Crisi: parti sociali inviano al Governo l'accordo su quattro punti

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11 nov 2010 ... intesa dopo l'avvio del tavolo per il patto sociale. Nel pacchetto di proposte contenute nei quattro accordi, il rifinanziamento degli.
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n 101113

i due lampi di oggi 1 - Crisi: parti sociali inviano al Governo l'accordo su quattro punti 2 - Democrazia e vulnerabilità: le parole chiave del nuovo welfare

Tavolo per il patto sociale www.spi.cgil.it

Crisi: parti sociali inviano al Governo l'accordo su quattro punti Emergenze sociali, Mezzogiorno, Semplificazione, Ricerca e innovazione: su questi temi, sindacati, associazioni di imprese e banche hanno trovato una prima intesa dopo l’avvio del tavolo per il patto sociale. Nel pacchetto di proposte contenute nei quattro accordi, il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga per il 2011, la creazione di un piano straordinario di lotta al lavoro sommerso, riduzione del peso della burocrazia, sicurezza e investimenti più mirati per il Sud, definizione di un piano della ricerca e innovazione di medio-lungo periodo. Il confronto tra le parti sociali, che hanno inviato al governo i quattro documenti, prosegue ora con il tavolo tecnico sulla produttività e il tavolo sui costi della politica, il federalismo e la spesa pubblica.

Leggi i documenti: - Emergenze sociali - Mezzogiorno - Semplificazione - Ricerca e innovazione (11.11.2010) http://www.spi.cgil.it/LinkClick.aspx?link=1946&tabid=38&mid=407

Democrazia e vulnerabilità: le parole chiave del nuovo welfare di Caterina Lopinzo www.governareilterritorio.it

Stefano Zamagni, docente di economia politica all’Università di Bologna, da anni si occupa di welfare e di riforme. Gli abbiamo chiesto di tracciare con “Governare il territorio” una mappa delle problematiche che riguardano l’attuale modello di stato sociale, alla luce del federalismo e del nuovo ruolo che dovrebbe assumere il sistema delle autonomie locali. Professor Zamagni, l’attuale modello di welfare dovrà essere ripensato alla luce del federalismo. E d’altra parte è oramai opinione comune che presenti forti elementi di crisi. Quali sono secondo lei gli elementi più rilevanti di questo passaggio? L’originale modello di welfare state è nato male. Già nel ’39 Keynes aveva anticipato che il welfare avrebbe dovuto essere democratico, cioè tener conto in primis dei cittadini e dei loro bisogni. Si strutturò invece un modello paternalistico, un welfare assistenzialistico che rispondeva da una parte alle forti richieste di beni e servizi primari che si affacciavano con forza nel secondo dopoguerra, dall’altro ad esigenze di consenso da parte del potere che gestiva con il welfare i proprio interessi. Oggi ci troviamo di fronte oggi ad una necessaria fase di transizione, perché quel modello di welfare non regge più, né economicamente, né come tipologia di offerta. La società italiana è molto cambiata, basti pensare all’età media anagrafica degli italiani, al problema dell’invecchiamento della popolazione. Il colpo di grazia è arrivato infine con le crisi finanziarie ed economiche di questi anni. E adesso si dovrebbe aprire la nuova fase federalista per il nostro Paese, e dunque anche una nuova fase per il welfare. Ma cambiare modello è molto costoso. La transizione dal modello sovietico a quello di mercato nella ex Urss è costato un milione di morti. Certo non è, e non sarà il nostro caso, ma i rischi sono alti e la possibilità che venga fuori un sistema di Regioni povere e ricche è presente. Da più parti per fare fronte a questo empasse si avanzano proposte di welfare localistico, una sorta di fai “da te”, legato ai territori, alla loro organizzazione e alle loro risorse. Una federalismo estremo, potremmo sintetizzare. Lei che cosa ne pensa? Questa non è la ricetta per affrontare la transizione, né può essere l’alternativa ad un nuovo modello che sappia difendere giustizia e dignità dei cittadini. La verità è che per attuare una vera evoluzione, che peraltro ci impone il federalismo, un passaggio senza morti e feriti, dovremmo sostenere cinque-sette anni di compresenza del vecchio e nuovo modello. Anni di costi pesanti che dovrebbero sostenere le Regioni italiane più ricche. Questa è l’unica strada che io vedo per passare dal welfare state alla cosiddetta “welfare society” . Ma per percorrere questa strada avremmo bisogno di una classe dirigente politica di alto livello, capace di stare al di sopra delle parti, e fare il bene della Nazione. Ci vorrebbe un nuovo De Gasperi, una figura forte istituzionalmente, un politico pragmatico e autorevole. Mi sembra che fino ad oggi le uniche riforme in senso federalista siano state di tipo contabile, ragionieristico. Si è approdati al federalismo demaniale perché era un intervento semplice che non avrebbe creato problemi a nessuno. Qual è dunque la ricetta per una vera “welfare society”? Per realizzare una “welfare society” bisogna fare un salto culturale: passare dal concetto di cittadinanza a quello di vulnerabilità. Nel mondo della globalizzazione l’essere tutti cittadini si trasforma nell’essere tutti vulnerabili. Siamo cioè tutti dipendenti l’uno dall’altro. Rifondare il welfare è un affare della società civile, non riguarda direttamente lo Stato. Lo Stato deve svolger la funzione di regolatore, il welfare deve essere definito dalla società civile in base ai propri bisogni e alle aree di intervento. L’approccio deve essere di carattere fenomenologico, non astratto. Non può più funzionare un welfare fatto di elenchi di servizi erogati. E’ necessario che al principio di solidarietà si sostituisca quello di fraternità che esalta le diversità all’interno di una stessa comunità Leggi tutto: http://www.governareilterritorio.it/index.php?option=com_content&task=view&id=291&Itemid=73