nei paesi del terzo mondo, visto che c’è ancora il morbillo e ch lascia uno stato di grave immunodepressione dopo la guarigione), il vomito severo (>3-44 al giorno, non i due episodi di vomito al giorno), l’alto numero di scariche acquose (>8 al giorno), scarsa igiene della madre (non lavaggio delle mani prima della preparazione del cibo) ma soprattutto i seguenti due punti: non n reidratazione orale ale e interruzione dell’allattamento materno; unico patogeno che cambia il rischio di disidratazione è il Vibrio Cholerae. 2. Diagnosi del grado di disidratazione: disidratazione si stima in base alla perdita di peso (solo se il peso precedente è affidabile, perché “le madri hanno idee molto strane sulla perdita di peso”), peso”), secchezza delle mucose, pliche cutanee a ‘ritorno ritardato’ (ci dice il grado di disidratazione: si solleva una plica a livello addominale stando ben attenti a non sollevare il muscolo e si guarda quanto quanto ci mette a tornare come prima), bulbi oculari infossati, depressione della fontanella nel lattante, tempo di riempimento capillare > o > di 2 secondi (a livello dell’unghia), stato neurologico-comportamentale comportamentale alterato (con irritabilità fino al sopore e il coma), pianto senza lacrime, oliguria o anuria, ipotensione arteriosa e/o polso rapido (ma ricorda che in questi casi può esserci la febbre che di suo aumenta di 5bpm la frequenza). È importante stimare il grado di disidratazione perché se lieve (15%) va ricoverato per il rischio di morte; infatti la morte nelle diarree acute è legata unicamente alla disidratazione. 3. Modalità della reidratazione eidratazione: il Lancet definì la ORS (terapia reidratante orale) come la più importante scoperta medica del secolo passato. Presupposto razionale della ORS è la dimostrazione imostrazione che l’assorbimento di H2O, mediato da trasporto attivo-cotrasporto cotrasporto equimolare Na-glucosio, Na persiste ersiste anche nel colera. Soluzione (ORS) raccomandata ESPGHAN: Na 60 mmol/L, Glucosio 74-111 mmol/L (13-20 20 gr/l), gr/l) Cl 60 mmol/L, K 20 mmol/L, Citrato 20 mmol/L e tutto con una osmolarità di 200 - 270 mOsm/L. Questa combinazione di Sali ha vinto le epidemie epidemie di colera nel mondo e si può fare facilmente a casa con 1 litro d’acqua, 2 cucchiai di zucchero, 1 cucchiaino di bicarbonato, uno di sale da cucina e la spremuta di un agrume (arancia o limone). Va peraltro detto che oggi si trovano in commercio bustine già pre-confezionate da far sciogliere in acqua, molto più comode e “precise”, come il Dicodral. Se gli do più zuccheri la soluzione reidratante perde progressivamente la capacità di far assorbire acqua e quindi non bisogna dolcificare le ORS! In Italia si usa molto Dicodral 60 (dove 60 è la concentrazione del sodio) mentre in Africa più Dicodral 90 (o la cosiddetta soluzione OMS) perché si deve spesso fronteggiare il problema della disidratazione ipernatriemica. 40

Lezioni di pediatria – 2011 È ovvio però che il bambino non deve bere altro che la ORS, cosa peraltro difficile visto che è disidratato per la diarrea acuta e avrà sete; infatti tutte le altre bevande hanno una osmolarità molto più alta dei 270mOsm/L e il bambino tendenzialmente le vomiterà. Poi molte hanno concentrazioni troppo elevate di glucosio (succhi di frutta), molto alte di sodio (brodi vari) oppure molte alte di glucosio e basse di sodio come la coca-cola (“che in USA si dice Koke perché sanno che contiene pochissimo sodio de molto potassio”). Il vomito non è una controindicazione alla ORS ma anzi, il bambino che vomita deve berne di più (ovvero deve bere in più la quantità che vomita); se volumi troppo grandi inducono il vomito è opportuno che la madre si metta con pazienza a dargliene un cucchiaino al minuto (che sono 5mL e alla fine della giornata glie ne ha dati 2L). Quando il vomito è davvero incoercibile (>8 volte al giorno) è più conveniente l’introduzione di un sondino naso-gastrico perché meno invasivo di un’endovena, visto che poi viene la tentazione di metterci su la fisiologica (il vantaggio dell’endovena è che si scarica il paziente, non lo si cura). In quasi tutti i pazienti è possibile la reidratazione orale; nei più gravemente disidratati con stato neurologico alterato può essere necessaria la reidratazione e.v. per 3-4 ore ma quando il bimbo si sveglia deve passare alla ORS (e se non si sveglia ho sbagliato io qualcosa). La ORS andrebbe somministrata come segue: nelle prime 3-4 ore ad libitum (sufficiente è l’autoregolazione della sete), poi dopo 4 ore si fanno 50mL/Kg/4 ore (se il bimbo è ben idratato) o 100mL/Kg/4 ore e poi, dopo 24 ore, si può fare 50mL/Kg/die. 4. Disidratazione ipernatremica (non è però un problema delle nostre aree e quindi non lo trattiamo). 5. Rialimentazione: è importante la non sospensione o la reintroduzione rapida dell’alimentazione, perché: o diminuisce permeabilità intestinale e sviluppo intolleranza PLV o migliora guarigione enterociti o diminuisce sviluppo intolleranza al lattosio La reintroduzione della dieta abituale dopo 4 ore di SRO migliora lo stato nutrizionale e non allunga la durata della diarrea. L’allattamento materno deve essere sempre continuato! Inutili le diete prive di lattosio nella maggioranza dei casi. Se la diarrea peggiora dopo introduzione di lattosio e aumentano le sostanze riducenti fecali bisogna evitare il lattosio per una o due settimane. Restrizioni dietetiche e inappetenza fase acuta (causata da INF-γ) portano ad un apporto calorico insufficiente con diarrea protratta ed insorgenza di complicanze. Si può alimentare perché permane l’assorbimento (80-90% carboidrati, 70% grassi, 75% azoto), gli alimenti non assorbiti non recano danno, dopo i 3 mesi di vita IPLV (intolleranza alle proteine del latte vaccino) secondaria non è provata e il peggioramento da deficit della lattasi è francamente raro (6%). Di deve alimentare perché c’è un effetto trofico dei nutrienti sulla mucosa (SCFA), il digiuno porta ad atrofia dei villi e lieve insufficienza del pancreas, la rialimentazione precoce riduce permeabilità intestinale e mantiene le disaccaridasi, il digiuno favorisce la traslocazione batterica, la carenza di lipidi comporta uno squilibrio di prostaglandine con alterata motilità (quindi mai le diete in bianco) e i substrati alimentari sono ricchi di amminoacidi che favoriscono l’assorbimento di acqua. 6. Agenti farmacologici vari. In uno studio europeo si sono somministrati Lactobacilli (pro-biotici perché di origine umana, mentre “tutti quelli di origine animali l’intestino non lo vedono nemmeno”) e si è visto che per uno di questi, il L. Caseus GG si ha la riduzione di 18 ore della diarrea acuta, oltre che il LGG (Dicoflor) stimola la risposta immune serica ed intestinale anti-Rotavirus, che può essere importante per la prevenzione della reinfezione. Tutti gli altri studi sulla somministrazione di fermenti lattici e pro-biotici hanno dimostrato un generale effetto nocivo. Un sistema a parte è quello delle encefaline endogene, neurotrasmettitori peptidici che si legano al recettore delta degli oppiacei sulla membrana degli enterociti e portano a inibizione cAMP e chiusura dei canali del Cloro. Hanno azione pro-assorbitiva e antisecretoria ma non influiscono sulla motilità intestinale. Unico farmaco utile in questo senso è il Racecadotril (Tiorfix, inibitore delle encefalinasi) 1,5mg/Kg 3 volte al giorno, che migliora enormemente la situazione ma sempre in associazione a ORS. Adsorbenti: cosmetici fecali e adsorbenti le entero-tossine.

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Lezioni di pediatria – 2011 cosmetici fecali: caolino, pectina, attapulgite. Riducono l’assorbimento di nutrienti per interferenza con le attività enzimatiche. Il bismuto subsalicilato riduce l’effetto delle enterotossine e riduce la crescita di patogeni, ma il suo uso non è raccomandato. adsorbenti entero-citotossine: colestiramina (colite pseudo membranosa) e diosmectite (neutralizza in vitro patogeni e rotavirus, favorisce la riparazione mucosale) Ci sono poi gli oppiacei, antiperistaltici: loperamide. Maschera le perdite idriche, aumenta il contatto con i patogeni, riduce il wash out ed il suo uso non è raccomandato. Ultima possibilità le immunoglobuline aspecifiche per os: utili in lattanti con diarrea protratta da rotavirus, hanno alto costo e non è provata la loro efficacia. Se di diarrea acuta si può morire per via della grave disidratazione, è vero anche che ci sono delle forme di diarrea che “cronicizzano”, ovvero forme post-enteritiche: o Intolleranza al lattosio: segue diarree da Rotavirus ed EIEC, interessa lattanti nei primi 3–6 mesi di vita e va sempre confermata con test di Kerry. Nonostante ciò le metanalisi sugli studi che cercavano di dimostrare come la dieta priva di lattosio fosse associata a una sintomatologia meno grave sono stati un fallimento. o Intolleranza alle Proteine del Latte Vaccino: segue infezioni da Rotavirus, EPEC e Campylobacter jejuni. Interessa sempre i primi 3 mesi di vita con un’incidenza fino 28% di IPLV nei lattantini con diarrea acuta. o Sindrome dell’Intestino Irritabile post-enteritico: se l’incidenza nella popolazione generale è del 3,5 ogni 1000 persone, nella coorte di pazienti post-diarrea acuta l’incidenza sale al 37% (RR 11,9). In uno studio con 94 pazienti ricoverati per gastroenterite è stato dato da compilare un questionario psicometrico (ansia, nevrosi, ipocondriasi, somatizzazione), è stata fatta una biopsia rettale ed è stati avviato un follow up di 3 mesi con ripetizione questionario e biopsia rettale. Ben 22 pazienti hanno sviluppato una forma di intestino irritabile (IBS+) pari al 23% del campione mentre 72 pazienti hanno avuto un ritorno alla norma (IBS –). Le differenze significative tra i du gruppi sono che l’IBS è più frequente negli ipocondriaci come ci aspettavamo, ma è vero anche che l’infiammazione rettale dopo 3 mesi è presente in questi pazienti; non c’è nessuna differenza per: tipo di patogeno, infiammazione rettale in condizioni basali, ansia o somatizzazioni. Un accenno rapido riguarda le diarree acute batteriche, rare da noi ma più frequenti nel terzo mondo: o Salmonella: le salmonelle maggiori sono responsabili della febbre tifoide (non presente da noi, causata da S. Typhi) mentre le altre “minori” sono responsabili della diarrea acuta del bambino. Le fonti più comuni di contaminazione sono carne, latte, uova fresche della nonna; è possibile anche il contagio interumano. Ha picco di incidenza a fine estate – inizio autunno. Il periodo di incubazione è di 6-72 ore con insorgenza brusca, nausea e vomito, dolori addominali crampi formi, diarrea con anche muco e sangue. Le salmonelle possono anche causare gravi batteriemie; la diagnosi si basa sulla copro coltura. o Campylobacter Jejuni: è abbastanza frequente anche nel nostro paese (terzo dopo rotavirus e salmonelle). Produce una tossina termolabile ma può anche agire con meccanismo invasivo nella mucosa del digiuno, dell’ileo e meno frequentemente nel colon. La trasmissione è oro-fecale e soo descritte epidemie legate all’acqua. La diarrea è più frequente in estate-autunno e colpisce più tra 2 e 4 anni. La terapia antibiotica con eritromicina non è indicata se non nelle prime 24ore dall’avvenuto contagio, e quindi utile nei fratellini. o Eschiericchia Coli: è una causa rarissima di diarrea nel nostro paese (25); ricorda però che l’irsutismo è la comparsa di peli nelle zone androgeno-sensibili mentre l’ipertricosi è la comparsa di peli ovunque. Nelle donne non è rara l’alopecia tipo maschio (zona clericale e stempiamento). Variante non classica: la sintomatologia clinica è estremamente variabile, può presentarsi ad ogni età e comprende: pubarca prematuro, accelerazione della velocità di crescita con avanzamento dell’età ossea, acne cistica, alopecia androgenica, oligoamenorrea, sindrome dell’ovaio policistico, infertilità. Le mutazioni del gene CYP21 possono essere suddivise in 3 categorie, correlate con l’attività enzimatica: 1. Delezioni o mutazioni nonsense che aboliscono completamente l’azione dell’enzima: in genere associate alla forma classica di CAH, con perdita di sali. 2. Mutazioni che comportano una persistenza dell’attività enzimatica dell’ 1-2%, generalmente associate alla forma classica di CAH, con semplice virilizzazione. 83

Lezioni di pediatria – 2011 3. Mutazioni che riducono l'attività enzimatica al 20-60% del normale, spesso associate alla forma non classica di CAH. Il gene CYP21 è sito sul cromosoma 6 vicino al locus HLA ed è vicino ad uno pseudo-gene CYP21 che tende ad incorporare le mutazioni; a volte però succede nella meiosi un errore di appaiamento e questo è responsabile della stragrande maggioranza delle nuove mutazioni che compaiono dei figli di genitori non portatori di SAG. Sebbene nell’ 80% dei pazienti vi è una correlazione tra difetto genico e conseguenza funzionale, non sempre il genotipo permette di stabilire il fenotipo risultante. Lo screening neonatale della SAGC e’ possibile dal 1987. L’obbiettivo è la diagnosi tempestiva per prevenire: 1. le crisi da perdita di sali; 2. gli errori nell’attribuzione di sesso a femmine fortemente virilizzate; 3. gli effetti da eccesso di androgeni nei maschi senza perdita di sali. È necessaria la precoce raccolta del campione entro 48-72 ore di vita: prima delle 48 h, l’interferenza della produzione placentare di 17OHP sarebbe eccessiva! Va inoltre fatta una pronta spedizione del campione al laboratorio, con analisi rapida. Tutti i bambini positivi allo screening vanno inviati a centri di 3° livello. Attenzione: neonati pretermine con valori elevati di 17OHP, imputabili a varie cause. Infatti, i valori soglia sono stati differenziati in base all’età gestazionale, ed il neonato pretermine effettua un controllo di routine a 15 giorni. Vi e’ anche una soglia di richiamo urgente per avviare immediatamente il caso all’osservazione dell’endocrinologo pediatra se il sospetto diagnostico e’ forte, senza ulteriore controllo laboratoristico. L’obiettivo, e’ quello di non superare il 10° giorno di vita come raccomandato dalla Società Europea di Endocrinologia Pediatrica (SIEDP). Per fare diagnosi di SAG nel neonato si dosano quindi: 17OHP, renina, androstenedione e nei casi dubbi si fa il test con ACTH. Utili ovviamente anche cariotipo, ecografia renale, vaginografia, Rx mano polso e confronto dei risultti sul nomogramma di New. Terapia: tutti i pazienti con SAG classica e con SAG non classica sintomatici sono trattati con glucocorticoidi per inibire l’eccessiva produzione di CRH ed ACTH da parte di ipotalamo ed ipofisi e ridurre la produzione surrenalica di androgeni. I pazienti che presentano la forma salt-wasting richiedono la supplementazione di NaCl e fludrocortisone soprattutto in età neonatale. Scopo della terapia nel bambino: 1. salva vita: nei casi con perdita salina. 2. sostituzione: permettere un normale accrescimento staturale ed una normale progressione della pubertà, evitando gli effetti collaterali. 3. soppressione: inibizione della produzione androgeni Scopo nell’adulto: o Riduzione dell’iperandrogenismo. o Evitare l’iperplasia surrenalica e/o ipofisaria. Nel maschio: mantenere la fertilità. Nella donna: mantenere il normale ritmo mestruale e la fertilità. I farmaci a disposizione si distinguono in: o specifici: idrocortisone, cortone acetato, fluoridrocortisone e desametasone o di supporto o associazione: LHRH analogo, ciproterone acetato, finasteride, testosterone, carbenoxolone, RECGH, estro progestinici. I farmaci specifici sono quindi: 1. idrocortisone: alla dose di 10-20 mg/m2 (fino a 40 mg/m2) suddiviso in 3 somministrazioni die, con dose serale pari al 50% della dose quotidiana al fine di ottenere la maggior soppressione possibile di ACTH. La breve emivita influenza in maniera minore la crescita staturale. La breve emivita richiede 1 somministrazione in dosi refratte durante la giornata: 1 singola dose di idrocortisone non sarebbe sufficiente a controllare la secrezione corticosurrenalica. Il farmaco non rientra nella farmacopea Italiana. Queste dosi eccedono la fisiologica secrezione di cortisolo da parte di surreni di bambini ed adolescenti sani (6-7 mg/m2/die) ma risultano indispensabili per sopprimere adeguatamente a produzione di androgeni surrenalici e per prevenire le crisi di iposurrenalismo. 84

Lezioni di pediatria – 2011 2. α-fluoridrocortisone (florinef): 0,05 mg/m2 per os in monosomministrazione giornaliera. Dose media 0.050.1 mg/m2 (fino a 0.2 mg/die). Non in commercio in Italia (possibilità di ottenerlo galenico da alcune farmacie specializzate). Si supplementa in questi casi anche con NaCl: 1-2 gr/die in 3-4 somministrazioni fino a 2 anni perché il latte è povero di NaCl. 3. cortone acetato: non è il farmaco di I° scelta nelle sindromi surreno-genitali, soprattutto nella preadolescenza: presenta solo l’80% di biodisponibilità rispetto all’idrocortisone ed approssimativamente 2/3 della sua potenza. Inoltre, poiché deve essere convertito a cortisolo biologicamente attivo, nelle SAG, il deficit di 11-b-idrossisteroido-deidrogenasi, potrebbe ridurne ulteriormente l’efficacia. 4. In età post-puberale: prednisone: 5-7,5 mg/die, in 2 somministrazioni quotidiane o desametasone: 0,250.5 mg/die in 1 somministrazione quotidiana. Gli uomini con residui surrenalici a livello testicolare possono richiedere una dose più elevata di desametazone per sopprimere i livelli di ACTH (e occorre sempre fare una ecografia testicolare 1 volta all’anno)! In caso di stress fisico (febbre, interventi chirurgici, trauma ecc) o psichico i dosaggi terapeutici vanno triplicati! L’efficacia del trattamento viene monitorizzata mediante la valutazione dei livelli di: 17-OH-P, dell’androstenedione, in corrispondenza del picco fisiolgico di ACTH e del nadir della concentrazione di idrocortisone (immediatamente prima dell’assunzione della dose mattutina). Nelle donne e nei maschi prepuberi può essere utilizzato come utile parametro la concentrazione di testosterone. I valori di PRA possono essere utilizzati come parametro dell’adeguateza della sostituzione mineralcorticoicde e di sodio. I valori di ACTH rappresentano un altro indice guida per gli adeguamenti della terapia. In ogni paziente ricoverato con SAG va sempre messo un accesso venoso prima che le vene collassino durante lo stress. Il trattamento si definisce efficace quando previene le crisi di iposurrenalismo non compromettendo l’accrescimento staturale del bambino e la sua identità di genere. Ogni bambino affetto da SAG dovrebbe essere sottoposto almeno 2 volte l’anno ad una valutazione auxologica e 1 volta l’anno alla valutazione dell’età ossea. La maggior parte delle casistiche, anche nelle migliori condizioni di trattamento, riportano una altezza media di 23 DS inferiore rispetto al bersaglio genetico. Effetti collaterali: o sindrome di Cushing iatrogena: rapido incremento ponderale, ipertensione arteriosa, striae rubre ed ed osteopenia. o Eccesso iatrogeno di mineralcorticoidi: ipertensione, tachicardia e valori soppressi di PRA. Lo stress: a causa della relativa incapacità dei pazienti affetti da SAG di affrontare episodi di stress con una maggiore produzione endogena di cortisolo è necessario supplementare farmacologicamente queste richiesta! Pertanto, in caso di eventi particolarmente stressanti (interventi chirurgici, trattamenti odontoiatrici, febbre, traumi) o in caso di ipotensione, nausea, vomito e dolori addominali è necessario supplementare le dosi di glucocorticoidi secondo istruzioni che vengono fornite al paziente attraverso la cosiddetta “carta steroidea”. In caso di eventi particolarmente stressanti o di incapacità all’assunzione di farmaci per os è necessaria la somministrazione parenterale mediante idrocortisone succinato i.m. o e.v. (Flebocortid fl 100 mg; Solucortef fl 100 mg) ponendo particolare attenzione a che il paziente mantenga un adeguato equilibrio idro-elettrolitico. La posologia in caso di interventi chirurgici è di 100 mg/m2/die, in 2-4 somministrazioni quotidiane. L’idrocortisone quando è somministrato ad alte dosi è sufficiente, per la sua attività mineraloattiva, anche a sostituire la dose orale di fludrocortisone. Qualora le condizioni pressorie ed idro-elettrolitiche richiedessero una specifica supplementazione parenterale di mineralcoriticoidi, si somministra desossicortisterone acetato (Cortiron fl 10 mg) alla posologia di 1-4 mg/die. Le opzioni chirurgiche della SAG sono limitate: la surrenalectomia può essere proposta come profilattica o come terapeutica nelle iperplasie nodulari. Ovviamente c’è un rischio importante: 1. Rischio chirurgico in paziente poco tollerante lo stress; 2. Iposurrenalismo iatrogeno: il profilo lipidico, la libido e la qualità della vita di pazienti surrenectomizzati potrebbe risentire negativamente della mancanza di DHEA-S. 3. Sviluppo di residui surrenalici in ambito gonadico: con produzione di potenti precursodi androgenici con annullamento dei benefici della surrenectomia. 85

Lezioni di pediatria – 2011 SAG e pubertà precoce: l’esposizione cronica agli androgeni surrenalici può causare una precoce maturazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonade. Nell’ambito delle SAG, sia in caso di inadeguato trattamento sia quando il trattamento con glucocorticoidi è iniziato in bambini con marcato incremento dell’età ossea, vi può essere un inizio precoce degli eventi puberali. L’avanzamento negli stadi puberali, il dosaggio del testosterone con un avanzamento dell’età ossea, sono indici di una pubertà precoce centrale. La conferma diagnostica richiede l’esecuzione del test con LHRH. Benchè sono stati riportati casi aneddotici di risoluzione spontanea di questo fenomeno, in genere la diagnosi di pubertà precoce centrale si accompagna all’esigenza di intraprendere una terapia con LHRH analogo, con l’obiettivo di bloccare la produzione steroido-genetica gonadica e quindi di ritardare la fusione delle epifisi: per raggiungere una altezza definitiva quanto più possibile vicina al bersaglio genetico! Inoltre la terapia avrebbe i vantaggi di evitare le spiacevoli conseguenze psicologiche di una pubertà prematura. Forma non classica: il trattamento indicato solo nelle forme sintomatiche. In età pediatrica: idrocortisone 10-20 mg/m2; in età adulta: prednisone 5-7.5 mg/die o desametazone 0.25-0.5 mg/die. Utilizzare il dosaggio più basso che permetta una buona soppressione degli androgeni surrenalici ed una crescita adeguata. Monitoraggio terapia: livelli ematici di 17OHP tra 1 e 10 ng/mL, androstenedione e testosterone adeguati all’età. Non sono necessarie supplementazioni di idrocortisone in caso di eventi stressanti, nemmeno in caso di chirurgie maggiori, a meno che non abbiano ricevuto un trattamento con glucocorticoidi che potrebbe aver soppresso la funzione surrenalica endogena. Personalmente consiglio, però, la somministrazione di Flebocortid in caso di interventi chirurgici. Forme meno frequenti di SAG (10 ng/ml o massimale: >20 ng/ml. test di generazione somatomedinica: incremento IGF- I > 50% del basale. Questo test si fa quando il test per la secrezione di GH è normale ma sono bassi i livelli di IGFs (somministrando GH ricombinante per 4 giorni e dosando IGF-I al 5° giorno). La secrezione spontanea di GH è di tipo intermittente con picchi irregolari durante il giorno. Durante la notte di regola i picchi compaiono in rapporto al ritmo veglia-sonno, 60-90 minuti dopo l’addormentamento, in coincidenza della fasi 3 e 4 del sonno. Terapia: nota 39 G.U. Classe A. Limitatamente alle seguenti indicazioni nell’età evolutiva: bassa statura da deficit di GH, sindrome di Turner citogeneticamente dimostrata, deficit staturale nell’insufficienza renale cronica e sindrome di Prader Willi in soggetti prepuberi. 95

Lezioni di pediatria – 2011 In età pediatrica la carenza di ormone della crescita (GH) deve essere documentata da: o dati auxologici (statura, velocità di crescita, età ossea, target genetico); o dati laboratoristici: picchi massimi di GH dopo uno o più test di stimolo diversi da riportare in triplice copia sulla scheda epidemiologica da inviare alla USL di provenienza, alla Regione e all’Istituto Superiore di Sanità Il trattamento con l’ormone va effettuato in bambini con bassa statura e/o bassa velocità di crescita determinati da deficit di GH: la carenza può essere quantitativa, determinata da cause ipofisarie e/o ipotalamiche, ma anche qualitativa, determinata da inattività biologica dell’ormone. Il deficit di GH deve essere dimostrato: a) deficit a patogenesi ipofisaria: mancata risposta di GH a due test provocativi classici (picco di GH ripetutamente inferiore a 10 mcg/l) oppure a un test massimale con GHRH + arginina o piridostigmina (picco inferiore a 20 mcg/L). b) deficit a patogenesi ipotalamica: secrezione spontanea media di GH nelle 24 ore o quantomeno nelle 12 ore notturne inferiore a 3 mcg/L ancche in presenza di normale risposta ai test provocativi. c) deficit dell’attivita’ biologica: bassi livelli di IGF-I normoresponsivi al test di generazione somatomedinica in pazienti con normale secrezione spontanea e stimolata. Il trattamento con GH biosintetico deve protrarsi in tutti i bambini fino al raggiungimento della statura definitiva al termine dell’epoca puberale. Il trattamento non va effettuato in bambini con bassa statura costituzionale o familiare in cui non siano state chiaramente documentate le alterazioni sopra specificate. Per una sorveglianza epidemiologica e’ opportuno che le Autorità Sanitarie preposte tengano presente che la prevalenza dell’ipostaturalismo da deficit di GH e’ dell’ordine di 1/4000 abitanti. Follow-up: clinico-auxologico (ogni 6 mesi) e di laboratorio (annuale): glicemia ed IGF-I Effetti collaterali: cefalea (per qualche settimana, è il più frequente nella sua rarità), artralgie, iperglicemia (passa con la sospensione della terapia raggiunto il bersaglio), epifisiolisi femorale prossimale e ipertendione endocranica. Insensibilità o resistenza al GH: consiste nell’incapacità del GH a espletare i suoi difetti biologici a causa di difetti genetici del recettore del GH o alterazioni della catena postrecettoriale (forme primitive), anticorpi circolanti anti-GH o condizioni patologiche come malassorbimento, a mlattie infiammatorie sepsi o insufficienza epatica (forme secondarie). o Sindrome di Laron: l’accrescimento è gravemente compromesso fin dai primi anni di vita, con statura prepubere tra -6 e -10 SD, età ossea ritardata, esordio ed evoluzione della pubertà normali o ritardati (manca un vero spurt puberale) e sviluppo puberale completo e normale funzione riproduttiva. Stature finali: maschi 119-142 cm, femmine 108-135 cm, senza correlazione con statura dei genitori. Proporzioni corporee: sono variabili ma tendenza ad arti corti rispetto al tronco, con acromicria, genitali piccoli fin dalla nascita. Caratteristiche somatiche sono capelli radi, testa relativamente grande rispetto alla statura, bozze frontali prominenti, naso a sella, sovrappeso fin dalla nascita, ridotta mineralizzazione ossea, ritardo di dentizione e muscolatura iposviluppata. Esami di laboratorio: crisi ipoglicemiche fin dalla nascita, colesterolo e TG normali o bassi nell’infanzia, ma tendono ad aumentare con l’età, livelli basali di GH più elevati del normale, soprattutto durante la notte ( fino a 200-300 ng/ml), risposte di GH agli stimoli provocativi normali-alte, livelli di IGF-I e IGFBP3 bassi e indosabili e non aumentano dopo test di generazione somatomedinica, GHBP bassa o indosabile e restante funzionalità endocrina nella norma. Bassa statura: la scoperta del gene SHOX Il gene SHOX (Short stature homeobox-containing gene) è contenuto all'interno della regione pseudoautosomiale PAR1 sul braccio corto dei cromosomi X e Y (Xp22.32 e Yp11.3). In questa posizione i geni non subiscono l'inattivazione del cromosoma X, (entrambe le copie del gene sono espresse in entrambi i sessi): per il corretto sviluppo delle strutture ossee è necessaria la dose diploide della proteina. La proteina trascritta dal gene si comporta da fattore di trascrizione e viene espressa prevalentemente nelle cellule osteogeniche. Mutazioni o delezioni del gene SHOX rappresentano la causa monogenica più frequente di bassa statura isolata o familiare. L'insufficienza del gene SHOX viene ereditata come carattere autosomico dominante. È stato ipotizzato che 96

Lezioni di pediatria – 2011 l'aploinsufficienza di SHOX possa causare una precoce differenziazione dei condrociti proliferativi e come conseguenza un'accelerazione della fusione delle piastre di crescita. L’aploinsufficienza del gene SHOX causa bassa statura con gravità ed espressione clinica largamente variabili (bassa statura senza caratteristiche dismorfiche come la bassa statura idiopatica, basse stature sindromiche quali la sindrome di Leri Weill e la sindrome di Langer, sindrome di Turner). La deformità di Madelung potrebbe derivare da una crescita disorganizzata di una parte dell’epifisi radiale, che determinerebbe un incurvamento del radio, una prematura fusione dell’epifisi e una dislocazione dorsale dell’ulna e ossa carpali serrate le une alle altre. Il radio, corto e ispessito, incurvato in prevalenza nella sua parte distale con l'estremità distale dell'ulna che appare dislocata. La sindrome di Leri-Weill (LWD) è una rara osteocondrodisplasia (1/100.000 individui). La LWS è quattro volte più frequente nel sesso femminile in cui ha manifestazioni cliniche più gravi. La trasmissione avviene con meccanismo dominante in quanto è associata a mutazioni in eterozigosi del gene SHOX. Le mutazioni del gene SHOX sono state riportate nel 55-100% degli individui con LWS, di cui la maggior parte presentano completa delezione del gene e raramente, mutazioni puntiformi. È stato suggerito che il gene SHOX agisca da repressore della fusione delle cartilagini di crescita nelle ossa e della maturazione scheletrica negli arti e controbilanci l’azione degli ormoni estrogeni. Ciò spiegherebbe le più gravi manifestazioni scheletriche riscontrate nelle femmine. SHOX e sindrome di Turner: la maggioranza dei tratti clinici osservati è ascrivibile all’aploinsufficienza del gene SHOX. Circa il 3% della popolazione presenta una statura inferiore al 3° percentile con normale proporzione tra i segmenti corporei e potrebbe pertanto rientrare nella categoria della bassa statura idiopatica. Se il 3% dei soggetti hanno bassa statura idiopatica e se consideriamo che circa 3% di essi hanno un SHOX-D dovremmo aspettarci una prevalenza di SHOX-D nella popolazione generale di circa 1/1000. questa prevalenza è ben maggiore di quella del GHD 1/3500 e della S. di Turner (1/2500 femmine). La bassa statura idiopatica può essere un fattore di rischio per problemi psicosociali, anche se una vera psicopatologia è rara. Trattamento: negli ultimi 10 anni studi clinici hanno dimostrato l’efficacia dell’ormone della crescita ricombinante (rhGH) nell’aumentare l’altezza finale in bambini con sindrome di Turner e bassa statura idiopatica. Considerando questo dato ci si è chiesti: la terapia con rhGH può migliorare il pattern di crescita e l’altezza finale anche in bambini con aploinsufficienza del gene SHOX? Alcuni autori suggeriscono che l'uso degli antagonisti del GnRH potrebbe migliorare l’altezza definitiva e attenuare o prevenire la deformità di Madelung. I soggetti con mutazioni del gene SHOX possono usufruire, come quelli con sindrome di Turner, della terapia con rhGH. Ci sono evidenze che la risposta alla terapia con GH sia dose-dipendente, inoltre come atteso i risultati sono migliori nei soggetti che iniziano precocemente la terapia.

I disordini della pubertà La pubertà è la fase dello sviluppo dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi volta al completamento dello sviluppo sessuale e al raggiungimento della fertilità. È caratterizzata dalla maturazione dei caratteri sessuali primari e secondari e dall’accelerazione della crescita (“growth spurt”), con cui si raggiunge la statura definitiva. Mediamente l’età nella femmina è 8-13 anni e nel maschio 9-14 anni. o Nella femmina gradatamente va a formarsi il bottone mammario (telarca), successivamente si sviluppano le piccole labbra, inizia l’accrescimento dell’utero, appaiono i primi peli pubici (pubarca). Verso gli 11-12 anni (e comunque dopo 18-24 mesi dal telarca) per la maturazione dell’ovaio dipendente da LH ed FSH, i follicoli producono estrogeni e si ha il menarca (prima mestruazione); inizia così il ciclo mensile che, anovulare nei primi tempi, si ripete spesso con irregolarità. o Nel maschio, con un ritardo di 1-2 anni, aumenta il volume dei testicoli ( 2.5 cm o volume testicolare > 4 ml è il 1° segno inizio pubertà) e sviluppo peli pubici e ascellari; nella femmina: sviluppo mammario (dipendente da estrogeni ovarici) e sviluppo peli pubici e ascellari (dipendente da androgeni ovarici e surrenalici).

Scatto di crescita puberale: spiccato aumento della velocità di crescita (cm/anno) che caratterizza il periodo puberale. Si compone di 3 fasi: deflessione della velocità di crescita, picco di velocità di crescita (PHV) e arresto accrescimento e saldatura epifisi. Composizione corporea: pre-pubertà: maschi e femmine hanno massa magra, massa scheletrica e massa grassa simili. Maschio adulto ha massa magra, scheletrica e muscolare 1.5 volte > femmina. Femmina adulta ha massa grassa 2 volte > maschio. 99

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Pubertà precoce Comparsa dei primi segni puberali ad una età significativemente inferiore (-2.5 DS) rispetto alla media della popolazione generale, in pratica prima degli 8 anni nella femmina e prima dei 9 anni nel maschio. È importante differenziare quadri patologici da varianti parafisiologiche: telarca precoce isolato (transitorio, prima infanzia), pubarca precoce isolato (o semplice) e gonadarca nel maschio (macroorchidismo isolato, raro) Classificazione della pubertà precoce: 1. Pubertà precoce vera (GnRH dipendente o centrale) o pubertà precoce vera idiopatica (prematura riattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi) o affezioni organiche del SNC o ipotiroidismo primario 2. Pseudopubertà precoce (GnRH indipendente o periferica) o tumori secernenti hCG o ipersecrezione steroidi sessuali (tumori steroido-secernenti, iperplasia corticosurrenalica congenita, testotossicosi) o sindrome di McCune Albright o cause iatrogene Pubertà precoce centrale (PPC): analogamente a quanto avviene nella pubertà fisiologica, la pubertà precoce vera è provocata da un aumento della secrezione pulsatile di GnRH. Viene considerata idiopatica (secondo la letteratura internazionale rappresenta dal 69 al 98% nelle femmine e dall’1 al 60% nei maschi) o secondaria ad alterazioni del SNC: amartoma ipotalamico, tumori (craniofaringiomi, meningiomi, gliomi, cordomi, ependimomi, germinomi), malformazioni congenite (cisti aracnoide, cisti soprasellare, idrocefalo, displasia settoottica) e forme acquisite (infezioni del SNC, irradiazione cranica, chemioterapia, traumi cranici). Condizioni predisponenti PPC: neurofibromatosi tipo I, idrocefalo, meningomielocele, encefalopatia neonatale, irradiazione cranica e adozione di bambini da paesi in via di sviluppo. 1. Amartoma: lesione simil-tumorale, congenita, formata da materiale gliale, neuronale, fibroso. Solitamente è localizzato a livello del pavimento del terzo ventricolo, vicino al tuber cinereum e ai corpi mammillari. È responsabile di pubertà precoce nel 12-28% dei casi di PPC a seconda delle casistiche. La pubertà precoce si presenta in genere ad una età molto precoce, spesso sotto i 4 anni. Quando sospettare la presenza di amartoma? Insorgenza della pubertà molto precoce (anche F, prematuri; l’eziologia è sconosciuta. Anomalie associate dal 10 al 50%, in particolare quelle scheletriche nel 32% e quelle cardiache nel 24% dei casi. Si tratta di un difetto nella formazione delle pliche pleuroperitoneali e del setto trasverso, che andranno a formare il diaframma, separando il canale pleuroperitoneale unico nella cavità toracica da quella addominale. Tale difetto interferisce con un corretto sviluppo del polmone, determinando un quadro di ipoplasia polmonare. E’ oggi possibile già durante la gravidanza con un’accuratezza che va dal 40% al 90% dei casi. Prima della chirurgia è necessario stabilizzare il piccolo paziente ed effettuare un EGA; a volte si decide addirittura di non operare perché si è visto che questi piccoli andrebbero male comunque. Le malformazioni polmonari possono così essere schematizzate: 1. Malformazione adenomatoide cistica (CAM): viene diagnosticata in epoca prenatale. È suddivisa in 3 tipi dalla classificazione di Stocker: I° tipo a grandi bolle, II° tipo a medie bolle e III° tipo a piccole bolle, quasi solido. Può regredire completamente durante la vita fetale, dopo no! Generalmente asintomatica, qualche volta causa distress respiratorio. Tra il 3° ed il 6° mese di vita il pz. deve essere sottoposto ad una T.C. del torace per la conferma diagnostica. Indicazioni alla chirurgia sono la degenerazione neoplastica (occhio al blastoma polmonare su CAM) e le infezioni polmonari recidivanti. 113

Lezioni di pediatria – 2011 2. Sequestrazione broncopolmonare: viene diagnosticata in epoca prenatale, può essere associata alla CAM. Generalmente asintomatica, tra il 3° ed il 6° mese di vita il pz. deve essere sottoposto ad una Angio T.C. del torace per la conferma diagnostica. 3. Enfisema lobare congenito. Le cause sono molteplici: Displasia cartilagine bronchiale con chiusura del lume Muco denso, ipertrofia mucosa con ostruzione Compressione estrinseca (vasi o cardiopatia) Meccanismo fondamentale è che il bronco consente il passaggio di aria in inspirazione, ma soltanto una limitata espulsione di aria in espirazione, provocando un’iperespansione del lobo. Terapia: lobectomia in caso di distress respiratorio

Malformazioni dell’apparato urinario: L’apparato urinario è formato da tre componenti: i reni (che derivano la metanefrio), le vie urinarie alte (che derivano dal mesonefrio) e le vie urinarie basse (che originano dal seno urogenitale). Alla fine della terza settimana dal mesoderma intermedio origina il pronefrio, che degenera rapidamente nell’uomo scomparendo entro la fine della quarta settimana. All’inizio della quarta settimana, sotto il pronefrio, si sviluppa il mesonefrio: vengono così prodotti circa 40 coppie di tubuli mesonefrici che presto si riducono a 20 nella sola regione dei somiti lombari. Poco dopo i tubuli compare un secondo tipo di strutture del mesonefrio, i dotti mesonfrici di Wolff, che si dirigono verso la cloaca dove vanno a confluire. I tubuli mesonefrici entrano in contatto con i dotti di Wolff e si forma così un sistema di canali continuo che va dai tubuli mesonefrici alla cloaca. Durante la quinta-sesta settimana si formano, sempre dal mesonefrio, i dotti paramesonefrici di Muller (che però non entrano a far parte dell’apparato urinario e contribuiscono soltanto alla differenziazione sessuale). Anche i tubuli mesonefrici e i dotti di Wolff hanno prevalentemente un destino genitale ma per un breve periodo, tra sesta e decima settimana, formano l’apparato urinario transitorio. Nella femmina regrediscono sia i tubuli mesonefrici che i dotti di Wolff, mentre i dotti di Muller danno origine alle vie genitali femminili; nel maschio invece regrediscono i dotti di Muller mentre i tubuli mesonefrici ed i dotti di Wolff si differenzieranno nelle vie genitali maschili. Esiste poi una porione di mesonefrio che da origine alla gemma ureterica, protuberanza alla base dei dotti di Wolff durante la quinta settimana e che si dirige verso la regione del metanefrio, dando origine alle vie urinarie e all’apparato escretore. Ciascuna gemma si dirige verso una parte del mesoderma sacrale che è detta blastema metanefrico e che darà origine al tessuto ghiandolare del rene. Fra la sesta e la nona settimana, i reni salgono dalla regione sacrale verso una posizione lombare, immediatamente sotto le ghiandole surrenali, seguendo due traiettorie che passano molto vicino all’aorta. Numerose sono le anomalie in campo urologico: o Anomalie renali di numero, posizione e forma: monorene, agenesia bilaterale (sindrome di Potter con oligoidroamnios che permette all’utero di comprimere il feto causando arti deformati, faccia schiacciata, occhi distanziati, naso a becco di pappagallo, orecchie basse, mento sfuggente e pelle raggrinzita), rene soprannumerario (di solito un abbozzo). Poi ci sono le anomalie di posizione: rene toracico, rene lombare basso, rene pelvico (DD con la ptosi per la lunghezza dell’uretere). o Displasie parenchimali “primitive”: malattie cistiche ereditarie (rene policistico AD, rene policistico AR, nefronoftisi) e non ereditarie (displasia renale, rene a spugna midollare o malattia di Cachi e Ricci). Il rene multi cistico è una patologia renale di tipo cistico, congenita e non ereditaria di più frequente riscontro in età perinatale e non è il rene policistico; sembra preferire il lato sinistro ed il M., 1:2000 nati vivi. Oggi giorno ormai la diagnosi è fatta sempre nel periodo prenatale e spesso non si interviene chirurgicamente poiché va incontro ad involuzione e sono quelli che avranno da grandi un rene unico. o Displasie parenchimali “secondarie”. o Uropatie ostruttive o pseudoostruttive sopravescicali Idronefrosi primitiva: viene utilizzata per definire ogni dilatazione della pelvi e dei calici renali dovuta ad una anomalia congenita localizzata alla giunzione (o giunto) pieloureterale ed è quindi sinonimo di “malattia del GPU” (MGPU). Rappresenta il 40-60% di tutte le uropatie diagnosticate in epoca prenatale 114

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e si manifesta come dilatazione della pelvi, associata o meno a quella dell’uretere. Dilatazione non è sinonimo di ostruzione ma espressione di un ostacolo allo svuotamento dell’uretere a livello delle sue giunzioni, che, se non trattata, diventa causa di progressivo deterioramento renale. La dilatazione può essere temporanea, espressione di un ritardo di canalizzazione dell’uretere e delle sue giunzioni, quindi una condizione che non necessariamente necessita di un trattamento chirurgico. Ancora oggi è difficile stabilire le dimensioni della pelvi fetale, che richiederà in seguito ulteriori indagini tuttavia vi è un generale consenso nel ritenere che una dilatazione pelvica di almeno 5 mm. al secondo trimestre e/o di 7 mm. al terzo trimestre sia meritevole di un approfondimento diagnostico postnatale. È stato proposto da alcuni lo shunt pelvi-amniotico nelle forme bilaterali con oligoidramnios e ritardata maturità polmonare. Tuttavia attualmente tale metodica è raramente utilizzata, in quanto viene attuata troppo tardi per poter ottenere un miglioramento nella funzionalità renale, sebbene possa migliorare lo sviluppo polmonare. Rischio di lesioni iatrogene! Trattamento postnatale: tre sono le possibili opzioni terapeutiche: 1. trattamento conservativo è giustificato nella maggior parte dei casi, poiché un miglioramento spontaneo può verificarsi anche con una funzionalità renale relativamente compromessa 2. derivazione urinaria temporanea (nefrotomia per cutanea) 3. trattamento chirurgico dell’anomalia del GPU La terapia chirurgica consiste nella pieloplastica sec. Anderson Hynes, con reimpianto dell’uretere togliendo la parte dilatata a monte. Il trattamento chirurgico della malattia del GPU è indicato in caso di un GPU sintomatico, una riduzione della funzione del rene interessato alla scintigrafia renale (MAG-3), un aumento della dilatazione pelvica o in presenza di una dilatazione bilaterale moderata-severa. Megauretere ostruttivo primitivo (non refluente, MP): rappresenta il 10% delle diagnosi prenatali di dilatazione del tratto urinario superiore con un’incidenza approssimativa di 1 ogni 6500 nati vivi, M:F è di 2:1 con un 25% di forme bilaterali. Il diametro dell’uretere deve essere > 10 mm. È provocato da un’alterazione strutturale del segmento distale dell’uretere, che determina un ostacolo al deflusso urinario con conseguente dilatazione dell’uretere a monte dell’ostruzione. La diagnosi prenatale durante la gravidanza potrà essere posta soltanto una generica diagnosi di dilatazione ureterale associata o meno a dilatazione pelvica. L’aspetto della vescica ed il volume del liquido amniotico sono di solito normali. Fondamentale la diagnosi differenziale con il RVU, che potrà essere posta soltanto dopo la nascita. Dopo la nascita dirimente l’ecografia delle vie urinarie e la cisto-uretrografia minzionale (CUM) associata o meno alla scintigrafia renale (MAG-3) Il trattamento postnatale conservativo è la regola. La risoluzione spontanea del quadro ostruttivo è frequente (mantenimento o miglioramento della FR) ma può essere fatta profilassi antibiotica; il followup: regolari controlli ecografici e scintigrafici (MAG-3). Uropatie ostruttive sottovescicali: le valvole dell’uretra posteriore (VUP) sono la causa più frequente di ostruzione fetale del distretto renale inferiore con il maggior tasso di mortalità e di morbilità nel campo delle uropatie congenite. Si tratta di formazioni endoluminali dell’uretra posteriore maschile che ostacolano in modo più o meno grave il flusso urinario. Si possono fare sia il trattamento endoscopico che quello chirurgico tradizionale. Uropatie da impianto anomalo dell’uretere in vescica. Il reflusso vescica-ureterale (RVU) è caratterizzato da un flusso costante o intermittente di urina dalla vescica nel tratto urinario superiore, causato da un’incompetenza della GUV. RVU può essere primitivo da un’alterazione anatomica della giunzione uretero-vescicale o RVU secondario ad un’alterazione funzionale del tratto urinario inferiore. L’incidenza nella popolazione normale è stimata nell’ordine dell’1-2%; di solito è diagnosticato nei lattanti, che vengono studiati per un’IVU. Sebbene il RVU non sia la causa diretta dell’infezione, la sua presenza può favorire la risalita dei batteri lungo il tratto urinario superiore fino a raggiungere il parenchima renale. La diagnosi può essere effettuata con cistouretrografia minzionale, ecografia renale e scintigrafia con DMSA. La risoluzione spontanea del RVU, specie di quello sospettato nel periodo prenatale, si verifica nel 40-60% dei casi all’età di 2-3 anni. Il trattamento conservativo sarà quindi quello di scelta nella maggior parte dei casi: sempre nelle forme di I e II grado, mentre nelle forme di III, IV e V si inizia con un trattamento 115

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conservativo per poi passare eventualmente ad una terapia endoscopica (si fa un pomfo in vescica vicino allo sbocco dell’uretere) per poi passare alla chirurgia tradizionale con reimpianto dell’uretere. Complesso estrofico: è una malformazione grave caratterizzata da vescica che sporge all’esterno dell’addome. È un difetto dovuto ad un anomalo sviluppo del mesoderma addominale, in particolare ad un deficit muscolare che non riesce a contenere la pressione degli organi addominali con rottura della parete. Malformazioni rare della vescica: normalmente l’allantoide si oblitera alla fine del terzo mese e si trasforma nel cordoncino fibroso dell’uraco che unisce l’ombelico alla vescica. A volte però l’uraco non si chiude con regioni che rimangono aperte al suo interno e danno vita a cisti, seni e fistole. Le fistole dell’uraco vengono individuate molto presto perché esce urina dall’ombelico mentre seni e cisti possono passare inosservati e vengono scoperte in genere quando si infettano; attenzione all’adenocarcinoma dell’uraco nell’adulto. Complesso ipospadia Criptorchidismo

L’autismo Secondo il DSM IV l’autismo deve essere considerato in una categoria più ampia, ovvero in un continuum che va dalla normalità fino ai casi più gravi, e si deve quindi parlare di disturbi pervasivi dello sviluppo. Il termine autismo è stato coniato da Bleuler nell’ambito della schizofrenia (come una caratteristica del paziente) mentre oggi da aggettivo è un sostantivo, ovvero un’entità nosografica a se stante. Per autismo si intende una patologia con eziologia sconosciuta ad insorgenza prima dei 3 anni, con isolamento dal mondo e nel ¾ dei casi ritardo mentale senza segni neurologici; venivano da Kanner descritti i genitori come soggetti “freddi” che davano al bambino un ambiente poco accogliente e per anni si è dato la colpa ai genitori. Quindi Kanner pensava ad un “ritiro depressivo” perché aveva confuso il risultato con la causa, ovvero osservava genitori che diventavano a loro volta autistici a forza di stare con un bambino che era completamente isolato dal mondo. Una delle ipotesi per spiegare l’autismo è analizzando i neuroni specchio: esistono de neuroni motori che riecheggiano quello che noi facciamo (o meglio, vedo fare una cosa e i neuroni specchio motori mimano dentro di me il movimento e allora ne capisco il significato; addirittura il bimbo molto piccolo lo fa proprio. Per esempio noi capiamo il dolore di un torturato perché si attivano gli stessi neuroni dentro di noi) e nell’autistico questo manca, con una compromissione dei neuroni specchio. Ci sono forti prove genetiche (90% di concordanza nei gemelli monozigoti e un rischio di 10 volte nel fratello di un bimbo autistico), oltre al fatto che esistono sindromi genetiche correlate all’autismo e così anche un aumentato numero di casi psichiatrici nei familiari di bambini autistici. Esiste poi la teoria dell’avvelenamento: esterno (inquinanti atmosferici, vaccini) o interno (metalli poco metabolizzati per mancanza di un enzima). Si dice tra l’altro che l’impero romano sia decaduto perché i romani si sono rincretiniti abbeverandosi in acquedotti fatti di piombo e che cuocevano i cibi con il rame. La clinica è caratterizzata da una triade: disturbo dell’interazione sociale, disturbo della comunicazione verbale e non, comportamenti ristretti, ripetitivi e stereotipati + un quarto che è il ritardo mentale (¾ dei casi) ed epilessia (20% dei casi); questa quarta caratteristica ci dice come ci sia alla base qualche difetto di tipo organico. 1. Compromissione dell’interazione sociale: nel primo anno di vita si vede o la normalità (perché può esordire dopo il primo anno) o iniziare con un deficit occhi-occhi, sono bambini molli, poveri di sorriso e con facili atti di collera e pianto. Dal secondo anno di vita si aggirano nella stanza e danno l’impressione di fregarsene degli altri, non rispondono se chiamati (molti bimbi vengono mandati dall’ORL perché si pensava fossero sordi dopo i potenziali evocati uditivi), hanno scarsa attenzione condivisa (normalmente quando uno indica un oggetto, dopo guarda se l’altro sta guardando nella stessa direzione: nell’autistico manca questo) e l’altro viene considerato come un oggetto o una protesi del corpo. Poi il bambino autistico difficilmente coglie la direzione del nostro sguardo e non sorridono se gli si sorride (manca il noi). C’è poi il pointing richiestivo (indica l’oggetto che vuole) ma non quello dichiarativo (ovvero indicare un oggetto per il piacere di condividere un’emozione). La prova del nove è chiedere come stanno con i coetanei: l’autistico evita i coetanei. 116

Lezioni di pediatria – 2011 2. Disturbi della comunicazione: la maggior parte dei bambini non parlano a 2-3 anni (ed è questo che porta i genitori ad allarmarsi), sembrano sordi e non comunicano perché hanno una mimica molto povera; quando parlano ripetono spesso le stesse cose ed hanno difficoltà a ad usare la prima persona, hanno ecolalia differita (ripetono molto le pubblicità mentre invece non gradiscono cartoni animati e film), non colgono i doppi sensi (es. un bambino che piange quando gli si è detto “hai gli occhi di tuo padre”, oppure un bambino autistico non avrà mai la fantasia di usare una banana come cellulare) e non guardano negli occhi quando un interlocutore parla ma guardano nella bocca (poiché il linguaggio esce dalla bocca). 3. Disturbi comportamentali: dondolano spesso, girano su se stessi ed è molto difficile l’inserimento scolastico (perché la base dell’apprendimento è l’imitare, ma al bambino autistico non interessa e non apprende, con conseguente ritardo mentale); ci sono però poi problemi disciplinari con scoppi di rabbia e soprattutto c’è tendenza alla routine (se il padre non fa la stessa strada per andare a scuola, il bambino inizia a piangere). Molto frequente è l’iperattività e a volte si vedono condotte autoagressive (mordono le mani) perché non hanno la stessa nostra sensibilità al dolore. Se gli tiri una palla l’autistico non te la tira indietro mai! Si tratta quindi di bambini soprattutto visivi (hanno una memoria visiva incredibile: fanno puzzle ma non usano il modello perché lavorano sui contorni perché memorizzano alla perfezione, un modo molto diverso dal nostro per affrontare il mondo) e sono poco uditivi, anche se odiano alcuni rumori (ad esempio una bambina che urla ogni volta che un compagno tossisce). La terapia non è standard e prevede la costruzione di un ambiente adeguato per almeno 20-40 ore a settimana, precoce e intensivo, evitando la precoce introduzione nella comunità. Si dice ai genitori di introdurre pochi stimoli (dare pochi giochi), abituare il bambino a guardare negli occhi a chi parla, abituare il bambino a non dargli quello che chiede fino a quando non lo indica (ma attenzione a quando il bambino ti usa come una protesi: ti prende la mano per aiutarlo ad aprire la maniglia della porta).

Le epilessie in ambito pediatrico Il termine epilessia deriva dal termine greco “essere colti di soprassalto”. La crisi epilettica rappresenta l’espressione clinica di un’improvvisa e ipersincrona scarica di neuroni cerebrali mentre l’epilessia è una condizione clinica caratterizzata dalla ricorrenza di più crisi epilettiche; va inoltre detto come non esista epilessia senza crisi clinicamente dimostrate. Le crisi epilettiche vengono suddivise in due tipi: parziali e generalizzate. o Una crisi è definita parziale quando l’attività epilettica è limitata ad un’area più o meno circoscritta dell’encefalo. A loro volta vengono suddivise in parziali semplici (senza alterazioni dello stato di coscienza) e parziali complesse (con compromissione dello stato di coscienza). Occhio come le crisi parziali possano diventare secondariamente generalizzate. o Una crisi è detta generalizzata quando la scarica epilettica interessa entrambi gli emisferi diffusamente e simultaneamente fin dall’inizio dell’attacco. L’epilessia è una malattia cronica strana perché ci sono crisi che si ripetono nel tempo (scatenati da stanchezza, discoteca, luci intermittenti, alcool) ma più spesso senza una precisa causa (ovvero sono parossistiche). Le crisi insorgono più nell’età infantile e nelle fasce più anziane (come una curva gaussiana rovesciata): il 30% sono epilessie idiopatiche (senza causa organica), il 46% sintomatiche (ovvero secondarie a lesioni come la sclerosi ippocampale) e il 24% sono probabilmente sintomatiche (ex criptogenetiche, ovvero pensiamo siano sintomatiche ma non ne abbiamo prova). Inoltre 1/3 dei casi sono generalizzate mentre 2/3 sono focali, ma occhio che all’osservazione molte focali diventano secondariamente generalizzate. Non c’è una stretta correlazione tra sindromi epilettiche idiopatiche e crisi generalizzate o tra sindromi epilettiche sintomatiche e crisi focali (vedi epilessia Rolandica oppure la sindrome di West) come invece si pensava in passato. In alcune sindromi epilettiche l’EEG può essere negativo in quanto l’area epilettogena si trova in aree poco esplorabili dagli elettrodi di superficie (ad esempio nelle epilessie frontali mesiali o basali) e comunque un’epilessia infantile raramente è secondaria ad un tumore cerebrale (che per lo più sono sotto-tentoriali), più spesso è espressione di una displasia corticale. Ultimamente sono state identificate sindromi epilettiche idiopatiche benigne anche nella prima infanzia. Si parla invece di encefalopatie epilettiche quando si ha l’arresto o la regressione psicomotoria secondaria non solo alla noxa organica causa della sindrome, ma anche all’attività 117

Lezioni di pediatria – 2011 epilettica. L’esame principe accanto all’EEG è la RMN dell’encefalo che però nel bambino va fatta in sedazione (è impensabile che un bimbo resti fermo 45 minuti in un tubo) per cui una corretta semeiotica è fondamentale. Un’attenta osservazione della crisi può indirizzare e facilitare le indagini neurofisiologiche e neuroradiologiche e può evitare al bambino esami inutili che spesso richiedono la sedazione o l’anestesia. in quasi il 50% dei casi in occasione della presunta prima crisi si ritrovano antecedenti misconosciuti di crisi; le crisi più misconosciute sono le assenze, le mioclonie, le crisi parziali e talvolta gli spasmi. Il bambino non è spesso in grado di descrivere le aure (sensazioni soggettive secondarie ad attivazione delle aree sensoriali) è importante la rilevazione oggettiva della crisi. Le crisi più frequenti sotto i tre anni sono le crisi toniche, cloniche, ipomotorie e gli spasmi. Le crisi motorie focali per lo più sono dipendenti da processi epilettogenetici focali, mentre le crisi motorie generalizzate o ipomotorie possono avere un’origine sia focale che generalizzata.Sotto l’anno il termine di crisi generalizzata va usato con cautela. Sono età dipendenti ( ad es. gli spasmi sono tipici della prima infanzia). Cosa si deve rilevare nel paziente? Descrizione della sintomatologia critica: 1. Posizione del paziente: crisi da sdraiato o in piedi, ma soprattutto si era appena alzato (DD con sincope). 2. Distribuzione della crisi: destra-sinistra, assiale, generalizzata, bilaterale asimmetrica, localizzata ad una parte del corpo. Eventuale presenza di versione del capo e degli occhi o anche del tronco 3. Modificazioni neurovegetative: colorito del viso, cianosi perilabiale, midriasi, salivazione, sudorazione, alterazione del respiro e della frequenza cardiaca (che è una causa di morte in bambini con anomalie cardiache), enuresi (che può essere l’unico segno di una crisi notturna), encopresi, vomito. 4. Modificazioni motorie:ipotono, ipertono, clonie (in particolare palpebrali e della commissura labiale), distonie. 5. Automatismi motori: oroalimentari (mastica, biascica parole, succhia, deglutisce) e gestuali (strofina, si abbottona ecc.) 6. Durata della crisi (i genitori diranno sempre “non finiva mai” ma è importante dirgli di guardare l’orologio e dire quanto dura la crisi). Manovre da attuare sul paziente durante la crisi: o Scoprire il paziente se si trova a letto per poterlo osservare meglio. o Tastare gli arti e la faccia per rilevare eventuale ipotono o ipertono. o Si fa parlare il paziente facendo domande sempre più semplici per capire il grado di contatto (da chi è il presidente della repubblica a come ti chiami, fino a forme non verbali come stringi la mia mano). o Si cerca di evocare il riflesso alla minaccia partendo da una posizione laterale, la manovra va ripetuta più volte. Fondamentale è poi la descrizione della sintomatologia clinica dopo la crisi: amnesia, stato confusionale, automatismi, paralisi di Todd (muscoli stanchi, che dura massimo 30’ e se durasse di più è necessaria la DD con lo stroke, che però nei bimbi è molto raro), dolori muscolari (se si lamenta durante la crisi ed è una donna bisogna sospettare un’isteria: per fare la DD si deve dire alla paziente che gli si causerà una crisi con una flebo e la si sospenderà con un altro farmaco; in realtà gli si da solamente fisiologica e se è isterica finge la crisi!), sonno post-critico (molto frequente), cefalea, afasia, astenia intensa e disturbi psichiatrici (entro 7 giorni) che vanno conosciuti perché sembra schizzo per qualche giorno ma non è una malattia psichiatrica. Cause di morte durante la crisi: edema polmonare (molto raro), annegamento (a questi bambini viene sconsiglito di fare il bagno nella vasca e si raccomanda di andare al mare o in piscina sempre accompagnati), aritmie cardiache (nei soggetti predisposti), traumi (cadono a peso morto e battono su uno spigolo), stato epilettico (crisi >15-20’ che non finiscono oppure sono crisi subentranti; questi pazienti vanno ricoverati in RIA) e malattie concomitanti. Il tasso di mortalità negli epilettici è 2-3 volte superiore a quello della popolazione generale. Interventi a salvaguardia del paziente: togliere eventuali oggetti taglienti, se è a terra posizionare un cuscino sotto il capo, togliere gli occhiali e slacciare il colletto, non introdurre dita in bocca al paziente per evitare il morso della lingua o ostruzioni delle vie aeree con la lingua ( è inutile perché la morsicatura avviene ad inizio crisi, nessun paziente rischia di soffocarsi con la propria lingua, si rischia di procurare morsicature alle proprie dita e lesioni dentali, buccali o all’articolazione temporo-mandibolare al paziente), non cercare di impedire i movimenti degli arti: si rischiano fratture. A fine crisi posizionare il paziente di fianco per far defluire la saliva accumulata, non 118

Lezioni di pediatria – 2011 offrire nulla da bere o da mangiare finché la persona non sia completamente sveglia e se la crisi dura oltre i 3-5’ o tende a ripetersi praticare diazepam rettale o EV (micronoan). Per fare diagnosi di epilessia servono almeno 2 crisi (“perché la rondine non fa primavera”) e quindi non si mette in terapia dopo 1 sola crisi perché bisogna vedere se ne fa un’altra anche se questo porta a stress nei genitori (ma il fatto di avere a casa il micronoan li tranquillizza). L’esame fondamentale che si fa è l’EEG e ci sono due modi per slatentizzare una crisi: l’iperpnea e gli stimoli luminosi intermittenti; a volte poi si valuta l’EEG post-critico per vedere “i lenti” entro le 12 ore. Nonostante ciò, a volte non è sufficiente e quindi è importante fare la registrazione EEG in sonno. Il sonno infatti è un forte attivatore e, non meno importante, prima di fare l’esame si fa stancare bene il bambino con una deprivazione di sonno: si tratta però di una poligrafia dove si registrano EEG, frequenza respiratoria, frequenza cardiaca (anche per eliminare gli artefatti del cuore), il movimento muscolare degli occhi (per distinguere sonno REM e non REM) e di altri gruppi muscolari con elettrodi di superficie. Classificazione semiologica delle crisi epilettiche proposta da Hans Luders: o Crisi con automatismi: sono movimenti motori complessi che sembrano movimenti normali, ma appaiono stereotipati. Si osservano nelle crisi del lobo temporale, frontale, occipitale e nelle assenze prolungate. Spesso, ma non sempre, sono associati a rottura del contatto. Frequenti gli automatismi oro-alimentari (masticazione, deglutizione, suzione, leccamento delle labbra), automatismi gestuali (grattamento, strofinamento dei vestiti, afferramento, manipolazione, atto di pedalare), spesso associati a postura distonica dell’arto contro laterale. o Crisi con rottura del contatto: alterazione della coscienza con diminuita o assente risposta agli stimoli non causata da alterazioni motorie, con arresto dell’attività motoria e sguardo fisso. Parziale o totale amnesia dell’evento critico; possono essere presenti componenti cloniche, atoniche, automatismi. Si ritrovano nelle epilessie generalizzate (Piccolo Male , Ep. Mioclonica Giovanile e Lennox ) e focali ( frontali e temporali) e sono spesso misconosciute. o Crisi miocloniche: improvvise contrazioni muscolari della durata di meno di 100 ms. possono essere generalizzate o limitate ad un distretto corporeo. Se in cluster sono aritmiche e spesso con diversa localizzazione; sono l’espressione dell’attivazione della corteccia motoria o se generalizzate di strutture sottocorticali. Spesso misconosciute, coinvolgono i muscoli agonisti e antagonisti. È necessario EEG con elettromiografia di superficie. Es. epilessia mioclonica giovanile, epilessia fotosensibile, epilessia miocloniche progressive. o Spasmi: durano 0,5-2 secondi, più a lungo delle mioclonie, sono più brevi delle crisi toniche. La muscolatura assiale è sempre coinvolta e sono forme tipiche della prima infanzia, possono ritrovarsi in epoche successive, sono espressione di immaturità dello sviluppo cerebrale. Esempio di crisi generalizzata che può essere secondaria a lesione focali Parossimi non epilettici che simulano spasmi o crisi toniche: mioclono benigno della prima infanzia (sobbalzi all’addormentamento), mioclono benigno neonatale nel sonno (che è sottocorticale perché la corteccia non inibisce il movimento perché lesa da un evento anossi-ischemico da parto), dolore addominale o posture con coliche, sincope infantile, reflusso gastroesofageo, iperexplexia e masturbazione infantile. o Crisi cloniche: si tratta di mioclonie ritmiche che si succedono ad intervalli regolari tra 0,5-5 al secondo per un tempo prolungato, interessano lo stesso gruppo muscolare. Sono espressione di coinvolgimento della regione rolandica e di solito non c’è compromissione della coscienza. Tipicamente interessano la faccia e gli arti sup. ed è presente nelle epilessie rolandiche, temporali, frontali e nei neonati. Nelle epilessie rolandiche (20% di tutti i bimbi), che hanno esordio a 4-5 anni e scompaiono all’adolescenza, non si fa terapia perché si sa che il piccolo paziente avrà al massimo 8-10 crisi nella vita e vale la pena di fare micronoan al bisogno. o Crisi toniche: contrazione muscolare che perdura oltre i 3-5 secondi, spesso terminano con qualche clonia (e sono presenti nelle epilessie brutte). Espressione del coinvolgimento della regione frontale mesiale (area suppl. motoria) e spesso accompagnate da perdita della coscienza. Nel neonato, nelle encefalopatie del primo anno di vita, nella West, nella Lennox, nella epilessia mioclono-astatica.

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Lezioni di pediatria – 2011 Crisi tonico-cloniche: sono rare prima dei tre anni, probabilmente per immaturità dello sviluppo cerebrale e non completamento del processo di mielinizzazione. Nei bambini dura di più la fase clonica rispetto all’adulto. Dopo la fase tonica, tremore generalizzato che introduce la fase clonica o Crisi versive: movimenti clonici della testa o degli occhi o di entrambi sovraimposti ad un movimento forzato a carattere tonico verso un lato con conseguente raggiungimento di una postura estrema e innaturale. Spesso aiutano a localizzare l’origine della scarica ( per lo più occipitale o frontale) o Crisi ipermotorie: sono interessati i segmenti prossimali del corpo e il tronco; i movimenti sono grossolani, rapidi e violenti. Si ricollegano ad attivazioni delle aree frontali e la coscienza è spesso conservata. o Crisi atoniche: perdita del tono posturale. La caduta è lenta e il paziente di solito non si fa male e son frequenti nella sindrome di Lennox. o Crisi di caduta: chiamate anche astatiche, la caduta improvvisa può essere causata da una crisi tonica o mioclonica seguita da una componente atonica. Si manifestano nella Lennox,nella mioclono-astatica, nelle epilessie frontali. o Crisi ipomotorie: notevole riduzione o arresto dell’attività motoria,in assenza di clonie, mioclonie contrazioni toniche o automatismi. Si presentano in soggetti non valutabili per quanto riguarda lo stato di coscienza a causa della giovane età o del ritardo mentale degli adulti e sono spesso correlate a lesioni nella regione temporale in un continuum con le crisi con automatismi dei bambini più grandi e degli adulti. o Crisi afasiche: sono caratterizzate dall’incapacità di parlare e/o comprendere il linguaggio parlato o scritto. Una crisi di afasia produttiva può mimare una sospensione della coscienza e sono crisi rare di per sé, mentre la disfasia o afasia può spesso accompagnare altre crisi. o Mioclono negativo: è caratterizzato da brevi episodi di atonia muscolare, assomiglia da una successione di mioclonie, tuttavia il movimento è dovuto all’interruzione dell’attività tonica muscolare e non ad uno scoppio di potenziali muscolare. Espressione dell’attivazione di neuroni inibitori della corteccia motoria primaria, può essere presente nell’epilessia rolandica e in epilessie miocloniche progressive o Crisi motorie non classificabili: sono caratterizzate da movimenti che non possono essere chiaramente definiti come volontari o involontari. Tali movimenti non sono definibili come clonici, tonici, atonici, distonici o automatismi. o Crisi riflesse: si evidenzia una chiara correlazione temporale tra un determinato stimolo e la crisi per stimoli visivi, soprassalto, stimoli somatosensoriali, da attività complesse come mangiare, ascoltare musica, leggere, da immersione in acqua calda o da altri stimoli. Lo stato di male è uno stato di male convulsivo (caratterizzato da crisi motorie che durano oltre 20’ o da crisi subentranti) mentre lo stato di male non convulsivo si ritrova nei soggetti con ritardo mentale non sempre è facilmente diagnosticabile. Nei neonati è difficile stabilire se la convulsione è parziale o generalizzata a causa dell’immaturità dello sviluppo cerebrale e dell’ipereccitabilità della corteccia. Una serie di parossismi una volta interpretati come manifestazioni critiche sono in realtà attivazioni di patterns primitivi a origine sottocorticale liberati dal primitivo controllo inibitorio corticale in relazione a sofferenza della corteccia. Le crisi focali toniche e cloniche sono di solito epilettiche, le toniche generalizzate, i disturbi oculari,gli automatismi oro-alimentari, i movimenti delle braccia e delle gambe possono essere non epilettici, così come le apnee e le mioclonie. Le epilessie (sindromi caratterizzate da più crisi epilettiche) sono così classificate: o Epilessie localizzate idiopatiche: tipiche dell’età infantile-adolescenziale, ad evoluzione molto favorevole, nelle quali è importante la componente genetica. Epilessia benigna dell’infanzia con punte centro-temporali (epilessia rolandica): esordio a 3-13 anni con picco a 7-8 anni. Sono presenti crisi parziali motorie che coinvolgono l’emiviso e l’arto superiore, ad insorgenza prevalentemente notturna ed amnesia dell’evento. Tale forma si risolve autonomamente entro i 20 anni e non è necessario alcun approccio terapeutico. All’EEG si vedono punte di alto voltaggio in sede centro-temporale. Epilessia dell’infanzia con parossismi occipitali (epilessia occipitale benigna): rara, ad insorgenza soprattutto tra 5 e 7 anni. Le crisi sono caratterizzate da manifestazioni tipo illusioni, allucinazioni e o

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Lezioni di pediatria – 2011 amaurosi; seguono crisi parziali complesse con automatismi e crisi tonico-cloniche generalizzate. All’EEG si vedono onde a punta in sede occipitale. La prognosi è buona. Epilessia di lettura primitiva: la lettura ad alta voce provoca la comparsa di crisi parziali semplici con fenomeni motori o sensitivi, tipica dell’adolescente con esordio a 17 anni. o Epilessie localizzate sintomatiche: sono causate da lesioni cerebrali specifiche (tumori, emorragie, ischemie, MAV, infezioni) e vengono suddivise in base alla sede anatomica. Epilessia del lobo temporale: è la forma più frequente con esordio in epoca infantile. Tipiche sono le crisi parziali semplici o complesse, raramente con secondaria generalizzazione. L’esordio tipico è con una epigastralgia spesso associata ad altri sintomi autonomini (pallore, caldo, apnea, ecc…) ed automatismi oro-alimentari. Il substrato anatomico in epoca infantile è la sclerosi ippocampale mesiale del corno d’Ammone. Sono queste epilessie farmaco resistenti ma che rispondo alla terapia chirurgica. Epilessia del lobo frontale: durano pochi secondi e hanno esordio brusco, possono presentarsi molte volte durante la giornata. Sono associati automatismi bizzarri (schioccare le dita, pedalare), deviazione dello sguardo e del capo contro laterale ed abduzione-elevazione dell’arto superiore. Epilessia del lobo occipitale: crisi parziali semplici con fenomeni visivi elementari e deviazione dello sguardo contro laterale con nistagmo epilettico di Gastaut. Epilessia parziale continua cronica progressiva dell’infanzia (sindrome di Kojewnikow): contrazioni muscolari ripetitive e localizzate ad una parte ristretta dell’emicorpo (soprattutto faccia e mano) con possibilità di marcia jacksoniana. o Epilessie generalizzate idiopatiche: sono forme frequenti e genetiche, con esordio in età infantileadolescenziale e prognosi buona. Convulsioni neonatali familiari benigne: trasmissione AD si presentano con crisi cloniche, tonicocloniche o di apnea tra 1 e 3 giorni; solo il 15% evolve in epilessia. Convulsioni neonatali benigne: ripetute crisi cloniche o apnoiche che compaiono dal 5° giorno di vita. Epilessia con assenza dell’infanzia (picnolessia): costituisce l’8% delle epilessie in epoca scolare con picco a 7 anni. Le assenze tipiche sono molto frequenti (anche 200/die) e le crisi sono più frequenti nei momenti di sonnolenza. Dopo 10 anni possono presentarsi crisi tonico-cloniche nel 40% dei casi. Epilessia mioclonica giovanile (sindorme di Janz): esordio alla pubertà con crisi mio cloniche al collo, alle spalle e all’arto superiore senza disturbi della coscienza. o Epilessie generalizzate sintomatiche: comprende le encefalopatie epilettiche, nelle quali l’espilessia è solo un sintomo di una malattia più diffusa. Sindrome di West: estremamente severa con esordio tra 3 e 5 mesi e triade caratteristica: 1. Spasmi infantili, 2. Arresto dello sviluppo psicomotorio e 3. Ipsaritmia. Gli spasmi sono flessori nella maggiorparte dei casi e compaiono in serie al risveglio o all’addormentamento. Le cause principali sono la sclerosi tuberosa, l’encefalopatia anossica, le malformazioni cerebrali e le displasie corticali. Nella maggior parte dei casi diventano sindromi di Lennox e nel 10-20% muore in età infantile. Sindrome di Lennox-Gestaut: esordio tra 1 e 8 anni con crisi toniche nel sonno NREM (patognomoniche) con estensione del tronco e versione dei bulbi verso l’alto. Epilessia con crisi mioclono-astatiche (sindrome di Doose): esordio tra 1 e 5 anni con crisi mio cloniche, astatiche, assenze e crisi tonico-cloniche. Esistono epilessie generalizzate sintomatiche da eziologia specifica: sindrome di Aicardi (agenesia del corpo calloso, lacune retiniche e spasmi infantili), sclerosi tuberosa (o malattia di Bourneville), angiomatosi encefalotrigeminale o malattia di Struge-Weber (con macchie a color vino di Porto) e neurofibromatosi (malattia di Von Recklinghausen). Le convulsioni febbrili non sono crisi, non insorgono mai oltre i 6 anni, hanno una forte familiarità e compaiono con la febbre alta. Ci preoccupano quando durano molto, se non sono generalizzate e nella femmina. Si fa EEG perché comunque bisogna escludere che la febbre abbia slatentizzato una forma di epilessia, ma pensa sempre ad escludere una meningo-encefalite nel bambino! La terapia non si fa, eccetto tachipirina quando sale la febbre e micronoan al bisogno. 121

Lezioni di pediatria – 2011 Vengono distinte in crisi convulsive semplici quelle con età compresa tra 6 mesi e 5 anni, generalizzate (di solito tonico-cloniche), di durata non superiore a 15’ e con risoluzione senza paralisi post-critica. Sono dette complesse quelle crisi febbrili a semeiologia atipica: lateralizzate o focali, generalizzate (come le semplici) ma di durata superiore a 15’ oppure se seguiti da paralisi post-critica di Todd. Si parla invece di stato di male convulsivo febbrile quando l’episodio è prolungato sino ed oltre i 30 minuti senza che ci sia ripresa dello stato di coscienza.

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Lezioni di pediatria – 2011

Sommario Fisiologia dell’accrescimento ............................................................................................................................... 3 Screening nel neonato ................................................................................................................................... 13 Le vaccinazioni ................................................................................................................................................. 15 Malattie esantematiche ed infettive dell’infanzia ................................................................................................ 19 Gastro-enterologia pediatrica ............................................................................................................................ 26 L’apparato digerente ..................................................................................................................................... 26 I componenti della dieta e la digestione ......................................................................................................... 28 Alimentazione del neonato e del lattante ....................................................................................................... 30 Malattia da reflusso gastro-esofageo .............................................................................................................. 33 La diarrea acuta............................................................................................................................................. 37 Intolleranza al latte........................................................................................................................................ 43 La Malattia Celiaca ........................................................................................................................................ 48 Fibrosi Cistica (Mucoviscidosi) ..................................................................................................................... 52 La dispepsia funzionale ................................................................................................................................. 56 L’Helicobacter Pylori ......................................................................................................................................... 57 Dolori addominali ricorrenti e sindrome dell’intestino irritabile..................................................................... 60 Coliche del lattante ....................................................................................................................................... 66 Stipsi cronica ................................................................................................................................................ 66 Endocrinologia Pediatrica ................................................................................................................................. 70 Patologia tiroidea in pediatria ........................................................................................................................ 70 L’obesità pediatrica ....................................................................................................................................... 76 Iperplasia congenita del surrene .................................................................................................................... 82 Il diabete nel bambino .................................................................................................................................. 87 Bassa statura ................................................................................................................................................. 90 I disordini della pubertà ................................................................................................................................ 97 Il bambino immigrato ..................................................................................................................................... 103 Maltrattamenti, incuria e abusi sui minori ........................................................................................................ 104 Chirurgia pediatrica......................................................................................................................................... 107 Malformazioni della parete addominale e del canale digerente: .................................................................... 107 Malformazioni toraco-addominali: .............................................................................................................. 113 Malformazioni dell’apparato urinario: ......................................................................................................... 114 L’autismo.................................................................................................................................................... 116 Le epilessie in ambito pediatrico ................................................................................................................. 117

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