Cent'anni di Solitudine, Gabriel Garcia Marquez Agata Mondo - Torino

Cent'anni di Solitudine, Gabriel Garcia Marquez Agata Mondo - Torino ‘Cent’anni di solitudine’ è il libro della mia vita. Ricordo ancora la prima volta in cui incontrai questa infinita famiglia magica. Ero a casa dei miei, sdraiata sul divano. La luce filtrava tiepida dalla serranda, verso sera. Sono stata risucchiata a Macondo insieme a Melquiades, contagiata dal sogno alchimista di Josè Aureliano Buendia, il capostipite della famiglia e dalle vicende sue e dei suoi figli, proiettata nel continuo spazio temporale di amori e morti, vivi e fantasmi. C’è la possibilità di identificarsi con almeno uno dei personaggi del romanzo, talmente ampio è lo spettro delle passioni che rappresentano. Il mio è quello di Rebeca, adottata dai Buendia, bambina introversa con l’abitudine di mangiare la terra. Mi sembra ancora di sentirne il sapore nella sua descrizione. Ho riletto ‘Cent’anni di solitudine’ dopo molti anni nella sua lingua originale, lo spagnolo e, sebbene non capissi tutte le parole, riconoscevo i suoni, quei fili sottili che legano ogni vicenda all’altra. Come un amore sopito che con gli anni si cerca di dimenticare, ma che non si è capaci di mandar via. Questo romanzo mi ha trasmesso l’amore infinito per le passioni, buone e cattive, per un destino altro lontano dalla noia e dalle consuetudini, la ricerca di una realtà che non può che essere magica se la si vuole chiamare vita. Insieme alla consapevolezza che la tensione spasmodica verso ciò che ci sfugge, perché per sua natura instabile, ci fa apparire ridicoli, patetici, troppo umani.