Donare sangue, ricevere salute - ADO

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sangue, ricevere salute. Tutte le persone fra i 18 e i 60 anni che pesano ... sangue sono regolati da una diretti- ...... in passeggiate in mezzo al verde... e al blu.
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Direttore Responsabile: Mario Rozza

Tr i m es t r a l e d i s a l u te e benesse r e

La voce del sangue

febbraio 2008 www.adosanpaolo.it

Donare sangue, ricevere salute Tutti possono donare una piccola parte del loro sangue. È un semplice gesto per chi dona (nessun dolore, nessuna controindicazione e il sangue si riforma rapidamente) e un regalo immenso per chi lo riceve e può proseguire la sua vita con una malattia cronica, riprendersi da un serio incidente o superare con successo un intervento chirurgico.

Un’adeguata e sicura provvista di plasma e derivati significa la differenza fra la vita e la morte  per chi è sottoposto a una operazione chirurgica.

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I VANTAGGI DI DARE Chi dona il sangue si mantiene in salute e ben controllato. Per esempio a ogni donazione vengono valutate le transaminasi. Per quale ragione?

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IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO L’Unità di chirurgia maxillo-facciale è uno dei punti di eccellenza dell’azienda ospedaliera universitaria San Paolo.

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TENERSI IN SALUTE Tutte le persone fra i 18 e i 60 anni che pesano oltre 50 chili possono presentarsi dalle 8:00 alle 12:00 dal lunedì al sabato al Servizio Trasfusionale dell’Ospedale San Paolo (via di Rudinì, 8 Blocco D, piano interrato). Il Servizio è aperto anche la prima e la terza domenica di ogni mese. La donazione è preceduta e seguita da un’attenta visita medica e da una lunga serie di esami del sangue.

Anno 2 - Numero 1 - Milano

A COSA SERVE

Chi dona sangue almeno due volte ogni anno imposta su solide basi la sua capacità di prevenire le malattie. Ha, insomma, una marcia in più rispetto agli altri. Per informazioni telefonare allo 02.8184.4209 o aprire la pagina www.adosanpaolo.it.

Una brutta tosse che non passa può essere il sintomo di una malattia chiamata BPCO. Se è così, meglio trattarla in tempo.

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BENESSERE A Milano numerosi Centri benessere e ‘spa’ aiutano chi vuole sentirsi in forma e dimenticare gli affanni e lo stress.

10 CULTURA La parola sangue è un vero crocevia di simboli, miti e significati, forse perchè coinvolge paure e desideri radicati dentro la nostra psicologia.

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ALTRE PASSIONI Quattro itinerari a piedi tra le colline e i boschi del Varesotto. Camminate tra laghi e paesaggi che allargano, letteralmente, il cuore.

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news www.adosanpaolo.it A COSA SERVE

Meno male che ci siete voi! O

ggi una larga parte degli interventi chirurgici viene realizzata con tecniche mininvasive. Grazie a ciò le degenze post-operatorie sono divenute più brevi ed il recupero del paziente più veloce; inoltre il minor trauma consente un ricorso meno frequente alla emotrasfusione. Ma poiché il numero degli interventi continua ad aumentare, aumenta in conseguenza il fabbisogno di sangue.

Oggi gli interventi chirurgici programmati sono realizzati in modo meno invasivo, consentono un recupero più veloce del paziente e prevedono meno spesso il ricorso al sangue trasfuso. Ma il loro numero continua ad aumentare e se non ci fossero i donatori sarebbe difficile eseguire tutti gli interventi necessari. Le Unità di chirurgia sono fortunate a poter contare su un Centro trasfusionale che funziona ottimamente e su un gran numero di persone che donano il sangue consentendoci di lavorare senza preoccupazioni.

A fronte di questo aumento, purtroppo, le donazioni tendono a diminuire (non al San Paolo ma in Italia). «La popolazione invecchia e sempre più persone entrano nelle fasce di età in cui è più probabile si debbano effettuare interventi», commenta il Prof. Carlo Corsi, Direttore del Dipartimento di Chirurgia e dell’Unità Operativa complessa di

Chirurgia 1 dell’azienda ospedaliera San Paolo. Aumentano soprattutto gli interventi ‘d’elezione’ quelli cioé programmabili nel tempo. Al San Paolo vengono effettuati ogni anno circa 6 mila interventi in regime di ricovero ordinario e molte migliaia in regime di day surgery. «Oltre la metà sono interventi ‘programmati’», afferma

Corsi. La struttura da lui diretta, con 7 medici e 13 infermieri realizza ogni anno circa mille interventi chirurgici. La domanda di sangue sarebbe aumentata in maniera esponenziale se la chirurgia in questi decenni non si fosse orientata verso tecniche che riducono la perdita di sangue e quindi il ricorso alle trasfusioni.

«Oggi negli interventi elettivi ci si sforza in ogni modo di ridurre il sanguinamento», spiega Corsi, «così come si punta a favorire un più veloce recupero funzionale per ridurre le conseguenze negative di un allettamento e i disagi del paziente e di contenere i costi della degenza. Quando possibile ricorriamo anche all’auto-trasfusione: il sangue del

Perché abbiamo davvero bisogno Il professor Gianalessandro Moroni dirige il Servizio Trasfusionale e Laboratorio di Ematologia dell’azienda ospedaliera e polo universitario San Paolo di Milano, che conta 55 operatori tra medici, infermieri, biologi e tecnici di laboratorio, a cui si aggiungono numerosi volontari. Che ruolo svolge il donatore? Il donatore è una componente essenziale del sistema sanitario di un Paese. È una formica che con il suo gesto silenzioso rende possibile quei miracoli della terapia e della chirurgia che sono il vanto di un Paese civile e rappresentano la vita per milioni di persone.



L’Italia è fra i primi o fra gli ultimi in Europa sotto questi aspetto? L’Italia ha una grande tradizione nella donazione del sangue, da trent’anni il Paese ha scelto senza incertezze l’istituto della donazione volontaria non retribuita dal 1990 in sintonia con l’Europa. Pochi sanno che la raccolta e la lavorazione del sangue sono regolati da una direttiva della Comunità europea, solitamente restia a intervenire in campo sanitario. Nonostante questa tradizione, l’Italia è agli ultimi posti fra i 25 paesi dell’Unione europea in termini di donazioni/anno per mille abitanti: 29 contro una media europea di 42.

Per quali ragioni? Una ragione ‘tecnica’ è data dall’invecchiamento della popolazione. Una quota sempre maggiore della popolazione entra in quelle fasce di età in cui donare sangue non è più consigliabile, e le ‘classi’ di giovani che a 18 anni possono iniziare a pensare a questo istituto sono meno popolose. Forse c’è anche una ragione psicologica o sociale, meno generosità meno solidarietà, meno tempo. Si tratta evidentemente di fattori modificabili, lo dimostra il fatto che mentre il numero di donazioni effettuate in Italia e in Lombardia – ma anche a Milano – scende, o è stabile, il numero dei nostri donatori cresce.

È necessario comunque che sempre più persone donino sangue? Il fatto è che aumenta il numero di interventi chirurgici programmati e di urgenza, per non parlare delle malattie croniche o di quelle cronico degenerative (come certi tumori), che comportano una domanda fortissima di sangue e di derivati. Vogliamo curare tutti sempre meglio, non vogliamo lasciare indietro nessuno e questo è giusto ed è degno di una società civile e di un Servizio sanitario universale e gratuito. Per raggiungere questo obiettivo però ci vuole anche un atto di generosità: la donazione appunto.

news www.adosanpaolo.it A COSA SERVE

News dalla ricerca medica Attenzione agli integratori alimentari Sempre più diffuso nei Paesi Occidentali è l’utilizzo di integratori alimentari contenenti metalli e vitamine ad azione antiossidante, pubblicizzati come dei concentrati di forza e in grado di prevenire o, almeno, rallentare i processi di invecchiamento. Da una recente meta-analisi è emerso che l’utilizzo continuato di integratori alimentari contenenti betacarotene, vitamina A e vitamina E, non solo non esercita alcun ruolo protettivo per la salute, ma addirittura aumenta la mortalità nella popolazione in studio. Poco o nulla può invece essere affermato per quanto riguarda un eventuale ruolo benefico o dannoso della vitamina C e del selenio. (Fonte: JAMA 2007; 297: 842-857). Carlo Corsi, primario della Unità operativa complessa Chirurgia 1 dell’Azienda Ospedaliera San Paolo paziente prelevato con un certo anticipo rispetto alla data dell’intervento viene conservato per poter essere utilizzato, ove occorra, durante l’intervento o la degenza post operatoria». Le tre Unità Operative complesse di Chirurgia Generale dell’Ospedale San Paolo effettuano una vasta gamma di interventi con una tendenza sempre più diffusa alla differenziazione per patologia. La struttura diretta dal professor Carlo Corsi ha sviluppato negli anni la propria vocazione verso la chirurgia gastroenterologica e colon rettale pur non rinunciando all’impegno verso altre branche della chirurgia, quali per esempio quella endocrina. «Per quanto si cerchi di ridurre al minimo la ‘perdita di sangue’, gli interventi che prevedono l’asportazione di gran parte o di tutto lo stomaco o di un tratto importante dell’intestino richiedono l’apporto di una banca del sangue», afferma Corsi, aria da

gentiluomo d’altri tempi, una certa somiglianza con il professor Umberto Veronesi, «le tre chirugie del San Paolo sono fortunate a poter contare su un Centro Trasfusionale che funziona ottimamente e soprattutto su un gran numero di persone che donano il sangue consentendoci di lavorare senza preoccupazioni», afferma Corsi, «non voglio pensare cosa succederebbe se il nostro o altri ospedali lombardi si trovassero improvvisamente senza una adeguata riserva. Forse dovremmo rimandare interventi importanti con grave pregiudizio per la salute del paziente. Non oso immaginare cosa succederebbe se non ci fossero tante persone di qualità che una o due volte l’anno vengono qui al San Paolo e con la loro generosità consentono a noi chirughi di lavorare serenamente e ai pazienti di ottenere le terapie migliori esistenti per le loro patologie», conclude Carlo Corsi.

La ‘pennichella’ fa bene al cuore Così almeno sostengono i dati di uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Archivies of Internal Medicine e condotto dal dipartimento di Epidemiologia e Igiene dell’Università di Atene. Lo studio, che ha coinvolto 23.681 soggetti di nazionalità greca per un periodo medio di circa 6,3 anni, ha dimostrato che l’abitudine al sonnellino pomeridiano è inversamente associata alla mortalità cardiaca da cause coronariche. L’effetto ‘cardioprotettore’ della siesta è risultato particolarmente evidente nei maschi. (Fonte Arch. Intern. Med. 2007; 167: 296-301).

Telefoni cellulari e tumori Un nuovo studio ha confermato per l’ennesima volta che non esiste un’associazione tra l’uso di telefoni cellulari, anche prolungato, e lo sviluppo di tumori quali quelli del cervello, dell’occhio, del nervo acustico (neurinomi), delle ghiandole salivari o leucemie. I dati di questo studio sono stati ottenuti su una popolazione danese di ben 420.095 soggetti. (Fonte: J. Natl. Cancer Inst. 2006; 98: 1707-1713).

Riscaldamento globale e malattie infettive Il riscaldamento globale del nostro pianeta contribuisce in maniera importante alla diffusione delle malattie infettive, con conseguenze che si sono fatte sentire a partire già da una decina di anni. Nel prossimo futuro c’è da aspettarsi una crescita dei casi di malaria anche in regioni montagnose, infezioni da virus influenzale di durata quasi annuale nelle zone equatoriali e una diffusione su larga scala di nuovi virus quali il West Nile e il Chikungunya, già venuto alla ribalta nel nostro Paese alla fine di quest’estate (Fonte: Agenzia France-Presse).

del vostro sangue Tutti possono donare sangue? Praticamente tutti dai 18 anni in su. Esiste un limite a 55 anni per le prime donazioni ma si può continuare anche dopo. Ci sono condizioni croniche e acute che sconsigliano o impediscono la donazione mentre non prevediamo controindicazioni in termini di attitudini sessuali, per esempio, e tantomeno appartenenze etniche. Prima di ogni prelievo effettuiamo un gran numero di analisi e controlli e, se si tratta della prima volta, anche una visita medica completa. L’Italia in questo si distingue da altri Paesi. Non vogliamo solo garantire la qualità del sangue donato ma vogliamo anche svolgere un servizio a favore del donatore

È così semplice? Basta presentarsi al Centro Trasfusionale? Certo, basta passare da noi. Una telefonata preventiva è gradita, ma non mandiamo via nessuno. Il nuovo donatore si può iscrivere all’Ado o a un’altra associazione. Oltre agli altri vantaggi di cui parleremo magari nei prossimi numeri di ADO News avrà un check-up completo della sua salute. Vale la pena di aggiungere che il sangue donato si riforma immediatamente, senza nemmeno bisogno di un’alimentazione particolare, anzi, la donazione è una benefica scossa al sistema ematopoietico. Insomma donare fa bene anche a chi dona.



news www.adosanpaolo.it I VANTAGGI DI DARE

Le transa… che?

Chi dona il sangue effettua gratis in occasione di ogni donazione il test delle transaminasi, una coppia di enzimi la cui presenza oltre certe soglie permette di diagnosticare condizioni frequenti e importanti che spesso non danno altri sintomi. Cerchiamo di saperne di più. Gratis per chi dona Diventare donatore di sangue è anche un’ottima occasione per tenere sotto controllo la propria salute e per scoprire, ai primissimi sintomi, eventuali patologie. Presso il Servizio Trasfusionale dell’Ospedale San Paolo, tutte le persone che decidono di donare il sangue ricevono a ogni donazione i seguenti accertamenti diagnostici gratuiti: visita medica determinazione del gruppo sanguigno e del fattore Rh (prima e seconda donazione) test di Coombs indiretto (IAT) test di Coombs diretto (DAT) esame emocromocitometrico com­ pleto controllo delle transaminasi (AST e ALT) HBs Ag anti-HBc anti HCV anti HIV 1/2 anticorpo anti treponema (TPHA) HBV DNA-NAT HCV RNA-NAT HIV RNA-NAT colesterolo totale trigliceridi protidemia totale glicemia azotemia creatinina sideremia ferritina PSA - totale In occasione di ogni donazione viene effettuata un’accurata visita medica per accertare le buone condizioni di salute del donatore. La visita rappresenta un momento di tutela sia del donatore, sia per il paziente che deve poter ricevere il sangue da soggetti non infetti e non a rischio di infezione. Inoltre, alla prima donazione e periodicamente, vengono effettuati elettrocardiogramma e Rx torace. I risultati degli esami vengono spediti per posta all’indirizzo indicato dal donatore oppure possono essere ritirati personalmente dal donatore presso la segreteria del Servizio trasfusionale.



T

ra i test effettuati di routine su tutti i campioni di sangue donati ci sono le cosiddette ‘transaminasi’. Il controllo delle transaminasi non è teso tanto a garantire il sangue e quindi la persona cui verrà trasfuso, ma fa parte soprattutto delle attività di screening realizzate a favore della persona che dona il sangue. Ma cosa sono queste transaminasi e perché può essere utile controllarle? Le transaminasi (o aminotransferasi) sono una sotto-sottoclasse che comprende diverse decine di enzimi. Quelle abitualmente utilizzate in campo clinico-laboratoristico sono la AST (sigla di aspartato amino-

transferasi, nota anche con la sigla GOT) e la ALT (acronimo di alanina aminotransferasi, detta anche GPT). Le transaminasi vengono rilasciate nel sangue quando la cellula muore o è sottoposta a una infezione. Qualcuno ha definito le transaminasi, in modo efficace, ‘i necrologi delle cellule’. Le transaminasi si trovano ovunque nell’organismo ma le due che interessano a noi sono presenti in misura particolare in alcuni organi: la AST è localizzata nel fegato, nel miocardio, nel rene, nell’encefalo e nella muscolatura scheletrica; la ALT è presente in concentrazione molto più elevata nel fegato che negli altri tessuti.

È per questo che le transaminasi sono frequentemente usate in medicina al fine di evidenziare la presenza di un danno epatico. Una certa quota di transaminasi è normalmente presente nel sangue. Un livello superiore alla norma di transaminasi può (e sottolineiamo il ‘può’) evidenziare una epatite acuta, una epatite cronica, una epatopatia tossica, una colestasi intraepatica o una mononucleosi infettiva. Cosa vuol dire ‘superiore alla norma’? I valori di riferimento sono: AST (Got) da 10 a 45 Unità internazionali per litro; ALT (Gpt) da 10 a 43 Unità internazionali per litro. Tali valori possono essere comunque differenti a seconda dei laboratori e delle metodiche utilizzate per la rilevazione. Chi ritrova, in un esame casuale, un valore di AST o ALT superiore alla norma non deve necessariamente preoccuparsi. Le transaminasi potrebbero essere ‘mosse’ a causa di un banale strappo muscolare avvenuto nei giorni precedenti (o di un esercizio fisico intenso nel giorno precedente). Anche una ingestione di alcol nelle ore o nel giorno precedente potrebbe aver mosso le transaminasi. Se qualcosa non funziona. Se il livello di transaminasi è molto alto (es. più del triplo rispetto al valore limite) è necessario procedere immediatamente a ulteriori accertamenti, se è più basso, è necessario ripetere il test dopo qualche giorno. Se il secondo test rivela un dato perfettamente nella norma ci si può mettere il cuore in pace. Se invece i valori rimangono alti qualcosa non sta funzionando come dovrebbe.

SETTE DOMANDE E SETTE RISPOSTE ➊ Cosa sono queste transaminasi?

➋ Perché a ogni donazione si controllano le transaminasi?

➌ Le transaminasi ‘alte’ sono per forza segno di una malattia?

Degli enzimi che sono rilasciati in maggiore quantità quando una cellula muore o è sottoposta ad attacco da un virus. Sono insomma i ‘necrologi delle cellule’.

Lo si fa nell’interesse del donatore. Si tratta infatti di un esame utile per rilevare condizioni e malattie che spesso non danno sintomi.

No, uno strappo muscolare, una ingestione di alcol abbondante possono causare un temporaneo aumento delle transaminasi.

news www.adosanpaolo.it I VANTAGGI DI DARE Che cosa? Le cause più probabili di un aumento delle transaminasi sono, come detto: una epatite acuta (probabile qualora il dato sia molto alto, diciamo superiore a 150) una epatite cronica (più probabile se il dato è compreso tra il valore di norma e 100-150). Come fare per andare a fondo del problema? La prima cosa da fare è... già stata fatta. Il Centro trasfusionale del San Paolo provvede infatti automaticamente a effettuare su tutti i campioni di sangue donati una analisi estremamente sofisticata (utilizza le tecniche della biologia molecolare) detta HCV-RNA per verificare l’eventuale presenza del virus della epatite C, oltre ai test meno sofisticati ma sempre importanti che permettono di rilevare la presenza del virus dell’epatite A e dell’epatite B. Il test soprattutto dell’HCV richiede qualche decina di ore ed è disponibile quindi nell’arco di uno o due giorni dal prelievo. La seconda indagine utile è una ecografia addominale, un esame di diagnostica per immagini per nulla fastidioso o invasivo. Sulla base del referto dell’ecografia e degli esami del sangue è possibile diagnosticare la presenza di una epatopatia (malattia del fegato). L’epatite A, caratterizzata da una fase acuta e sintomatica, di rado è rilevata per caso (il paziente quasi sempre sta male e si fa visitare). Le epatiti B e C invece, così come l’epatopatia alcolica e le steatoepatiti, sono malattie croniche spesso prive di sintomi e molto frequenti (si parla di milioni di persone sia per le epatiti B e C sia per la steatoepatite). Quel foie gras è mio. La steatosi epatica è caratterizzata da infiltrazioni di grasso nel fegato. Persone molto sovrappeso (e spesso con trigliceridi alti) si trovano il fegato spiacevolmente simile a quello delle oche da ingrasso che ci forniscono appunto il foie gras. I depositi di grasso nel fegato sono facili da vedere, all’ecografia assumono infatti un aspetto brillante. La steatosi (presenza di grasso nel fegato) regredisce riducendo il peso e il tenore di grassi nell’alimentazio-

ne o può procedere senza necessariamente avere esiti gravi. Può però dare luogo a una vera epatite. Il grasso insomma non si limita a togliere spazio al fegato (che si ingrossa anche visibilmente) ma uccide le cellule del fegato. Si parla in questo caso di Nash, sigla inglese per steatoepatite non alcolica. La Nash è una complicanza seria anche perché il fegato svolge un ruolo centrale nel metabolismo dei grassi e degli zuccheri, rendendo ancora più difficile per il paziente tenere sotto controllo la glicemia e il colesterolo. Alzare il gomito, abbassare il fegato. L’epatopatia alcolica è la ‘logica conseguenza’ di un eccessivo consumo di alcol. Ogni ingestione di alcol è tossica per il fegato ma se la quantità è moderata e senza ‘punte’ di consumo il fegato tutto sommato ce la fa. Meglio bere 3 grammi di alcol (un bicchiere di vino al giorno), che 21 (un bicchierone di gin tonic) alla settimana. Se l’introito alcolico aumenta, gli effetti possono farsi sentire e provocare una graduale deformazione del tessuto epatico (del fegato) chiamata cirrosi. La cirrosi (chiamata così perché nel fegato si formano delle ‘nuvole’ di tessuto cicatriziale al posto delle cellule del fegato) è un processo lento e praticamente inarrestabile che lede, una dopo l’altra, tutte le importantissime funzioni di questa centrale chimica dell’organismo che è il fegato. Insomma, meglio fare di tutto per non arrivarci. L’ABC dell’epatite. E arriviamo ora all’epatite C. Per fortuna, abbastanza frequentemente il virus chiamato HCV è tenuto a bada dalle difese immunitarie dell’organismo. La persona con epatite C non attiva ha, generalmente, transaminasi dentro o di pochissimo superiori, ai valori di norma. Farà bene ad astenersi dall’alcol,

persone con HCV (attivo o meno) devono inoltre osservare le dovute precauzioni nei rapporti sessuali. Il rischio principale per la persona con HCV cronica attiva è costituitodalla cirrosi e dall’epatocarcinoma.

Il foie gras (fegato grasso) delle oche è una leccornia ma avere il fegato grasso, condizione spesso segnalata dalle transaminasi, non è altrettanto piacevole. a controllare le transaminasi ogni anno, a sottoporsi di tanto in tanto a una ecografia epatica e a vaccinarsi contro la epatite B. Se la epatite C è cronica e attiva, allora i controlli delle transaminasi vanno fatti ogni tre mesi, l’ecografia epatica ogni sei e, almeno alla diagnosi, occorre una biopsia epatica. L’ecografia permette di rilevare l’andamento del danno al fegato in tre modi: attraverso le dimensioni del fegato, attraverso il profilo esterno dell’organo e attraverso la valutazione della sua vascolarizzazione. È possibile quindi seguire con attenzione l’andamento della malattia. Le nostre amiche transaminasi, così utili per diagnosticare la malattia all’inizio, rappresentano invece un indicatore abbastanza scadente del suo andamento. Picchi con valori superiori a tre volte il valore limite vanno seguiti con attenzione, ma è perfettamente possibile che una significativa degenerazione del fegato avvenga pur mantenendo le transaminasi basse (a valori di poco superiori alla norma). Sobria e controllata. La persona con epatite C non deve assolutamente mai più toccare l’alcol e farà bene ad avere una alimentazione sana. Le

Le terapie. Premesso che il virus della HCV va genotipizzato (esistono diverse famiglie di virus con diversa capacità di resistere alle cure) la persona con HCV attivo può essere trattata almeno sei mesi con ribavirina e interferone (meglio se pegilato). Si tratta di una terapia un po’ pesante ma che circa nel 60% dei casi garantisce la guarigione completa. Un caso su 100. Come tutti gli articoli di medicina anche questo vi avrà spaventato a morte. E forse inutilmente. Nella pratica del Centro trasfusionale dell’ospedale San Paolo il virus HCV è rilevato circa in un campione di sangue ogni 100. Una steatosi tale da muovere le transaminasi invece, va indagata perché si tratta di una condizione facile da curare e che, non curata, contribuisce a moltiplicare il rischio cardiovascolare già alto in una persona sovrappeso o con una alta produzione di trigliceridi. Chi deve controllarle. A chi consigliare di ‘fare le transaminasi’? “A tutti” è la risposta, perché il virus HCV è presente in ogni fascia di età (non si tratta di una malattia a trasmissione solo o prevalentemente sessuale), magari accompagnato da una determinazione degli anticorpi anti-HCV. Le persone sovrappeso dovrebbero controllare ogni anno o due le transaminasi, soprattutto se il loro sovrappeso è situato sul ventre. La tipica pancetta dei maschi sopra i 40 anni che si concentra sotto l’ombelico come un K-way non provoca drammi quando si sale sulla bilancia ma è sufficiente per intasare il fegato di grasso. Il fegato è infatti uno dei pochi organi che riceve sangue ‘usato’ da altri organi. Le cellule grasse dell’addome scaricano trigliceridi e grassi nella vena porta che afferisce appunto al fegato.

➍Q  uali problemi possono indicare però?

➎ Come si fa una diagnosi?

➏ Sono condizioni serie?

➐ A chi posso consigliare di controllare le transaminasi?

Più frequentemente problemi al fegato. Le cause più probabili sono: una epatopatia steatosica (troppi grassi che dalla pancia passano nel fegato e lo intasano), da alcol o da virus dell’epatite B o C.

La determinazione della presenza del virus della epatite C o B effettuata di routine dal Centro trasfusionale del San Paolo, insieme a una ecografia epatica, aiutano a definire rapidamente la diagnosi che verrà poi precisata con altri test.

Chi ha una epatite deve astenersi completamente dall’alcol. L’epatite C in una discreta quota dei casi è tenuta in equilibrio dal sistema immunitario dell’organismo. Se è ‘attiva’ può essere curata con una terapia (interferone e ribavirina) che ha successo in circa il 60% dei casi.

Tutti potrebbero avere l’epatite B o C. Le persone sovrappeso, soprattuttp con grasso addominale sono a rischio di steatosi. Le persone che amano bere, sopattutto superalcolici, potrebbero avere sviluppato una epatopatia alcolica.



news www.adosanpaolo.it IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO

Inaugurata ufficialmente il 7 febbraio del 1979, l’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano serve un bacino di circa 500 mila persone nel sud

della città di Milano e nei comuni confinanti. Dispone di 635 posti letto di degenza di cui 87 in day hospital o day surgery. Pur avendo quasi trent’anni il San Paolo è percepito dai milanesi correttamente come il ‘nuovo ospedale’ di Milano. Merito della linea moderna progettata nei primi anni ’70 dallo studio Casati, dell’attenzione posta agli spazi comuni e di degenza (in particolare nel dipartimento materno infantile) ma anche dalla sua natura di Centro di insegnamento universitario. Dal 1987, infatti, il San Paolo è Polo Universitario, sede della Facoltà di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria ospitando gli insegnamenti del corso di laurea in Medicina e Chirurgia e di Odontoiatria e di diverse Scuole di Specializzazione per esempio Oculistica, Pediatria e Cardiologia. Senza tenere conto di altre figure quali i Dottorandi, i titolari di Assegni di Ricerca e di Borse di Studio, si può dire che 1000 studenti vengono formati al San Paolo e si aggiungono alle circa 1800 persone che lavorano al San Paolo (361 medici, 661 infermieri, 373 persone di supporto all’assistenza e 393 tecnico/amministrativi). Riconosciuto dal Ministero della Salute quale ‘Ospedale di rilievo Nazionale’ il San Paolo ha condotto nel 2007 7.600 interventi chirurgici e 4.372 di day surgery, 1.204.137 prestazioni ambulatoriali e 350.460 di Pronto soccorso. L’Ospedale San Paolo è sede di diversi Centri di riferimento regionale: labiopalatoschisi (Chirurgia Maxillo Facciale), infezioni da HIV pediatriche e in gravidanza, diagnosi prenatale, fenilchetonuria, dislipidemie, glicogenosi e galattosemia, epilessia, retinite pigmentosa. Molte delle quasi 1500 prestazioni effettuate a pazienti provenienti da altre regioni afferiscono proprio a questi e altri Centri di altissima specializzazione. Un aspetto curioso del San Paolo che con la sua mole è uno dei più grandi edifici nell’area sud della metropoli milanese, è la presenza dell’unico Centro di Medicina penitenziaria esistente in Italia. 

Regalare un sorriso

La chirurgia maxillo-facciale è uno dei punti di eccellenza dell’azienda ospedaliera San Paolo. L’Unità operativa complessa diretta dal professor Roberto Brusati effettua 700 interventi chirurgici all’anno ed è Centro di riferimento regionale per la cura delle labio-palatoschisi.

L

a chirurgia maxillo-facciale interviene sia sulla struttura ossea della faccia e del cranio che sulle parti molli di faccia, collo, cavo orale. «È facile che la gente ci confonda con i chirurghi estetici, con i neurochirurghi, con i dentisti», spiega Roberto Brusati, 67 anni docente di Chirurgia maxillo-facciale all’Università di Milano e alla scuola di specializzazione in chirurgia, «in realtà siamo un po’ di tutto questo ma soprattutto qualcosa di diverso». Nata negli anni ’70, la chirurgia maxillo-facciale è stata sviluppata in parte proprio da Brusati nei suoi 25 anni alla guida della specialità presso il Policlinico universitario di Parma e dal 1995 a oggi al San Paolo. L’équipe diretta da Brusati che comprende 7 medici, 5 specializzandi e 24 operatori sanitari, effettua ogni anno circa 200-250 interventi di asportazione di tumori (al viso, lingua e palato per esempio). Impegnativi gli interventi di ricostruzione delle strutture necrotizzate a seguito dell’utilizzo di cocaina. La droga che viene appunto aspirata e si deposita all’interno del naso ‘brucia’ dapprima le mucose e poi via via la parete cartilaginea del setto nasale e il diaframma osseo sottostante fino a ‘bucare’ l’arcata del palato. «Parliamo di processi distruttivi molto gravi, guai a pensare che la cocaina sia un droga ‘pulita’», avverte Brusati che è cugino del regista Franco Brusati. Altri 200-250 interventi sono dovuti a traumi. «Per fortuna il ricorso a cinture e caschi ha ridotto i traumi da incidente ‘su strada’. In compenso rischiamo di più negli sport e nel tempo libero». L’équipe di Brusati ricostruisce ossa e cartilagini di persone cadute dalla mountain bike o che hanno avuto rovinose cadute sciando o giocando a rugby. «Non manca poi la classica ‘scazzottata del sabato sera’ fra giovani che non sempre si conclude solo con il

classico occhio nero», commenta Brusati. Con tutto il rispetto per gli interventi finora descritti, la parte più interessante (e perfino commovente) del lavoro svolto all’ottavo piano del blocco B del San Paolo, è l’attività svolta in ambito pediatrico (circa un terzo dei casi e un po’ più delle degenze) nella risoluzione delle malformazioni e delle deformità. In particolare la chirurgia maxillofacciale del San Paolo è famosa in Europa per la risoluzione delle labio-palatoschisi. Si tratta di una malformazione che consiste nella

mancata separazione fra l’arcata superiore della bocca (labbra e palato) e il naso. Non si tratta di chirurgia estetica: la labio-palatoschisi oltre chiaramente a deformarlo nell’aspetto, impedisce al bambino di succhiare e, successivamente, di parlare correttamente La malformazione appare in un caso ogni 700 nati in Italia. Solo in un quarto dei casi c’è familiarità, più spesso la malformazione è dovuta a malattie virali o all’uso di sostanze con effetti teratogeni durante i primi due mesi di gravidanza, ai farmaci, all’abuso di alcol, al fumo e perfino

news www.adosanpaolo.it IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO alla vitamina A ad alte dosi durante la gestazione. La malformazione è visibile dall’ecografia. Brusati non nasconde di ricevere genitori angosciati dalla prospettiva di dare alla luce un bambino ‘diverso’. «Io posso dire poco di rilevante a queste madri: spiego come avviene l’intervento e che risultati ha ma, soprattutto, le accompagno in corsia dove trovano una o più madri che hanno portato a termine la gravidanza e attendono l’intervento del figlio o lo hanno appena effettuato. Nel 99% dei casi dopo un anno la mamma torna qui. Con il neonato». L’intervento classico si svolge in due tempi e comprende una ricostruzione completa non solo del del labbro e della narice ma di tutta l’arcata ossea superiore e del palato. «Si interviene a sei mesi su tutte le parti molli e a due-tre anni sulla struttura ossea», spiega Brusati che ha sviluppato recentemente una metodica che consente di effettuare in un’unica soluzione i due interventi. «Nella maggioranza dei casi lo sviluppo del bambino avviene senza nessun problema, in qualche caso occorre un ausilio per la fonazione e, qualche volta, un ulteriore interevento di messa a punto del mascellare superiore iposviluppato finita la crescita». Il San Paolo è sede del Centro di riferimento regionale per la labiopalatoschisi. Questo significa che tutti i casi di labio-palatoschisi diagnosticati in Lombardia dovrebbero essere portati in via di Rudinì. «Questo purtroppo non avviene», afferma con rammarico Brusati, «noi facciamo 60 casi nuovi all’anno, 20 dei quali a pazienti di altre regioni. Copriamo quindi un sesto della domanda che è stimata in 250 casi annui solo in Lombardia». In altre Regioni come l’Emilia Romagna dove opera il Centro di riferimento creato da Brusati a Parma, in Toscana (Pisa) in Lazio (Bambin Gesù), a Napoli i Centri di riferimento riescono a svolgere meglio la loro funzione. Ma perché è importante? Non si tratta di questioni di potere «a noi non mancano certo i pazienti. Il fatto è che questi interventi richiedono una grande esperienza pratica. Il successo insomma è proporzionale alla casistica». Nel caso del labbro leporino l’intervento riguarda solo le parti molli ma va eseguito con pazienza, precisione e anche con molto senso estetico. A queste malformazioni congenite si aggiungono le deformazioni che – a differenza delle malformazioni – si manifestano con lo sviluppo e non sono presenti alla nascita. Ne esistono di ogni tipo: asimmetrie nello sviluppo del cranio, cranio allungato, o ‘largo’ (dolicocefalia grave) ma soprattutto riguardano lo sviluppo della mascella assai ridotto o eccessivo. In questi casi spesso l’intervento prevede l’utilizzo dei

così detti distrattori che, mediante una vite che viene ruotata ogni giorno, allunga, al ritmo di un millimetro al giorno, il segmento osseo sezionato a cui è applicata fino a ottenere l’allungamento desiderato. Gli interventi per risolvere i problemi descritti sono molto diversi: alcuni durano un’ora, altri arrivano a dieci. Alcuni richiedono anche l’intervento del neurochirurgo (e in questo caso vengono eseguiti insieme alla neurochirurgia del San Raffaele visto che questa specialità non è presente al San Paolo). In questi casi l’osso sezionato è asportato, rimodellato a tavolino e reinserito nel cranio del paziente. Per altre sedi (mandibola, mascella cavo orale) può essere necessario ricorrere alla microchirurgia. Viene asportato un lembo (cute e muscolo o cute, muscolo e osso o muscolo e osso), con tutti i suoi vasi, lo modelliamo e lo reinseriamo a ricostruire la parte asportata collegando i vasi con piccolissime suture. Tutti questi interventi sono eseguiti riutilizzando tessuti provenienti dallo stesso paziente. Perché non ricorrere al trapianto? «Dal punto di vista tecnico non vi sarebbe nessun problema, anche il pubblicizzato trapianto di faccia eseguio in Francia non è certo al di sopra delle nostre possibilità. C’è però una considerazione etica», sottolinea Brusati, «chi riceve un trapianto deve seguire una terapia a vita a base di immunosoppresori che lo espongono a un forte rischio di infezioni e aumentano il rischio di tumori. Il gioco vale la candela? Se parliamo di organi vitali ovviamente sì. Se parliamo di interventi maxillo facciali questo non è frequentemente il caso». Se gli interventi sono eseguiti generalmente nella prima infanzia, il paziente viene seguito fino quasi ai 18 anni. Ci sono le visite di controllo per il decorso postoperatorio, durante i quali viene controllata, oltre alla fonazione, anche la dentizione: questi bambini, come gli altri e forse più di altri, devono correggere lo sviluppo della dentizione. Noi non facciamo ortodonzia in ospedale ma prepariamo delle relazioni, insomma, dei ‘progetti’ che vengono poi eseguiti dal dentista di fiducia del paziente». Il follow up del paziente è il momento più bello nella vita del chirurgo, bambini dal viso deformato, come nessun regista di film horror potrebbe immaginare sono restituiti a una vita piena di soddisfazioni e normale. «Il loro sorriso ci fa andare avanti», commenta Brusati che partecipa con la sua équipe alle attività di Operation smile Italia, sezione italiana di una fondazione americana che finanzia campagne di intervento per curare bambini e adulti con labiopalatoschisi e altre malformazioni gravi che risiedono in Paesi del Terzo mondo. Operazione sorriso: un nome davvero ben scelto.

Emonews: notizie goccia a goccia I Servizi trasfusionali di Israele cercano donatori di sangue attraverso SMS e telefonate Dopo il fallimento delle numerose campagne su carta stampata, i Servizi trasfusionali israeliani stanno cercando di incrementare il numero di donazioni di sangue inviando messaggi SMS sui cellulari e contattando direttamente a casa i donatori o gli aspiranti tali (Fonte: Jerusalem Post).

Negli USA i civili potranno donare il proprio sangue ai soldati Gli Ufficiali di Stato Maggiore dell’Esercito statunitense stanno pianificando la possibilità che civili ed ex-soldati possano donare sangue per le truppe ferite in azioni di guerra recandosi presso apposite strutture federali o del Dipartimento della Difesa. Questa sarebbe la prima volta, dopo più di 50 anni, che l’Esercito ricorre ai civili allo scopo di donare sangue ai soldati (Fonte: The Columbus Dispatch – Ohio).

Il sangue: un bene sicuro ma costoso… Secondo gli esperti il gran numero di test di laboratorio cui vengono sottoposte, negli USA, le sacche di sangue raccolte con la donazione, le ha rese estremamente sicure ma ha determinato anche un netto incremento del loro costo: una unità di globuli rossi concentrati è infatti passata da un prezzo medio di 96 dollari nel 2000, ai 201 del 2004. Alcuni ospedali sono peraltro costretti a effettuare esami di laboratorio addizionali sulla scorta delle caratteristiche demografiche della popolazione locale, con un ulteriore incremento dei costi (Fonte: Los Angeles Time).

All’OMS si parla di sicurezza del sangue donato nei Paesi in via di sviluppo L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha organizzato una serie di incontri allo scopo di aiutare i Paesi in via di sviluppo a creare e implementare strategie e politiche socio-sanitarie finalizzate ad aumentare la sicurezza del sangue donato. Il primo di questi incontri si terrà a Singapore, con la partecipazione dei rappresentanti dei Paesi del Pacifico occidentale (Fonte: Channel News Asia).

I criteri di selezione dei donatori di sangue sono troppo restrittivi? È la domanda che si sono posti negli USA un gruppo di esperti, secondo i quali i più recenti criteri di sicurezza per la donazione di sangue, più restrittivi rispetto ai precedenti, possono aver contribuito al calo nel numero di donazioni. I ricercatori hanno stimato che circa 66 milioni di americani vengono esclusi sulla base di tali criteri, criticati da alcuni per la loro eccessiva rigorosità che scoraggerebbe molti nuovi potenziali donatori. Il dibattito tra sicurezza trasfusionale e fabbisogno continuo di sangue continua (Fonte: Reuters).

Tatuaggi e donazione di sangue negli USA Allo scopo di incrementare il numero di potenziali donatori di sangue, i Servizi trasfusionali statunitensi di 11 Stati hanno deciso di permettere la donazione di emocomponenti anche a coloro che si siano recentemente sottoposti a un tatuaggio, in precedenza costretti ad attendere un periodo di 12 mesi (Fonte: Billings Gazette (Mont.).



news www.adosanpaolo.it TENERSI IN SALUTE

Quella brutta tosse che non passa... Potrebbe essere un malanno passeggero, ma anche la prima fase di una Bpco, una malattia dei polmoni cronica e molto seria se non si interviene in tempo. Come? smettendo di fumare e consultando uno specialista. Altrimenti...

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ella SARS (sindrome acuta di deficit respiratorio) detta anche influenza aviaria, se ne parlò per mesi, anche se i casi di trasmissione del virus dall’animale all’uomo sono stati in Europa poche decine. La BPCO invece la conoscono in pochi, eppure la ‘broncopneumopatia cronica ostruttiva’ colpisce milioni di persone.

Cosa è questa BPCO? La BPCO si manifesta dopo i 40 anni soprattutto nei fumatori, consiste in una infiammazione cronica, vale a dire continua, del tessuto polmonare. Gli alveoli attraverso i quali il sangue riceve ossigeno muoiono e si calcificano riducendo progressivamente la capacità respiratoria.

I primi segni In una prima fase la BPCO si manifesta attraverso tosse (soprattutto la mattina) con espettorato e a volte un respiro sibilante. Il paziente, che spesso è un fumatore, attribuirà il disagio al fumo correttamente e prenderà qualche medicina spesso senza nemmeno avvertire il medico di base. Il secondo sintomo è la dispnea, vale a dire la ‘fame d’aria’. Il paziente sente – in occasione di uno sforzo breve o prolungato il ‘fiatone’. Lo attribuirà forse alla mancanza di allenamento e al fumo. Il terzo elemento è una grande vulnerabilità alle bronchiti, più frequenti e più lunghe del normale. Il terzo elemento è una grande vulnerabili-

tà alle bronchiti, più frequenti e più lunghe del normale. Questo elemento dovrebbe allarmare il medico di Medicina generale ma, un po’ perché non sempre queste episodi sono riferiti al medico, un po’ perché il medico di rado tiene in considerazione la frequenza degli episodi preferendo concentrarsi sulla loro risoluzione, è ancora raro che il paziente venga avviato a un percorso di diagnosi più approfondita. Nella maggior parte dei casi, quindi, la malattia procede, fino a quando il paziente non inizia a sentire un deficit di ossigeno cronico o fino a quando una seria polmonite non lo porta all’ospedale.

Terapie? Poche, ma la prevenzione è facile Non esiste una medicina che ‘fa passare’ la BPCO. Dal punto di vista fisiologico gli alveoli persi non si recuperano. È possibile però, prima di tutto, rallentare molto il processo che porta alla loro distruzione. Il primo passo ovviamente è smettere di fumare. Su questo non si transige. Il secondo passo è migliorare la fitness respiratoria, perdere peso e aiutare l’organismo a utilizzare meglio l’ossigeno. L’esercizio fisico, ovviamente graduale, e sotto controllo, ottiene ottimi risultati in questo senso. L’esercizio fisico è importante anche perché la BPCO ha un forte impatto sul funzionamento cardiovascolare. Lo sport è la miglior medicina per il cuore e le arterie.

Smetti di fumare Come mai in pochi anni la BPCO è diventata una delle malattie più serie e gravi? Il termine BPCO comprende diverse malattie che, una volta, erano classificate singolarmente: la bronchite cronica, l’enfisema e la broncopneumopatia ostruttiva. È un nome nuovo per delle patologie vecchie e in aumento. Secondo l’Oms la BPCO è al momento la settima causa di morte nei Paesi occidentali e potrebbe diventare la terza. Così tanta gente muore perché i polmoni smettono di funzionare? La BPCO evolve verso la progres

siva distruzione degli alveoli, il luogo in cui il sangue si carica di ossigeno e rilascia l’anidiride carbonica, e la progressiva ostruzione delle ‘tubazioni’ che fanno passare questi gas. In Italia ci sono decine di migliaia di persone che non possono vivere senza ricevere ossigeno da una bombola e il loro numero aumenterà. La BPCO comporta importanti effetti sistemici e rilevanti conseguenze per altri organi e apparati: in primis il cuore. Prima di tutto un polmone che funziona male porta all’ipertrofia del ventricolo destro: il cuore cambia forma e questo compromette l’efficacia e la garanzia del suo funzionamento. In secondo luogo stiamo parlando di

Un medico specialista potrà anche consigliare una serie di esercizi specifici per tenere in attività i muscoli del respiro. Contemporaneamente si cercherà di ridurre gli episodi acuti. La persona con BPCO è molto predisposta alle infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina ogni bronchite si porta via un bel pezzo di polmone e per sempre, vale la pena quindi di prendere le solite misure per evitare infreddamenti. Ai pazienti si raccomanda anche di vaccinarsi regolarmente contro malattie come l’influenza o la polmonite da pneumococchi, che potrebbero aggravare una funzionalità polmonare già fortemente compromessa. Esistono poi le terapie che hanno l’effetto di permettere al paziente di utilizzare meglio i suoi polmoni. Si tratta dei beta2stimolanti, degli antivagali e del cortisone, il quale pare avere anche effetti positivi sull’attesa di vita del paziente.

di misurare la capacità polmonare residua. Se la BPCO è diagnosticata nella sua fase più severa (caratterizzata da una forte riduzione della capacità respiratoria oppure dai segni clinici di insufficienza respiratoria o cardiaca) i medici non possono fare molto. Il paziente si vedrà presto costretto ad aiutare la respirazione con una cannula collegata a una bombola contenente ossigeno. Si calcola che 4 milioni di persone in Italia soffrano di BPCO, di queste 40 mila sono costrette a respirare aiutate da una bombola di ossigeno. In realtà la malattia è gravemente sottodiagnosticata sia all’origine, sia come causa di morte.

La diagnosi Come sempre avviene nelle malattie croniche, le terapie sono tanto più efficaci quanto più precoce è la diagnosi. Il principale strumento diagnostico è la spirometria, un test molto semplice che permette

ADO News ha intervistato Stefano Centanni, pneumologo, responsabile dell’Unità Operativa Malattie dell’apparato respiratorio dell’Ospedale San Paolo.

persone che non possono, o quasi, muoversi, e la sedentarietà coatta impedisce loro di contrastare con l’esercizio fisico gli effetti della coronaropatia che molto probabilmente hanno in quanto ex fumatori. Una diagnosi precoce aiuta? Sicuramente sì. Noi consigliamo a tutti i medici di base e agli specialisti di richiedere una spirometria non solo per i pazienti che lamentano una dispnea in occasione di sforzi (anche modesti) ma a tutti i fumatori con oltre 40 anni. Dopo la diagnosi però la persona deve smettere di fumare. Il paradosso è che smettere di fumare è facile quando i sintomi sono gravi.

Ma quando i sintomi sono gravi l’effetto è minore… Sì, anche se non è mai troppo tardi. Ci sono persone che smettono solo quando hanno perso l’autonomia resporatoria, insomma sono attaccate alla bombola. Ebbene comunque vivono di più e meno peggio, possono camminare, per esempio, per più mesi/anni di quello che sarebbe accaduto se non avessero smesso. Chi non fuma è esente da BPCO? No, ci sono delle forme ‘geneticamete determinate’ di malattia e c’è l’inquinamento. Ma il rischio è dieci volte inferiore per chi non fuma e non ha mai fumato.

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Cacao meravigliao

Vi meraviglierà sapere che il cacao è ricco di sostanze che hanno un effetto positivo sulle arterie.

Si calcola che il 14% degli uomini e il 6% delle donne dopo i 45 anni abbiano una ostruzione bronchiale cronica moderata o grave. Il costo per il sistema sanitario è enorme una analisi fatta nel 2003 ha stimato in 1261 euro all’anno per paziente i costi diretti sul Sistema sanitario. I farmaci più indicati per la BPCO sono i broncodilatatori, somministrati per via inalatoria, che sono in grado di dilatare le vie aeree e garantire così il maggior flusso possibile di aria. Anche il cortisone nei trial èpiù recventi sta mostrando interessanti effetti..

Attenzione a inquinamento e fumo passivo La complicanza principale della BPCO, come detto, è a livello cardiaco. Il sangue è povero di ossigeno e deve essere pompato più frequentemente, per sostenere il ritmo accelerato e perché anche i suoi tessuti sono sotto sforzo, il cuore si ingrossa e perde la sua simmetria.

Asma e BPCO sono ‘parenti’? Sono due manifestazioni molto diverse dal punto di vista funzionale che, nella pratica, possono dare effetti simili. La differenza è che l’asma è un episodio acuto. Con il farmaco giusto tutto torna come prima. La BPCO è lenta e cronica, subdola insomma. Fumare leggero o ridurre il numero delle sigarette, aiuta? La nicotina c’entra poco. La BPCO è causata dal calore dell’aria, dai prodotti della conbustione, dalle varie sostanze chimiche presenti nelle sigarette, anche leggere. Occorre smettere. Serve smettere di fumare se si vive in una zona inquinata? A me questa sa tanto di scusa per non smettere di fumare! Noi pneu-

Ci sono quindi problemi di contrazione e di ritmo. Numerosi studi indicano che, tra i fattori ambientali, il principale fattore di rischio per lo sviluppo della Bpco è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta (meno quello di sigaro e pipa), che accelera e accentua il decadimento naturale della funzione respiratoria. Anche il fumo passivo può contribuire parzialmente allo sviluppo della malattia. Gioca un ruolo determinante anche l’esposizione a polveri, sostanze chimiche, vapori o fumi irritanti all’interno dell’ambiente di lavoro (per esempio silice o cadmio). Un altro fattore di rischio, seppure meno influente, associato allo sviluppo della Bpco è l’inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da smog e polveri sottili, ma anche quello presente negli ambienti chiusi (provocato dalle emissioni di stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria condizionata ecc.).

mologi abbiamo lanciato per primi l’allarme sull’inquinamento dell’aria. Si parla tanto del Pm10 come indicatore dell’inquinamento. Ebbene la soglia di allarme del Pm10 è 50 microgrammi per metrocubo, se lei accende una sigaretta, una sola, in questa stanza la concentrazione di PM10 salirà a 250 microgrammi e rimarrà tale per 45 minuti. Ciò detto, noi stiamo partecipando a uno studio che mette in relazione le accettazioni al pronto soccorso con i dati dell’inquinamento atmosferico rilevati in quel giorno. Ma se parliamo delle scelte di vita teniamo il senso delle proporzioni: chi ha la BPCO deve smettere di fumare, non respirare il fumo degli altri e, fatto questo, potrà cercare di passare qualche tempo lontano dalle aree più inquinate.

Che il cioccolato faccia bene al nostro umore è ormai assodato (come dimenticare la mitica scena di Nanni Moretti intento a divorare un gigantesco vaso di Nutella nel film Bianca), ma sempre di più sono i lavori della letteratura scientifica che tendono a evidenziarne ben altri effetti benefici. Negli ultimi anni sono stati studiati con particolare attenzione gli effetti del cioccolato nero sul sistema cardiovascolare. Una recente meta-analisi, pubblicata quest’anno sulla prestigiosa rivista statunitense Archivies of Internal Medicine e condotta dall’Università di Colonia (Arch. Intern. Med. 2007; 167: 626- 634), ha rianalizzato i dati ottenuti da 5 studi clinici randomizzati che hanno coinvolto un totale di 173 soggetti. Il risultato conferma che il consumo di alimenti ricchi di cioccolato nero determina un abbassamento medio dei valori di pressione arteriosa massima (o sistolica) e minima (o diastolica) di circa 4,7 e 2,8 millimetri di mercurio, rispettivamente. L’effetto benefico sulla pressione arteriosa è, con ogni probabilità, dovuto a particolari sostanze dette polifenoli (o flavonoidi), di cui il cioccolato nero, ma non quello bianco, è particolarmente ricco. I polifenoli sembrano infatti in grado di promuovere la sintesi da parte delle cellule endoteliali (che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni) di ossido nitrico; quest’ultimo va ad agire sulla muscolatura della parete delle arterie, rilasciandola e riducendo quindi la pressione. Questi dati sono stati ulteriormente confermati da un successivo studio randomizzato pubblicato nel luglio scorso dall’autorevole rivista Journal of American Medical Association e condotto dagli stessi ricercatori dell’Università di Colonia (JAMA 2007; 298 (1): 49-60). Gli effetti positivi dei polifenoli contenuti nel cioccolato nero non si fermano peraltro l cacao fa alla riduzione dei valori di pressione sanguigna. Come dimostrato da nubene ma nel merosi studi, tra cui quello pubblicacioccolato to sulla rivista Heart lo scorso anno utilizzato (Heart 2006; 92: 119- 120), un altro potenziale beneficio di tali sostanze nei dolci deriva dalla loro capacità di influenzain commercio re positivamente la funzione delle cellule endoteliali e delle piastrine, che c è un alta tanta parte hanno nello sviluppo dei percentuale processi di aterosclerosi e, quindi, di patologie quali ictus e infarti. di grassi Anche in questo caso l’effetto benefico sembra legato alla stimolazione della sintesi di ossido nitrico che, oltre alla già citata azione vasodilatante, è anche dotato di proprietà antiaggreganti sulle piastrine e protettive sull’endotelio. Non dobbiamo però mai dimenticare il rovescio della medaglia, ovvero l’elevato contenuto in grassi e zuccheri del cioccolato in commercio che tende a contrastarne gli effetti benefici, favorendo l’aumento di peso corporeo (e quindi il rialzo dei valori pressori) e lo sviluppo dell’aterosclerosi. Nell’attesa quindi di ulteriori studi che confermino la bontà (nel vero senso della parola) dei risultati preliminari cui abbiamo accennato, è imperativo non abusare di questo delizioso e sfizioso alimento.

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Le terme sotto casa

A Milano sono nati diversi Centri benessere e ‘Spa’: acqua, vapore, massaggi aiutano a tornare in forma INDIRIZZI UTILI Accadueò  Club Day Spa Istituto di bellezza viale Lucania, 27 tel. 02 55230786 www.accadueoclub.it Anti  Aging Beauty Center Day Spa c.so Buenos Aires, 75 Tel. 02 67490049 Glamin  Day Spa viale Regina Margherita, 4 tel. 02 54107921 www.glamin.it Montenapoleone  10 via Montenapoleone, 10 tel. 02 76319075 Hammam  della Rosa viale Abruzzi,15 tel. 02 29411653 www.hammamdellarosa.com La  Fonte del Benessere Via Renzo e Lucia 1/3 tel. 02 84800799 www.lafonteonline.it Acquae  Calidae Via Santa Sofia 14 Tel. 0258430269 www.aquaecalidae.it Your  Image via Gallarate, 80 tel. 02 33490186 www.yourimagespa.com Bulgari  Hotel Spa via Fratelli Gabba, 7/b tel. 02 805805200 Centre  de la Beautè Carita via Pagano, 37 tel. 02 48010569 Club  10 Fitness e Beauty Center Hotel Principe di Savoia tel. 02 62304024 www.luxurycollection.com Lilith  Spa via San Marco, 16 tel. 02 62690815 www.lilithspa.com Downtown  piazza Cavour, 2 tel. 02 76317233 www.downtownpalestre.it E’spa  at Gianfranco Ferrè via S. Andrea, 15 tel. 02 76017526 Club  Conti Corso Como, 15 tel. 02 6570294

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ritmi della vita moderna, stressanti all’inverosimile, ci costringono spesso a ‘staccare la spina’ a dare una tregua agli impegni quotidiani, siano essi legati al lavoro, alla vita familiare o affettiva. Si vive sempre di corsa e con l’orologio in mano, per questo è utile concedersi ogni tanto un momento di pausa in un Centro benessere o in una Spa. Se consideriamo poi una metropoli come Milano, riuscire a concedersi anche poche ore di relax non può che essere definito un lusso. Una volta conosciuti gli effetti benefici sul corpo e sulla mente del ‘prendersi cura di sé’, l’interesse verso attività rivolte alla ricerca del benessere è aumentato in modo esponenziale, anche in base a quanto specificato nel rapporto della Commissione Salute dell’Osservatorio europeo sui sistemi e politiche della salute, andando a creare strutture ad hoc. Tali strutture, i Centri benessere, anche chiamate ‘Spa’, si compongono di tutti quei trattamenti che tendono a migliorare il proprio wellness.

Il termine ‘Spa’

deriva da una cittadina belga nota per le sue acque minerali. Le Spa o Centri benessere, non offrono tanto trattamenti termali, ma tutti quei servizi legati alla salute e all’armonia del corpo e della mente.

Il termine Spa deriva da una cittadina belga, nota per le sue acque minerali. Sviluppatosi il turismo delle terme, soprattutto da parte degli inglesi, tale nome divenne in breve tempo termine generico per indicare il ‘termalismo’. Ovviamente le Spa, o Centri benessere, non offrono solo trattamenti termali, ma tutti quei servizi legati al riposo dallo stress, per la salute e l’armonia del corpo e della mente. Le Spa sono dei rifugi bellissimi, progettati per sembrare dei paradisi naturali. Si ispirano alla natura, creando degli ambienti rilassanti, comodi, ad alti livelli di innovazione e di design. Solitamente si compongono di percorsi d’acqua e rituali di benessere per raggiungere, nel modo più gradevole possibile, l’obiettivo di tonicità e di relax. I Centri benessere tendono a stimolare tutto l’organismo, in modo da offrire ai propri ospiti la possibilità di una forma psicofisica ottimale grazie all’abbinamento dei trattamenti alla struttura. Per portare alla scoperta del relax spesso si tende a coinvolgere tutti

i centri sensoriali: udito, olfatto, gusto, tatto e ottenere un’esperienza unica e irripetibile. Musica rilassante e profumi coinvolgenti sono alla base della ricetta della ricerca di benessere, in modo da lasciare viaggiare la mente e concedere un momento di tranquillità. Solitamente, fra i servizi offerti da questi Centri, c’è la sauna finlandese, trattamento ormai di grande diffusione che dona benessere all’organismo, attraverso

news www.adosanpaolo.it BENESSERE

Vado pazzo per il ‘fumo’

Fumare hascisch o marijuana non è un vizio innocente. Più che l’assuefazione a questa e altre droghe gli utilizzatori abituali rischiano di sviluppare serie psicosi come la schizofrenia.

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Le spa sono dei rifugi.

il calore che fa elisioni effettuati per i ispirano alla minare le tossine alcuni secondi su natura creando e i rifiuti della pelle aree precise. degli ambienti con il sudore, perMassaggi dremettendo al cornanti. Sono rivolrilassanti po di migliorare la ti al drenaggio dei comodi ad traspirazione. liquidi del corpo. Si tratta di una Si svolgono attraalti livelli di pratica che fa perverso una frizioinnovazione e dere i chili in ecne forte sulla sucesso: durante la design perficie da trattasauna il metabore. Sono rivolti a in modo da lismo e il battito chi vuole eliminaoffrire ai propri cardiaco aumenre alcuni inestetitano, provocansmi del corpo, coospiti una do una vasodilame, per esempio, forma psicofisica tazione e migliola cellulite. rando la circolaMassoterapia. Si ottimale zione sanguigna. tratta di massaggi Favorisce inoltre che hanno lo scoil recupero muscolare, producendo po di sciogliere e rimuovere le conun rilassamento di tutto il corpo e ha trazioni muscolari. Utili, in particolaun effetto calmante sulle terminazio- re, nei casi in cui subentra il mal di ni nervose. La sauna finlandese, ri- testa oppure quando si hanno diffivestita di legno, può raggiungere i coltà nella rotazione del capo, do100°, inducendo un’abbondante tra- vute allo stress e alla stanchezza. spirazione della pelle, mentre l’umi- Idromassaggio. Getti d’acqua masdità non supera il 10-20%. Simili al- saggiano il corpo, accompagnando la sauna finlandese sono anche gli gli effetti benefici dell’acqua a quelli Hammam, tipici della tradizione ara- del massaggio. ba e vicini anche alla pratica delle Inoltre, nei Centri benessere è difterme romane. fuso l’insegnamento di alcune diGli Hammam si compongono di tre scipline e tecniche di rilassamento, sale: una sala molto calda (harara), quali: Yoga che migliora l’ossigenauna tiepida e l’ultima fresca. Ognu- zione, regolarizza il battito cardiaco no di questi trattamenti è spesso ac- e abbassa la pressione arteriosa. compagnato da aromaterapia. In- Con l’apprendimento delle diverse fatti gli oli essenziali esercitano una posizioni, si può arrivare a controlserie di benefici effetti e, in seguito lare il respiro e quindi, a raggiungealla loro applicazione, sono calman- re il rilassamento fisico e mentale. ti del sistema nervoso. Training autogeno. Attraverso queUna delle forme più antiche e natu- sta tecnica si concentra l’attenziorali di terapia è proprio il massag- ne su alcune parti del corpo con imgio che ha un’azione stimolante sul- magini e sensazioni distensive, fino la pelle, attraverso frizioni e pressio- a non sentire più la sensibilità fisica. ni. I massaggi sono per lo più rivolti Così la mente si libera e riesce a teal rilassamento; di seguito ne citia- nere sotto controllo anche i dolori armo alcuni tipi. ticolari e muscolari. Musicoterapia. Massaggio stretching. Coinvolge Si basa sul principio che la musica muscoli, tendini, ossa e articolazio- ha una grande influenza sull’equini e consiste in movimenti di allun- librio psicofisico dell’uomo e che il gamento e distensione muscolare. suo ritmo ha effetto sulla pressione Massaggio Shiatsu. Particolar- sanguigna, la respirazione e il battito mente utile per chi soffre di lombal- cardiaco. I brani musicali più indicagie, emicranie e dolori mestruali. Il ti per ognuno vengono individuati e paziente si sente disteso e rilassato. selezionati da un musicoterapeuta. È in genere molto piacevole e rilassante e consiste di trazioni e presG  iovanni Abruzzo

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Secondo le stime più recenti, l’utilizzo di cannabis (o marijuana) riguarda nel mondo circa 160 milioni di individui. I noti effetti della cannabis tendono a manifestarsi nell’arco di pochi minuti dall’assunzione, durano 2-4 ore e variano in relazione al tipo di sostanza usata, alla modalità di assunzione e alla personalità del soggetto. Dopo 5 minuti compaiono ansietà, irrequietezza e iperattività, seguiti dopo una decina di minuti da senso di euforia, benessere ed esaltazione interiore. Dopo 20 minuti compaiono alterazioni dell’attività ideativa, tono dell’umore esaltato e scoppi di ilarità; coesistono alterazioni dello schema corporeo, dello spazio, delle percezioni visive e senso di fame, seguiti da intensa sonnolenza. Ad alte dosi sono possibili veri e propri attacchi acuti di panico e psicosi paranoidi, generalmente di grado lieve. È stato più volte affermato che l’utilizzo della cannabis non è in grado di determinare dipendenza. Studi recenti hanno invece evidenziato come una proporzione variabile dal 10 al 20% degli utilizzatori più giovani sviluppi dipendenza, come dimostrato dalla comparsa di una sindrome astinenziale nel caso di brusca sospensione dell’assunzione. Nei soggetti forti fumatori di cannabis tale sindrome astinenziale è caratterizzata da intensa agitazione motoria, insonnia, mancanza di appetito e forte irritabilità. Oltre al possibile sviluppo di dipendenza, un consumo reiterato di cannabis è stato associato a problemi di apprendimento, memoria, affettività e flessibilità mentale, riduzione delle difese immunitarie e della capacità riproduttiva, danni alle vie respiratorie. Con particolare riguardo agli effetti negativi sulle funzioni cognitive, numerosi studi identificano la fase adolescenziale come quella a maggior rischio, probabilmente a causa di un effetto persistente sulla plasticità sinaptica neuronale. A conferma di quanto affermato vengono i risultati di un ampio studio pubblicato nel luglio scorso dalla rivista Lancet (Lancet 2007; 370: 319328), in cui un gruppo di ricercatori dell’Università di Cardiff ha rianalizzato i dati ottenuti da ben 35 studi clinici precedenti. Il risultato di questa meta-analisi conferma che l’uso reiterato di cannabis aumenta dal 40 al 200% il rischio di sviluppare negli anni a venire una psicosi (in primis la schizofrenia); meno marcato ma altrettanto significativo sembra invece l’effetto predisponente su patologie della sfera affettiva, quali la depressione. Il rischio, in tutti gli studi analizzati, è strettamente dose-dipendente: all’incremento del consumo di droga corrisponde un aumento di tale rischio. Gli autori concludono sostenendo la necessità che gli utilizzatori di marijuana siano resi edotti del rischio potenziale di sviluppare malattie psicotiche, in particolar modo i più giovani che, come già ricordato, sarebbero più sensibili a tali effetti nefasti. Se il consumo di cannabis cessasse, proseguono gli autori, si arriverebbe a prevenire ben 800 nuovi casi di schizofrenia all’anno nel solo Regno Unito.

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news www.adosanpaolo.it CULTURA

La potenza simbolica del sangue

Dal colore rosso, che segnala divieto e pericolo, alla metafora genetica e perfino razziale. Il sangue evoca mille simboli e indica tanto la morte (spargimento di sangue) quanto la vita (sangue del mio sangue). A cosa si deve questa ricchezza?

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ateria primaria, elemento essenziale, fonte di vita, potenza universale. E poi i colori: rosso, purpureo, scarlatto, o ancora blu, arterioso e nobiliare. E schizzi, macchie, pozze. Tutto questo è il sangue nell’immaginario collettivo, non solo materia biologica ma anche materia filosofica, oltre la pura fisicità. Chi di noi non immagina visivamente le scene di un romanzo noir a partire da una propria personale figurazione del sangue? Chi di noi non ne associa il mistero ai misconosciuti rituali di tradizioni altre dalla nostra (e quindi islamiche, ebraiche, orientali, comunque ‘diverse’?). È forse per questo che vale la pena, in una pubblicazione come questa, parlare anche dell’aspetto meno noto – probabilmente anche meno ‘importante’ davanti al tema cruciale della donazione – che ha il sangue, parlare quindi di ciò che ha a che fare con le tradizioni religiose e filosofiche o, ancora, della rappresentazione nell’arte di un principio vitale di così grande potenza. Si tratta, in buona sostanza, di affrontare l’argomento prendendo – se ci viene passata l’espressione – il toro per le corna, ovvero ammettendo in primo luogo che la parola ‘sangue’ assume oggi un significato che va ben al di là di ciò che la parola stessa descrive. È infatti l’innegabile significato simbolico quello che per primo viene messo in gioco se pensiamo a quante volte ci può capitare in una sola giornata, scorrendo i quotidiani o ascoltando un qualsiasi programma radiofonico o televisivo, di incappare in quella piccola parola di sole sei lettere, tre vocali e tre consonanti. Quasi mai essa viene utilizzata con il proprio specifico valore letterale, anzi, le viene affidato un enorme potere evocativo a indicare tutto e il contrario di tutto, tanto la morte (spargimento di sangue) quanto la vita (sangue del mio sangue). Perché si tratta di una parola ormai assurta a simbolo, chiamata a evocare altro da sé. La capacità di conoscere, interpretare e utilizzare i simboli è una delle più affascinanti nella specie umana, senza ombra di dubbio: un ‘simbolo’ è qualcosa che significa qualcosa d’altro, una forma di specchio mentale attraverso cui un oggetto, una parola, un luogo rimandano immediatamente a un concetto che non è 12

più quello rappresentato meramente dall’oggetto, luogo o parola in sé, ma si fa enormemente più ampio e complesso; sono molte le culture che fanno dei simboli veri e propri centri di trasmissione culturale e, in questo viaggio, cercheremo di incontrarne alcune, di comprenderne meglio il rapporto con il sangue quale elemento costitutivo della vita. Quanto al significato simbolico, tutti noi sappiamo che il colore rosso indica un divieto, la necessità di prestare attenzione maggiore (nei cartelli stradali, nei semafori, nei titoli) e ciò ha forse dei legami profondi, sepolti nella nostra animalità (nei nostri istinti) con il colore del sangue. Proveremo a conoscere alcuni di questi meccanismi. Ma ancora, il mondo dell’arte merita probabilmente un viaggio a sé, all’interno della poesia e della pittura, del teatro, del cinema, della letteratura (e dell’uso della lingua, verrebbe da aggiungere), su quanto è stato attinto dalla metafora del sangue per rappresentare – ed ecco ancora una volta l’uso del simbolo – le vicende umane a partire proprio da ciò che pare essere l’elemento costitutivo dell’esistenza in vita di ciascuno di noi.

nostri giochi mentali, verbali, metaforici. Vero è che ciò avviene a livello inconscio probabilmente, diciamo la parola e neppure badiamo al reale significato fisico e biologico, ma questo non costituisce forse un’ulteriore dimostrazione del discorso che stiamo facendo? Di quanto sia pervasivo l’argomento sangue nel nostro modo di vivere, raccontare, discutere? Affronteremo dunque un viaggio che speriamo essere piacevole, magari interessante, auspicabilmente non noioso o inutile. Un viaggio che ci porterà in luoghi non usuali o a contatto con culture con cui si fatica a trovare punti di incontro e condivisione. Potrà persino rivelarsi un viaggio divertente con un po’ di fortuna e benevolenza da parte del lettore. Scopriremo così che la comprensione del fatto che il sangue circola è recentissima in termini storici: risale a circa quattro secoli orsono, grazie allo scienziato inglese William Harvey che per primo comprese e descrisse il sistema circolatorio. E prima di Harvey? Va considerato che la pratica della dissezione anatomica non incontrava grande fortuna in epoche passate ma va rilevato

Il cinema è

solo una moda passeggera. È il dramma in lattina. Il pubblico vuole vedere storie di carne e di sangue rappresentate in palcoscenico.

Charlie Chaplin Pensiamo, a questo proposito, anche soltanto a come ricorrono espressioni gergali, detti, proverbi, in cui faccia capolino anche il sangue. Sangue caliente, sangue latino, sangue freddo, vino che fa buon sangue, farsi il sangue cattivo (o amaro), sangue che non è acqua, sangue che chiama altro sangue. Appare evidente che non occorre cercare troppo per imbattersi nella prova provata di quanto sia comune utilizzare l’elemento sangue nei

anche che per millenni l’uomo non è stato in grado di comprendere il ruolo né del sangue né di molti altri organi se pensiamo che secondo Aristotele – pure grandissima personalità nello sviluppo del pensiero umano – il cervello aveva funzioni di radiatore e serviva a raffreddare il sangue, mentre a essere sede dei sentimenti era il cuore (e infatti per indicare un trauma emotivo si dice, ancora oggi, che “si spezza il cuore”, non certo il cervello).

E scopriremo anche l’approccio delle religioni con l’elemento sangue, approccio che – ne va tenuto conto – ha a che fare sia con i periodi storici, in cui le grandi religioni sono nate e si sono consolidate (e conseguentemente con le conoscenze ‘scientifiche’ di allora), sia con le prescrizioni igienico-sanitarie, da cui molti dei precetti religiosi più antichi derivano, anche in considerazione del fatto che le grandi fedi monoteiste sono nate in Medio Oriente, luogo in cui il grande calore rendeva indispensabile alcuni comportamenti, poi codificati negli schemi del culto, delle liturgie, dei sacrifici. L’antica concezione del corpo riveste un ruolo importante nel nostro ragionamento: se è il cuore a essere sede dei sentimenti e delle emozioni umane, anche il sangue assume un significato (verrebbe da dire un’importanza, un interesse) morale, ben prima che fisiologico. È una concezione che precede anche le religioni monoteiste e si perde nei millenni che precedettero la nascita di Cristo: tutti noi abbiamo bene in mente le immagini con cui, nelle tombe egizie, il dio Anubi dalla testa di sciacallo, assiste Horus e Thot nel pesare sulla bilancia il cuore del faraone defunto, ulteriore dimostrazione del fatto che la purezza interiore ha un preciso riscontro nell’elemento fisico rappresentato dal muscolo cardiaco che deve essere – moralmente – leggero quanto la piuma di Maat (e il luogo della pesa era infatti la ‘stanza delle due verità’ posta nel Duat, l’oltretomba della religione egizia). Proseguendo in questo filone potremo quindi incontrare numerose analogie linguistiche, lessicali, culturali, capaci di chiarirci alcune relazioni che potrebbero, a tutta prima, apparire oscure. Come non rimanere affascinati dalla dottrina della transustanziazione, attraverso cui, per i cattolici, il vino consacrato diventa vero sangue di Cristo? Come non cogliere il legame con la cultura ebraica, in cui il rapporto tra vita e sangue è così stretto che nel Levitico (Cap. 17, Versetto 11) è scritto che “La vita della carne è nel sangue”. Questo non è così stupefacente per l’osservatore odierno, sennonché questo tipo di relazione è codificato anche nella lingua, tant’è vero che se la parola ebraica per ‘uomo’ è ‘Adàm’ ecco che la parola sangue è ‘Dàm’ mentre la terra è ‘Adamàh’

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Find the cure

Un gruppo di medici fonda ambulatori e ospedali nella zona più povera dell’India.

Sangue caliente, sangue latino, sangue freddo, vino che fa buon sangue,

farsi il sangue cattivo, sangue che non è acqua. È comune utilizzare questa parola nei nostri giochi mentali, verbali, metaforici. cosicché appare in tutta evidenza la strettissima relazione tra l’uomo fatto attraverso la terra e in cui scorre il sangue (ovvero la vita, in ebraico ‘Chayym’). Da qui alla proibizione del sangue, comune a ebraismo e islam, il passo è breve. Sempre nel libro del Levitico il Signore proibisce di consumare il sangue poiché (il nesso è quindi causale) la vita della carne è nel sangue, come si diceva poco sopra. Lecito quindi spargere il sangue sull’altare quale sacrificio di espiazione (pratica interrotta con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, luogo sacro e unico in cui consumare i sacrifici) ma del tutto illecito cibarsene, perché non ci si può alimentare della vita altrui. Nell’Islam il sangue è invece elemento impuro anche perché proveniente dall’animale, che per il musulmano è creatura appartenente alla sfera dell’imperfezione (e il cibo è nella cultura islamica veicolo che può far passare da una condizione di purezza a una condizione di impurità) e può contaminare – se non opportunamente trattato – anche l’uomo: la Sura 5 del Corano contiene un richiamo preciso al divieto degli animali soffocati e quindi ancora contenenti il loro stesso sangue. Ma non faremo un viaggio unicamente nelle dimensioni del pensiero religioso o filosofico. Anche l’arte, come dicevamo, rappresenta un territorio di incredibile fascino in cui il sangue ha una propria peculiare rilevanza. Non occorre pensare soltanto a poeti quali Dylan Thomas o a scrittori come Abraham Stoker, ai fiumi

di sangue bollente di dantesca memoria o alle città infestate da vampiri come la ‘Salem’s Lot’ di Stephen King. Anche l’arte pittorica ha trovato nel rosso purpureo del sangue un veicolo perfetto per la proposizione dei propri simboli, basti pensare alla ‘Morte di Marat’ in cui Jacques-Louis David riesce con poche pennellate di rosso sul lenzuolo e sulla lettera che Marat ancora stringe fra le dita, a descrivere con grande potenza la vitalità e la forza perdute con la morte, costruendo un esempio di come le categorie iconografiche del sacro vengono, attraverso il sangue, trasmesse a un’opera totalmente laica, conferendo a Marat tratti cristologici proprio grazie alla ferita al costato trafitto e al fluido che ne sgorga. E come non accostarci alla ‘Decollazione del Battista’ in cui il Caravaggio, nel 1608, utilizzò proprio la pozza di sangue sgorgante dal collo di San Giovanni per imprimere la propria firma scarlatta sulla tela? Ci apprestiamo quindi a varcare il confine di un territorio immenso, non fatto di terre e nazioni ma fatto di simboli che evocano in ciascuno di noi ricordi lontani, legati tanto alla nostra istintualità quanto al retroterra della nostra cultura, non solo occidentale ma anche ebraica, ellenistica, cristiana. Un viaggio in cui incontreremo molti edifici, alcuni di facile accesso, altri più complessi e al contempo stimolanti. È il viaggio nella potenza dei simboli, che poi non sono altro che richiami, contenitori di una strana e affascinante forma di radioattività culturale che rimanda necessariamente a realtà altre, che conoscere può essere bello o anche solo divertente o rilassante. Non sarà comunque un viaggio da poco. Ivano Gobbato

Anche l’arte

pittorica ha trovato nel rosso purpureo del sangue un veicolo perfetto per la proposizione dei propri simboli.

Dopo sette anni di esperienza come medico volontario in Ghana, Tanzania, Madagascar, Nepal, Tibet e infine in India, si faceva strada in me l’idea di iniziare qualcosa in un area priva di aiuti umanitari trattando direttamente con la popolazione locale, senza intermediari. Percorsi così 6 mila km nella parte più povera dell’India del sud, incontrai un indiano unico e speciale, e un piccolo campo di palme da cocco a Kozhinjampara, una zona di confine tra il Kerala e il Tamil Nadu, un posto ideale per aprire un ambulatorio. Rientrato in Italia, lanciai la proposta. Con le firme di tre amici di sempre, sotto l’occhio di un notaio di Finale Ligure, nasce così Find the cure, comitato no profit in aiuto alle aree a basso livello di sviluppo. Raccolgo fondi con l’amico panettiere e tipografo, cene, foto, discorsi, manifestazioni; il preventivo per l’ambulatorio è di 15.000 euro, ne arrivano 18.000. Così il mese dopo si parte, in cinque tra medici e infermieri: nel campo di piante di cocco si traccia la perimetria dei muri e si pone la prima pietra, i lavori iniziano. Si creano i contatti, si cercano le strumentazioni, il personale, i farmaci, si trovano zone ancora più povere e non si può non far nascere un secondo, un terzo e un quarto progetto. Nell’attesa si lavora come medici nei villaggi, usando come ambulatorio la chiesa o la casa più grande. Si rientra e si continuano a raccogliere fondi. Arrivano il sito internet, le magliette solidali FTC, cene a ripetizione, non so come ma Find the cure cresce e cresce rapidamente. L’ambulatorio è quasi ultimato, manca il tetto e, già che sono lì, si traccia la perimetria e il primo muro di Project II, la casa per malati terminali a Nanguneri. L’India è un Paese che corre veloce, bisogna stare al suo passo altrimenti non ha senso fare dei progetti. Insieme a quelli piccoli nasce Project V, un ospedale per la cura del cancro: non è una scelta, è un obbligo, in tutto lo stato dell’Andra Pradesh ci sono solo due Centri di cura e, neanche a dirlo, sono a pagamento. Così si prova, d’altronde uno dei nostri motti è ‘Mordi più di quel che puoi masticare’. In più compriamo un piccolo furgoncino Maruti e inizia il programma per portare cibo e vestiti a casa dei in tutto lo stato più poveri, che non riescono neanche dell ndra radesh ci ad arrivare ai punti sono solo due entri di di aiuto. Tutto procecura e sono a pagamento de inaspettatamente bene (non avrei mai pensato che così tante persone sarebbero state pronte ad aiutare in maniera forte e spontanea), il fine è buono, il percorso divertente e la gente in questo viaggio davvero interessante. A ottobre si riparte, questa volta siamo in dieci, ma il lavoro è tanto, si inizia l’attività medica dell’ambulatorio di Kozhinjampara e della casa per malati terminali di Nanguneri. C’è da visitare nei villaggi, far fare la magliette FTC, progettare l’ospedale, portare il cibo alle case e tutto quello che si trova sulla strada insieme ai nostri ormai solidi amici missionari indiani, perché per noi è molto importante la meta ma in ugual misura il percorso, fatto di templi, sorrisi, medicazioni e calce, operazioni e frutti saporiti, fatto di una terra indiana povera e di una italiana che ancora sa dare molto. Grazie ancora a tutti quelli che con generosità e determinazione sono saliti su questo treno.

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news www.adosanpaolo.it ALTRE PASSIONI

Camminare fra cinque laghi La tratta lombarda del sentiero europeo E/1 può essere suddivisa in passeggiate in mezzo al verde... e al blu.

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a Federazione Europea Escursionismo nata nel 1969 a Stoccarda (D) ha progettato fin dagli anni ’70 una serie di sentieri escursionistici che attraversano in lungo e in largo tutta l’Europa favorendo il turismo pedestre. Due passano in Italia: l’E/1 dal confine svizzero a Genova e l’E/5 dal confine austriaco a Verona e Venezia. La Federazione italiana escursionismo che aderisce alla Fee, ha incaricato il suo Comitato Regionale Lombardo di disegnare il tratto di E/1 che va da Porto Ceresio (sul Lago di Lugano) al ponte di barche di Bereguardo (sul fiume Ticino). Con qualche contributo della Regione, un serio appoggio da parte dell’Ente Parco del Ticino e migliaia di ore di lavoro volontario, il Comitato regionale lombardo della Fie, e in particolare i membri dell’Associazione G.E.B. di Brivio (LC) diretti da Romeo Sala e Giorgio Mandelli, hanno disegnato, tracciato segnalato e contribuito a mantenere i 161 chilometri lombardi del sentiero europeo. Abbiamo proposto una parte di sentiero suddividendolo in 4 tratti. Il primo breve ma adatto a chi ha gambe e fiato perché prevede una discreta salita iniziale; il secondo brevissimo, una vera passeggiata; il terzo e il quarto pianeggianti ma lunghi.

Poco tempo, un po’ di fiato: dal Ceresio alla Val Ganna Quasi 18 chilometri di passeggiata nei boschi con un dislivello in salita di 650 metri di interesse panoramico e storico culturale: resti di fortificazioni militari nel tratto fino a Borgnana e sul monte Pianbello, il villaggio degli artisti di Boarezzo (con i murales sulle facciate delle case rappresentanti vecchi mestieri e usanze antiche) e a Ganna la Badia di San Gemolo che risale all’ XI secolo. Dall’imbarcadero di Porto Ceresio (275 m) si segue la provinciale che costeggia il lago in direzione 14

1° TRATTO

Partenza: Porto Ceresio Arrivo: Ganna Segnaletica europea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’. Segnaletica locale: Frecce direzionali in metallo con scritta ‘Sentiero Confinale’ e bandierine in vernice bianco/rossa con sigla ‘SC’ solo per il tratto fino a Cuasso al Monte. Difficoltà: Elementare Porto Porto Ceresio Ceresio ∆ dislivello totale in salita: 820 m Ganna ∆ dislivello totale in discesa: 635 m ∆ lunghezza percorso: 17,9 km ∆ tempo percorrenza: 5h 30’ Trasporti pubblici: Si raggiunge Porto Ceresio con treni da Milano e Varese o autobus da Varese. La Valganna è percorsa circa ogni mezz’ora da autobus che collegano Ganna a Varese. Chi lascia l’auto al punto di partenza può quindi ritornare da Ganna a Porto Ceresio con due autobus o con un autobus e un treno (il terminal bus di Varese è vicinissimo alla stazione di Trenitalia). Nord- Ovest. Dopo circa 500 metri, a un incrocio che a sinistra porta a Cuasso al Piano, si prosegue a destra e, dopo poche decine di metri (località Le Cantine), si abbandona la provinciale per seguire la mulattiera che sale a sinistra, inizialmente scoscesa, raggiungendo in breve delle trincee facenti parte di una linea di difesa costruita durante l’ultima guerra (segnavia locale: ‘Sentiero Confinale’). Si prosegue ora sulla vecchia strada militare fiancheggiando queste trincee, con punti di ottima veduta panoramica sulla sponda Svizzera del lago di Lugano, fino a giungere a un ampio spazio erboso (430 m c.a.). Abbandonando ora la linea fortificata e piegando a sinistra si attraversa il prato, raggiungendo una strada sterrata e seguendola a destra si raggiunge in breve la carrozzabile, con la quale si sale dapprima a Borgnana (470 m) dove, lasciando momentaneamente la carrozzabile, si sale a Cuasso al Monte (510 m). Abbandonando ora il segnavia locale ‘Sentiero Confinale’, si attraversa tutto l’abitato per imboccare una mulattiera che, salendo dolcemente nel bosco, porta al piccolo nucleo di S. Firino (790 m), dove si trova anche una chiesa diroccata. Si prosegue in falsopiano sino a un bivio (830 m) dove, piegando a sinistra, si raggiunge in breve la strada sterrata che, salendo da Cuasso al Monte, porta alla Bocchetta di Stivione. Proseguendo su quest’ultima, dapprima si sale in moderata pendenza e poi in falsopiano, con buona veduta panoramica, passan-

do dalla Bocchetta dei Frati, sino al Monte Piambello (1129 m). In realtà il sentiero passa poco sotto la cima, a quota 1095 m, ma con una piccola deviazione si può raggiungere la vetta. Dal bivio di Piambello, sempre mantenendosi sulla strada sterrata, che nella parte iniziale fiancheggia i resti di fortificazioni realizzate durante l’ultima guerra mondiale, si scende fino al Villaggio Alpino del TCI, da dove, proseguendo in parte sulla carrozzabile e in parte sui resti di vecchie mulattiere, passando dal caratteristico nucleo di Boarezzo e poi di Campubella, si giunge a Ganna (460 m) dove si trovano i resti del Priorato di San Gemolo (XI sec.).

Una breve passeggiata: Ganna - Brinzio Nemmeno quattro chilometri di passeggiata nei boschi in salita (in totale il dislivello è di 175 metri) con ottima

veduta panoramica; da segnalare il turistico-residenziale centro di Brinzio e l’Osservatorio Meteorologico di Campo dei Fiori con l’annesso Giardino Botanico. All’uscita dell’abitato di Ganna (460 m) si incrocia la provinciale proveniente dalla Valcuvia, che si segue a destra per poche decine di metri, per imboccare poi a sinistra una carrareccia pianeggiante che porta fino a un ponticello sul torrente Prà Lugano, affluente del lago di Ganna. Attraversato il ponticello, si prende a destra e si inizia a salire, in moderata pendenza, su una scoscesa mulattiera fino a raggiungere un costone a quota 660 m, che scende dal monte Marticca da dove, mantenendosi in un ombroso bosco si scende, raggiungendo da prima le baite di Valicci (635 m) e poi il torrente Valmolina che si segue (tenendo la destra idrografica) fino all’abitato di Brinzio (508 m).

2° TRATTO

Partenza: Ganna Arrivo: Brinzio Segnaletica europea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianGanna co con bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’. Brinzio Segnaletica locale: Bandierine in vernice gialla. Frecce direzionali in metallo con segnavia “3V” e bandierine in vernice bianco/ rossa. Difficoltà: Agevole ∆ dislivello totale in salita: 175 m ∆ dislivello totale in discesa: 127 m ∆ lunghezza percorso: 3,9 km ∆ tempo percorrenza: 1h 30’ Trasporti pubblici: Da Brinzio degli autobus permettono di tornare a Ganna. Ma vale la pena di ritornare a Ganna a piedi. Come detto Ganna è ben collegata da autobus a Varese.

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3° TRATTO

Partenza: Brinzio Arrivo: Gavirate Brinzio Segnaletica europea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’. Segnaletica locale: Frecce in metallo con segnavia 3V e bandierine in vernice bianco/rossa per il tratto Campo dei Fiori/Orino. Bandierine in vernice gialla con segnavia 1 per il tratto Pensione Irma/Forte Orino e segnavia 2 per tratto Forte Orino/Orino. Bandierine in lamiera e in vernice gialla con segnavia 10 per il tratto orino/Poggio della Corona. Gavirate Bandierine in vernice gialla con segnavia 13 per il tratto Poggio della Corona/Cà dei Monti. Difficoltà: Agevole ∆ dislivello totale in salita: 680 m ∆ dislivello totale in discesa: 850 m Trasporti pubblici: Chi non ha due macchine a disposizione farà meglio a percorrere l’itinerario nella direzione opposta. Si arriva facilmente a Gavirate in treno da Milano via Varese. Da Brinzio meglio percorrere a piedi altri quattro chilometri e raggiungere la Valganna dove in autobus è facile riguadagnare Varese e da lì (in bus o treno) Gavirate.

In mezzo ai boschi da Brinzio a Gavirate Tranquilla passeggiata nei boschi ricchi di funghi e di castagne, con ottima veduta panoramica nella parte iniziale, da notare i resti del Forte di Orino e gli abitati di Orino e di Gavirate. Attraversato l’abitato di Brinzio si imbocca la stradina antistante la chiesa e, superate alcune case, dopo un breve tratto pianeggiante, al primo bivio si mantiene la destra mentre poco oltre, nei pressi di un cippo eretto a ricordo dei Padri Passionisti, si imbocca la mulattiera centrale (segnavia locale n° 4 – poco distante sulla sinistra è situata la Fonte del Cerro) con la quale si inizia a salire, in accentuata pendenza, seguendo il corso del torrente Intrino (che si attraversa varie volte) fino a raggiungere il valico delle Pizzelle (926 m), dove si incrocia l’itinerario ‘Via Verde Varesina’ ovvero ‘3V’. Proseguendo ora in falsopiano, lungo il segnavia dell’itinerario 3V, si raggiunge prima la scala di manutenzione della ex funicolare e poi, dopo un tratto di ripida scalinata, il piazzale della stessa (1033 m). Trascurando ora le indicazioni dell’itinerario 3V, si segue a destra dapprima una strada sterrata e poi un ampio sentiero gradinato (realizzato per scopi militari dagli alpini durante l’ultima guerra) che porta fino alla piazzola antistante l’osservatorio militare del Monte Tre Croci da dove, seguendo la strada asfaltata, si scende alla Pensione Irma (1080 m) di Campo dei Fiori, una variante molto interessante è la visita all’Osservatorio Meteorologico (1225 m) da dove si gode un magnifico panorama che spazia dalle Alpi alla Pianura Padana (dalla pensione, l’Osservatorio si raggiunge seguendo le indicazioni dell’itinerario 3V). Dalla pensione (1080 m) si segue la strada carrozzabile che sale verso l’Osservatorio Meteorologico di Campo dei Fiori fino al cancello che ne delimita i confini. Piegando ora a

sinistra si imbocca una strada sterrata (segnavia locale n° 1 e 3V) che, con un lungo falsopiano, porta verso Forte Orino. Poco sotto il Forte (1110 m) si abbandona la strada per proseguire diritti su un sentiero (segnavia locale n° 3 e 3V) che, dopo un breve tratto pianeggiante, in località la Colma, scende rapidamente nel bosco lungo un costone fino a raggiungere il Pian delle Noci (714 m); qui, si incrocia una mulattiera, la si segue a sinistra e nell’ombroso castagneto si scende fino ad Orino (430 m), noto centro di villeggiatura. Appena entrati nell’abitato, si piega a sinistra e, seguendo dapprima la via Gorizia e poi una carrareccia, si raggiunge il campo sportivo e l’adiacente vivaio del Corpo Forestale (480 m). Da qui, seguendo anche le indicazioni del segnavia locale n° 10 si prosegue dapprima in falsopiano e poi in moderata salita verso Prà Camerèe, raggiunta la sella del Monte Morto (670 m), trascurando il sentiero di sinistra che porta verso Forte Orino e quello diritto che sale verso il Monte Morto, si segue il sentiero a destra e, dapprima in leggera discesa e poi in falsopiano, si attraversa tutto il Poggio della Corona sino a giungere al Piano di Caddè dove si incrocia il segnavia locale n° 13 (585 m). Seguendo quest’ultimo lungo la mulattiera a destra, per diversi tratti alquanto sconnessa, si scende dapprima a Cà dei Monti (335 m) e poi a Gavirate (266 m).

sentiero entro la brughiera. Si prosegue in direzione Bregano passando sul margine destro della palude e sul margine sinistro della stessa località. Si continua su straducole campestri passando in margine a Biandronno si prosegue verso Travedona, ma all’altezza di Salvario (Faraona) con deviazione a sinistra e si entra nel bosco per raggiungere Nocciolaro e proseguire sul colle passando in fianco alla cava di gesso, nel piccolo nucleo di Pacit, alla cava di pietra, altezza massima del percorso m 370 slm. Si ridiscende con andamento estovest fino alla periferia sud di Trave-

Partenza: Arrivo: Segnaletica europea: Segnaletica locale: Difficoltà:

Gavirate Somma Lombardo Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’. nessuna Facile Gavirate

Una lunga camminata verso il Ticino: Gavirate-Somma Lombardo Un tratto lungo ma piano, per la massima parte, in margine ai piccoli laghi prealpini di Varese in una zona cosparsa di magnifiche ville e giardini sviluppatisi principalmente nell’ultimo cinquantennio. Dal centro di Gavirate, quota 267 slm, lungo la strada provinciale n° 18 si raggiunge Bardello dove, con deviazione a sinistra, si entra con un

dona/ Monate ove si prende la strada comunale per Osmate passando sul margine sud del lago di Monate. Prima di raggiungere il paese, alla cascina S.Giorgio si lascia la strada asfaltata e si prende un sentiero agricolo in direzione sud entrando nel Parco del Ticino. Si passa in margine a Lentate Verbano, Santa Fé per entrare nel paese di Oriano Ticino. Si prosegue, sempre su sentiero, passando oltre la linea ferroviaria Gallarate-Domodossola, si attraversa la S.S. n° 33 e, sempre proseguendo verso sud e in margine a Golasecca, si raggiunge il fiume Ticino a Porto Torre (Somma Lombardo) in corrispondenza del ponte sul fiume stesso a quota m 195 slm.

∆ dislivello totale in salita: 109 m ∆ dislivello totale in discesa: 171 m ∆ lunghezza percorso: 35,4 km ∆ tempo di percorrenza: 10h 00’

4° TRATTO

Porto della Torre

Trasporti pubblici: Sia Gavirate sia Somma Lombardo sono ben collegate alla linea Gallarate-Varese. Visto che la passeggiata è lunga però si possono abbreviare i tempi scendendo in treno alla stazioene di Travedona (vicina alla località Faraona) sulla linea Gallarate-Laveno. Da Somma Lombardo frequenti autobus raggiungono Gallarate.

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EDITORIALE

Cittadini con sangue blu (o meglio, rosso) Come un coltellino svizzero, anche il concetto di sangue si presta a mille usi: metafore, locuzioni e modi di dire onnipresenti. Alcuni solo assolutamente contraddittori. Penso all’idea di ‘sangue’ come sinonimo di ‘razza’ o addirittura di ‘nobiltà’ (il famoso sangue blu). Nulla di più lontano dalla realtà. Tutti gli essere umani condividono lo stesso tipo di sangue. I gruppi sanguigni non sono compatibili ma nulla impedisce a un eschimese di donare sangue a un indiano o un europeo a un africano. Il sangue è trasversale, non ha partito, non ha razza, non ha religione, non ha geografia. Per tutti il sangue è vita. In molte cose il sangue assomiglia all’acqua (un altro detto sbagliato è ‘il sangue non è acqua’). Il sangue come l’acqua è vita. È l’ambiente interno nel quale ci muoviamo tutti. Per questo chi dona sangue dona ciò che più può essere donato, che è più intercambiabile. Dona futuro a chi lo riceve, dona qualcosa di essenzialmente umano perché è proprio di tutti gli umani. Donare sangue è un grande atto di civiltà, è un modo di stare in questo mondo. Il sangue e i suoi derivati possono viaggiare e viaggiano da una parte all’altra del mondo. È questa la globalizzazione che mi piace, quella del dono e non del profitto. Di ciò che è essenzialmente, grandemente, umano e non delle merci. Donare sangue è un gesto che con una parola antica potremmo definire nobile: generoso, disinteressato. In questo senso chi dona il sangue è nobile ha il sangue blu, proprio perché ha ceduto il suo rosso dono. M  ario Rozza

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ADOnews Febbraio 2008

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