Corso di Fisica Strumentale - Dipartimento di Fisica

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per Tecnici di Laboratorio Biomedico e Tecnici di prevenzione ambientale e sui luoghi di ... Lo scopo di questa parte del corso è di descrivere i principi fisici del ...
Facoltà di Medicina e Chirurgia

Corso di Fisica Strumentale per Tecnici di Laboratorio Biomedico e Tecnici di prevenzione ambientale e sui luoghi di lavoro Prof. R. Rolandi Il microscopio ottico Lo scopo di questa parte del corso è di descrivere i principi fisici del funzionamento del microscopio ottico. Il microscopio ottico è uno strumento che ingrandisce l’immagine visiva di un oggetto. Il modo con cui uno strumento ottico forma l’immagine di un oggetto viene descritto in prima approssimazione dall’ottica geometrica. Ottica geometrica La luce è una radiazione elettromagnetica che è descritta in fisica classica come un’onda che si propaga nel vuoto con una velocità c = 298˙000 km/ora. L'onda elettromagnetica è una perturbazione del campo elettromagnetico, che si propagano nello spazio. In ottica geometrica la luce è descritta come un insieme di raggi rettilinei. Tali raggi sono perpendicolari al fronte dell'onda elettromagnetica. Il concetto di raggio luminoso è intuitivo, ma per averne un'idea concreta, anche se approssimata, basta pensare all'effetto della luce che penetra da una piccola apertura in una stanza buia e polverosa. L'ottica geometrica descrive la propagazione della luce in maniera approssimata. La descrizione è tanto più vera quanto più sono rispettate le seguenti condizioni, dette condizioni di Gauss: 1) La propagazione della luce avviene in mezzi omogenei. In tali mezzi i raggi si mantengono rettilinei. 2) La lunghezza d'onda della radiazione impiegata è piccola rispetto alle dimensioni lineari degli strumenti ottici. 3) Se gli strumenti ottici (lenti, specchi) hanno superficie sferica le dimensioni lineari della zona della superficie investita dalla radiazione luminosa devono essere molto più piccole del raggio di curvatura della superficie 4) I raggi che investono le superfici ottiche devono essere quasi paralleli all'asse ottico, devono cioè essere parassiali. 5) La radiazione deve essere monocromatica. Le condizioni 3, 4 e 5 non sono rispettate nei più comuni sistemi ottici, basti pensare che in genere si usa luce bianca che non è ovviamente monocromatica, e danno origine ad aberrazioni che in genere vengono compensate con accorgimenti costruttivi. Le leggi fondamentali dell'ottica geometrica sono le leggi della riflessione e della rifrazione. Nella parte superiore della figura 1 è riprodotto un esperimento didattico in cui un raggio di luce, reso visibile da particelle in sospensione (nebbia), incide sulla superficie piana di un oggetto di vetro, viene deviato e procede all'interno dell'oggetto. Nella parte inferiore della stessa figura l'esperimento viene schematizzato: θ1 è l'angolo di incidenza, θ'1 è l'angolo di riflessione, θ2 è l'angolo di rifrazione. Tenendo conto delle notazioni usate nella figura le leggi della riflessione e della rifrazione si enunciano nel seguente modo.

1) Il raggio incidente, quello riflesso e quello rifratto giacciono sullo stesso piano. In questo caso nel piano del foglio. 2) L'angolo di incidenza e quello di riflessione sono uguali. 3) Tra l'angolo di incidenza e quello di rifrazione c'è la relazione: sinθ1 = n1, 2 1) sinθ 2 dove n1,2 è l'indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al primo. Se il primo mezzo è il vuoto n1,2 prende il nome di indice di rifrazione assoluto e si indica semplicemente con n. Se n1 è l'indice di rifrazione assoluto del mezzo 1 e n2 l'indice di rifrazione assoluto del mezzo 2, l'indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al primo è: n 2) n 1, 2 = 2 n1 Per dimostrarlo pensate ad un raggio che viaggia nel mezzo 1, viene rifratto alla superficie di separazione tra il mezzo 1 e il vuoto (supporre l'angolo di rifrazione θ0) incide sulla superficie di separazione tra il vuoto e il mezzo 2 e si propaga nel mezzo 2. Considerare le due superfici di separazione parallele. Osserviamo che se Figura 1 n2 > n1, cioè il secondo mezzo è più denso del primo, θ2 è maggiore di θ1 Anche se non ci servirà direttamente in questa introduzione alla microscopia è bene sapere che l'indice di rifrazione assoluto è il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e quella nel mezzo, cioè:

n=

c v

3)

L'indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d'onda (dispersione della luce). In tutta questa

Figura 2

trattazione noi supporremo di avere a che fare con luce monocromatica (vedi condizioni di Gauss).

Lenti

Le lenti sono oggetti che servono a deviare i raggi di luce. Sono perciò fatte con materiali il cui indice di rifrazione è diverso da quello dell’aria e hanno due superfici di cui almeno una è curva. Infatti è facile vedere che un vetro a facce piane e parallele, ad esempio quello di una finestra, non devia un raggio di luce, ma lo sposta parallelamente a se stesso. Nella nostra trattazione ci limiteremo a considerare lenti sferiche, cioè lenti le cui facce sono calotte sferiche. Una delle due facce può essere anche piana. La retta congiungente i centri di curvatura delle due calotte sferiche è detta asse ottico. Le lenti convergenti trasformano un fascio di raggi paralleli all’asse ottico in un fascio di raggi che convergono verso lasse ottico. Le lenti divergenti trasformano un fascio di raggi paralleli all’asse ottico in fascio i cui raggi divergono dall’asse ottico. Noi considereremo solo lenti sottili, ossia lenti il cui spessore sia trascurabile rispetto ai raggi di curvatura delle due superfici. In Figura 3 sono riprodotte le sezioni di alcuni tipi Figura 3 di lenti. Una lente è caratterizzata dalla distanza focale che è la distanza dal piano della lente, supposta infinitamente sottile, di due punti detti fuochi, disposti simmetricamente rispetto al piano della lente. Nei fuochi convergono i raggi paralleli all’asse ottico (lente convergente) o i loro prolungamenti (lente divergente). La distanza focale dipende dal materiale di cui è fatta la lente, dal mezzo in cui è immersa le lente, e dai raggi di curvatura delle superfici della lente secondo l’equazione: f=

n1 r1r2 n 2 − n 1 r2 − r1

4)

dove n1 e n2 sono gli indici di rifrazione del mezzo in cui è immersa la lente e quello del materiale di cui è fatta la lente. In questo corso non useremo questa equazione, ma va sottolineato che i raggi di curvatura possono essere positivi o negatici in accordo alla convenzione usata nella trattazione dei diottri sferici 1 . La distanza focale può quindi essere positiva o negativa. E’ positiva per le lenti convergenti e negativa per le lenti divergenti. Costruzione geometrica delle immagini nelle lenti sottili Quando le condizioni di Gauss vengono rispettate, una lente sottile fa corrispondere, a punti luminosi posti su un piano perpendicolare all’asse ottico, punti immagine anch’essi posti su un piano perpendicolare all’asse ottico (ortoscopia della lente). I due piani sono detti piani coniugati. In Figura 4 si vede come una lente convergente forma l’immagine di una candela. La costruzione geometrica dell’immagine si fa sulla base delle due seguenti regole: a) I raggi diretti verso il centro ottico della lente, che è l’intersezione dell’asse della lente con l’asse ottico, non vengono deviati. b) I raggi paralleli all’asse ottico sono deviati dalla lente in modo tale che essi stessi o i loro prolungamenti passino per il fuoco. Le lenti convergenti deviano i raggi paralleli verso il fuoco posto dalla parte opposta a Figura 4 quella da dove proviene il raggio. Le lenti

1

Il diottro sferico è formato da una superficie sferica che separa due mezzi con diversi indici di rifrazione. Si considera positivo il raggio di curvatura se il centro di curvatura è posto dalla parte opposta a quella da cui arrivano i raggi luminosi.

divergenti li deviano in modo tale che i prolungamenti dei raggi deviati passino per il fuoco posto dalla stessa parte da dove provengono i raggi (Figura 5). In Figura 6 è mostrata la costruzione dell’immagine A’B’ dell’oggetto AB per una lente convergente. Il piano della lente, che è perpendicolare al foglio ed è indicato in figura da una linea tratteggiata, divide lo spazio in due semi-spazi. Quello che contiene l’oggetto è lo spazio oggetto, quello opposto è lo spazio immagine. Vedremo quando considereremo la Figura 5 lente di ingrandimento che non sempre l’immagine si forma nello spazio immagine. Tra la distanza dell’oggetto dalla lente, la distanza dell’immagine dalla lente e la distanza focale esiste una relazione che prende il nome di equazione dei punti coniugati che, usando le notazioni mostrate nella figura 5, si scrive:

1 1 1 + = p q f

5)

Per una lente divergente f è negativo. Quando l’immagine si forma nello spazio oggetto q è negativo (immagine virtuale). Nel caso descritto in Figura 6, q e f sono entrambi positivi. Si osservi

O

Figura 6

che le linee che formano l’immagine seguono il percorso dei raggi reali. Questo vuol dire che se si mette uno schermo all’altezza del piano che contiene A’B’ si può osservare l’immagine sullo schermo e se al posto dello schermo ci fosse una pellicola fotografica, questa rimarrebbe impressionata. Notate che per ogni punto dell’oggetto si devono considerare solo due raggi per costruire il corrispondente punto immagine. Osserviamo che lo schema della costruzione dell’immagine è simmetrico rispetto il piano della lente, per cui le cose non cambierebbero se si invertisse l’immagine con l’oggetto, ossia si considerassero i raggi partenti da A’B’ anziché da AB. Inoltre la costruzione ha simmetria cilindrica, cioè AB e A’B’ e lo schizzo della lente possono essere pensati come le tracce sul piano del foglio di una sezione qualsiasi di dischi perpendicolari al foglio. Si definisce ingrandimento assoluto della lente il rapporto tra le dimensioni lineari dell’immagine e quelle dell’oggetto. Dalla similitudine dei triangoli ABO e A’B’O si dimostra che :

G=

A' B' q = AB p

6)

G è definito come il rapporto tra due lunghezze, quindi deve essere un numero positivo, pertanto q, che come abbiamo visto può essere anche negativo, si prende in valore assoluto. Usando l’equazione dei punti coniugati si ottiene: f 7) p−f che fornisce l’ingrandimento assoluto in funzione della distanza dell’oggetto dalla lente e della distanza focale della lente. Si definisce ingrandimento lineare o semplicemente ingrandimento la quantità: q f 8) M=− =− p p−f G=

Questa quantità può essere positiva o negativa e rispetto a G contiene in più l’informazione sul tipo di immagine. Infatti M è positivo quando q è negativo e q è negativo quando l’immagine è virtuale, cioè si forma nel semipiano oggetto. Si può facilmente vedere inoltre che l’immagine in questo caso è diritta. M è negativo quando q è positivo, cioè l’immagine si forma nello spazio immagine, è reale e capovolta. E’ il caso descritto in Figura 6. Esaminando la Figura 6 e tenendo presente la definizione di ingrandimento si vede che le dimensioni dell’immagine e la sua natura cambiano cambiando la distanza dell’oggetto dalla lente. Lente di ingrandimento o microscopio semplice. Nel caso in cui l’oggetto sia posto tra il fuoco e una lente convergente l’immagine si forma nel semipiano oggetto e q è negativo. Essendo p minore di f che è f positivo, I risulta essere negativo e maggiore di 1. L’immagine è perciò virtuale, diritta e ingrandità (Figura 6) Osserviamo, in Figura 6, che l’immagine è costruita con il prolungamento dei raggi non con i raggi reali. Questo vuol dire che se si mettesse uno schermo dove si forma l’immagine questa non sarebbe raccolta dallo schermo e una lastra fotografica non ne sarebbe impressionata. Per questo si chiama immagine virtuale. L’occhio dell’osservatore posto nello spazio immagine è colpito da raggi deviati dalla lente in modo tale che sembrano venire da A’B’ anziché da AB per cui percepisce “un oggetto” ingrandito. Una Figura 6 lente convergente usata in queste condizioni è una lente di ingrandimento o microscopio semplice. Poiché una lente di ingrandimento “fa vedere un oggetto più grande” è importante sapere “di quanto più grande”. Questa informazione è fornita dall’ingrandimento visuale. Per definire questo parametro dobbiamo fare qualche considerazione su come funziona l’occhio. Occhio e camera oscura Dal punto di vista ottico l’occhio degli animali superiori è una camera di forma grosso modo sferica formata da una parete opaca in cui vi è un’apertura. L’apertura è occupata da una lente (cristallino)

munita di diaframma (l’iride). Sulla calotta sferica opposta all’apertura, dove si forma l’immagine vi è la retina. La retina è l’equivalente della lastra fotografica o meglio del sistema di sensori delle macchine fotografiche digitali. E’ composta da cellule fotosensibili (coni e bastoncelli) che Figura 7 trasformano il segnale luminose in segnale elettrico, lo inviano al cervello che costruisce l’immagine 2 . Il principio base del funzionamento dell’occhio è lo stesso della macchina fotografica ed è quello della camera oscura. La camera oscura è semplicemente una camera a pareti opache con una sola piccola apertura. I raggi provenienti da un oggetto ed entranti nella camera attraverso l’apertura formano sulla parete della camera un’immagine capovolta dell’oggetto. La nitidezza e la luminosità dell’immagine dipende dalle dimensioni dell’apertura. Sino a quando sono rispettate le condizioni dell’ottica geometrica, ossia le dimensioni lineari dell’apertura sono molto maggiori della lunghezza d’onda della luce usata, tanto più piccola è l’apertura tanto più nitida e meno luminosa è l’immagine. Infatti, come si vede in Figura 7, da uno stesso punto, partono più raggi che attraversano il foro e incontrano la parete in punti diversi, per cui un punto luminoso viene trasformato in una zona luminosa estesa. Tanto più piccolo è l’apertura tanto più si restringe il fascio di raggi che, partendo dallo stesso punto, passano attraverso l’apertura. La zona luminosa rimpicciolisce e diminuisce anche la luminosità complessiva dell’immagine. Per avere immagini nitide e luminose si pone, al posto dell’apertura, una lente convergente che aumenta il numero di raggi che entrano nella camera e che convergono nello stesso punto. La lente però, per la legge dei punti coniugati, forma l’immagine nitida solo ad una distanza che dipende dalla sua distanza focale e dalla distanza dell’oggetto. Perciò lo schermo dove si raccoglie l’immagine non può essere posto a una distanza qualsiasi dall’apertura. Se la lente ha distanza focale fissa si deve cambiare la distanza dello schermo dalla lente a seconda della distanza dell’oggetto. Questo è il caso delle macchine fotografiche. L’operazione di “messa a fuoco” consiste proprio nel regolare la distanza tra la lente e la pellicola perché questa venga a coincidere con il piano immagine definito dalla legge dei punti coniugati. Nell’occhio invece la messa a fuoco avviene cambiando la distanza focale della lente (cristallino). Infatti appositi muscoli cambiano i raggi di curvatura delle superfici del cristallino. Ingrandimento visuale La geometria della formazione dell’immagine sulla retina è mostrata in figura 8. B

O 2ω

M δ N

Figura 8

A

2

d

Per una descrizione dell’occhio umano elementare ma meno sommaria di quella fatta qui vedere per esempio il sito web: http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/mineman/didattica/did2000/Fisica4/ottica in questo sito c’è la possibilità di fare un esperimento virtuale sulla costruzione delle immagini.

L’oggetto AB è posto alla distanza d dall’occhio. L’immagine MN si forma sulla parete posteriore dell’occhio a distanza δ dal cristallino. I raggi BN e AM sono i raggi passanti per il centro ottico del cristallino. Si dice che l’oggetto è visto sotto l’angolo 2ω. Nella figura per ragioni grafiche l’angolo 2ω è abbastanza grande, ma in genere è piuttosto piccolo per cui si può scrivere : AB ≈ 2ωd;

MN ≈ 2ωδ

9)

Se si introduce una lente di ingrandimento tra l’oggetto e l’occhio la situazione diventa quella descritta in figura 9. B’ O B F

2ω’





A

M’ δ

N’ p

Figura 9

A’

|q| d’

Ovviamente anche in questo caso possiamo scrivere: A’B’ ≈ 2ω’d’;

M’N’ ≈ 2ω’δ

10)

Si definisce ingrandimento visuale il rapporto tra le dimensioni dell’immagine che si forma sulla retina in presenza della lente e quelle dell’immagine sulla retina senza lente: M ' N' ω' 11) Iv = = MN ω L’ingrandimento visuale, Iv, come è intuibile, è una funzione della posizione dell’oggetto e della distanza focale della lente. Infatti dalle figure 8 e 9 si vede che:

2ω ⋅ d = AB

e

2ω′ ⋅ d′ = A′B′

12) Usando queste relazioni nella definizione dell’ingrandimento visuale e ricordando la definizione di ingrandimento assoluto si ha:

Iv =

d q d ω′ A′B′ d = =G = d′ p d′ ω AB d′

13)

L’ingrandimento visuale si può scrivere come funzione della distanza focale della lente se si riferisce alle condizioni in cui si ha la miglior visione dell’occhio e il massimo ingrandimento della lente. Dalla figura 8 si vede che l’immagine sulla retina è tanto più grande quanto più l’oggetto è vicino all’occhio. Ma è esperienza comune che quando un oggetto è troppo vicino all’occhio la sua immagine è sfocata. La minima distanza per cui un oggetto appare ancora a fuoco prende il nome di

distanza della visione distinta. Ovviamente essa varia da persona a persona ma, per scopi pratici, si assume essere 25 cm. Il massimo ingrandimento assoluto della lente si ha quando |q | = ∞ cioè, dalla legge dei piani coniugati, quando p = f ( 3 ). In queste condizioni, si può trascurare la differenza tra d’ e |q |, che è la distanza della lente dall’occhio e l’ingrandimento visuale si riduce a: 0.25 Iv = 14) f In questo modo l’ingrandimento visuale diventa solo funzione della distanza focale della lente. Il termine 1/f prende il nome di potere diottrico della lente, si indica con D e si misura in diottrie. La 14) si può così scrivere come: Per cui una lente con un potere diottrico di 4 diottrie produce un ingrandimento visuale di 1.

Iv =

0.25 D = f 4

15)

Il microscopio composto Lo strumento chiamato comunemente microscopio è in realtà il microscopio composto, perché formato da due lenti. Come si è visto nel microscopio semplice l’ingrandimento visuale è inversamente proporzionale alla lunghezza focale e in linea di principio non ci sono limiti all’ingrandimento ottenibile. Basterebbe usare lenti con distanze focali molto piccole per ottenere alti ingrandimenti visuali. In pratica però a causa di diversi problemi di costruzione e di uso si preferisce usare il microscopio

Figura 10

composto. Il microscopio composto, il cui schema ottico è rappresentato in figura 10, è formato da due lenti convergenti. La prima quella più vicino all’oggetto in esame forma un’immagine reale ed è chiamata obbiettivo. La seconda, più vicina all’occhio dell’osservatore, forma l’immagine virtuale ingrandita ed è chiamata oculare. Come si vede in figura l’obbiettivo forma l’immagine reale A’B’ dell’oggetto AB. L’immagine reale A’B’ costituisce l’oggetto per l’oculare. La distanza tra obbiettivo e oculare è regolata in modo che l’immagine A’B’ si formi tra il fuoco dell’oculare e l’oculare stesso che funziona come una lente di ingrandimento formando l’immagine virtuale

3

Nella pratica l’oggetto sarà posto “molto” vicino al fuoco e l’immagine si formerà a distanza “molto” grande dalla lente.

A’’B’’. In definitiva il microscopio composto forma una immagine virtuale e ingrandita di un oggetto come la lente di ingrandimento 4 . Dalla definizione di ingrandimento assoluto (eq. 6) l’ingrandimento assoluto del microscopio composto risulta essere: In analogia con l’ingrandimento visuale del microscopio semplice, l’ingrandimento visuale del microscopio composto è: G=

A' ' B' ' A' ' B' ' A' B' = = G oc G ob AB A' B' AB

16)

dove d è la distanza dell’oggetto dall’occhio quando non vi è frapposto il microscopio e d’ è la distanza dell’immagine virtuale dall’occhio in presenza del microscopio. Anche in questo caso

Iv = G

d d = G oc G ob d' d'

17)

considerando le condizioni di visione ottimale si può ottenere una espressione dell’ingrandimento visuale indipendente dalla distanza dell’oggetto. Usando l’eq. 6) per gli ingrandimenti assoluti si ottiene:

Iv =

q oc q ob d p oc p ob d'

18)

La condizione ottimale di visione in assenza di microscopio si ha quando l’oggetto è posto alla distanza della visione distinta (0.25 m). Le condizioni ottimali di lavoro del microscopio si hanno quando l’oggetto è posto vicino al fuoco dell’obbiettivo (pob ≈ fob), l’immagine prodotta dall’obbiettivo si forma in prossimità del fuoco dell’oculare (qob ≈ fob + Δ, con Δ = distanza tra il fuoco dell’obbiettivo e il fuoco dell’oculare), così che l’immagine virtuale si formerà molto ingrandita ad una distanza molto grande dall’oculare (all’infinito) per cui d’ ≈ qoc. In queste condizioni la eq. 18 diventa:

Iv =

q oc q ob d 0.25(Δ + f ob ) ≈ p oc p ob d' f oc p ob

19)

Da cui si vede che l’ingrandimento visuale è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza tra il fuoco dell’obbiettivo e quello dell’oculare e quanto minore è la distanza dell’oggetto dall’obbiettivo. Questa non può essere minore di fob perché si formi un’ immagine reale. Quando pob ≈ fob l’immagine reale si forma molto distante dall’obbiettivo per cui Δ >> fob e la eq. 19 diventa:

Iv =

4

q oc q ob d 0.25Δ ≈ p oc p ob d ' f oc f ob

20)

C’è da notare che l’immagine A’’B’’ è diritta rispetto al suo ‘oggetto’ A’B’ ma invertita rispetto all’oggetto reale AB.

In queste condizioni ottimali di lavoro l’ingrandimento visuale del microscopio diventa solo funzione dei parametri costruttivi del microscopio e quindi una caratteristica propria dello strumento. Negli strumenti moderni per alti ingrandimenti Δ è in genere di 16 cm, fob può essere di qualche millimetro (es. 0.5 cm) e foc di qualche centimetro (es. 2.5 cm) per cui l’ingrandimento visuale risulta essere di circa 300-400X. Nei microscopi da dissezione o stereomicroscopi, usati nei laboratori per manipolare piccoli campioni e che devono avere un largo campo visivo e grandi distanze di lavoro (fob grande), gli ingrandimenti di solito non superano 20-30X.