Giordano Bruno

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Un pensatore amante della conoscenza intesa come libera ricerca: Giordano Bruno a cura di Gael Sirello1

Giordano Bruno fu certamente una figura inquieta, ricca di arditezze filosofico-matematiche e di contrasti. La sua esistenza fu un frequente mutare, un cambiamento continuo che lo portò ad interessarsi non solo di filosofia naturale, ma anche di mnemotecnica, cosmologia e moralità. Egli riconobbe alla religione una certa legittimità come guida della condotta pratica, soprattutto di quanti non possono o non sanno elevarsi alla filosofia. La dottrina della doppia verità, propria dell’averroismo e che si appoggiava nel Rinascimento, gli valse come giustificazione di fronte a se stesso. Il suo pensiero ha radici assai complesse: la sua speculazione fonde elementi che riecheggiano già in Lucrezio, Raimondo Lullo, Niccolò Cusano, Marsilio Ficino e Copernico e infatti vi si ritrovano gran parte dei motivi che nel Cinquecento animarono la filosofia della Natura, la teoria del Cielo e le idee sulla conoscenza. Rispetto agli altri pensatori, per Bruno, il termine «filosofo» assume un significato ben preciso: «filosofo» significa innanzitutto indipendenza del pensiero dalle credenze delle confessioni ecclesiastiche, sia cattoliche sia «riformate». Durante il lungo processo durato dal 1592 al 1600, anno durante il quale fu arso vivo sul rogo, Bruno dichiarò «ho sempre parlato da filosofo», in modo da sottolineare il senso di libertà che spesso emerge nelle sue principali opere e che gli costò, tra l’altro, la condanna del Tribunale dell’Inquisizione Romana nel 1600. Filosofare significa dunque per lui lottare contro i limiti e le angustie che stringono l’uomo da ogni parte e perciò

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a.s. 2010/11- frequenta la classe 4 sez. F del Liceo Linguistico «G.Chiabrera» di Savona Componente del gruppo tecnico di progettazione del Polo di Filosofia della Provincia di Savona 1

raggiungere una visione del mondo per la quale questo sia non più un limite per l’uomo, ma il dominio della sua libera espressione.

Quest’indipendenza è costante nel pensiero di Bruno: edificato arditamente, ricco di intuizioni preziose per il futuro, esso è costantemente critico e polemico, contro qualcosa di chiuso e dogmatico, ma, al contrario, per ciò che è aperto e libero. Si oppone alle particolari confessioni ecclesiastiche, ma è propenso ad una religiosità pura, universale, la cui natura filosofica sia di stampo neoplatonico. Naturalmente, il suo pensiero, libero e critico, lo porta a contrastare ben presto l’aristotelismo, la cui logica spesso viene considerata metafisica, ed a criticare le pratiche dell’alchimia e della magia per lodare una scienza più operativa e contemplativa. Ma una delle principali peculiarità del corpus delle opere di Bruno è sicuramente l’amore per la vita nella sua dimensione dionisiaca, nella sua infinita espansione. E fu principalmente per questo motivo che decise di abbandonare il chiostro, che egli stesso chiamò in un sonetto «prigione angusta e nera» 2 e che contribuì a fargli nutrire quell’odio nei confronti di tutti i grammatici pedanti, gli accademici e gli aristotelici che facevano della cultura una pura esercitazione libresca, distogliendo di conseguenza lo sguardo dalla Natura e dalla vita. Questa nuova filosofia, che può essere considerata una tappa che porta da Cusano a Spinoza, sembra adottare come suo scopo quello di negare tutto ciò che è ottuso e pedante, per cercare di parlare indiscriminatamente a tutti, per «volgarizzare» le libere conquiste filosofiche e di tradurne in senso in una forma accessibile, fuori dal tecnicismo imposto dal latino che spesso incideva negativamente sulla diffusione di contenuti e dottrine filosofiche. Bruno infatti scriverà le sue numerose opere in due lingue: il contrastato latino e l’italiano accademico, in due stili ben distinti, quello paludato e quello espressivo. Ispirato profondamente dall’ipotesi astronomica di Copernico e dal filosofo neoplatonico Cusano, benché questo avesse sempre presentato il mondo come «emanazione» divina o crea

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Opp. it. I, 285 2

zione e come riflesso di Dio, Bruno configura l’universo come infinito, poiché ritiene che in esso si possa spiegare «infinitamente» l’Infinità di Dio, insistendo sulla sua trascendenza e incomprensibilità. Ciò che domina il suo pensiero sin dalle prime opere è sicuramente infatti la figura di Niccolò Cusano, riscoprendone per intero la grandezza ed ispirandosene nel De Umbris Idearum (1582), in particolare modo nella trattazione di temi della filosofia neoplatonica, panteisticamente intesa (e ripresi dal De coniecturis di Cusano). Bruno porta fin dal principio la sua indagine sul mondo naturale e rinuncia ad ogni speculazione teologica.

«[...] Non si richiede al filosofo naturale, egli dice che ammeni tutte le cause e i principi, ma le fisiche sole, e di queste le principali e le proprie [...]».

[Giordano Bruno, De Causa, Principio et Uno, II, Opp. it., I, 175]

Utilizzando il principio neoplatonico della trascendenza e inconoscibilità di Dio, egli respinge la divinità come tale fuori dal raggio della sua indagine. A Dio infatti non si può risalire dai suoi effetti, poiché egli è al di sopra delle conoscenze umane. È quindi più meritorio starsene alla rivelazione anziché tentare di conoscerlo3.

«[...] Consideriamo del principio e causa per quanto in vestigio o è la natura stessa, o pur riluce nell’ambito o grembo di quella [...]».

[Giordano Bruno, De Causa, Principio et Uno, II, Opp. it., I, 177]

Secondo Bruno, Dio in quanto oggetto di filosofia, non è la sostanza trascendente di cui parla la rivelazione, ma è la natura stessa nel suo principio immanente. In questo senso, egli è la causa e

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Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. 2, pag. 136, UTET, Torino, 1946. 3

il principio del mondo: causa, poiché determina le cose che costituiscono il mondo, rimanendo distinto da esse; principio, poiché costituisce l’essere stesso delle cose naturali. Egli è considerato anche l’artefice delle cose interne e non solo causa intrinseca di esse, che dirige e governa. «[...] La natura o è Dio stesso o è la virtù divina che si manifesta nelle cose stesse».

[Giordano Bruno, Summa term. met., in Opp. lat., II, 101]

Bruno traccia una distinzione fra Dio e il mondo. Egli dice anche, usando le espressioni di Niccolò Cusano, che Dio è l’infinito complicatamente e totalmente, mentre il mondo è l’infinito explicatamente e non totalmente. Ma il suo pensiero tende sempre ad attenuare queste distinzioni o a sintetizzare le «antitesi». «[...] Io dico Dio tutto infinito, perché da se esclude ogni termine e ogni suo attributo è uno e infinito; e dico Dio totalmente infinito perché tutto lui è in tutto il mondo ed è in sua ciascuna parte infinitamente e totalmente: al contrario dell’infinità la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti, se pur, referendosi all’infinito, possono essere chiamate parti che noi possiamo comprendere in quello».

[Giordano Bruno, De Infinito, Universo et Mondi, I]

L’Unità infinita si espande nel mondo finito e ogni cosa finita trae dall’infinita Unità quanto vi è di veramente reale; tutto ciò che è finito è, a confronto con l’Unità, una semplice ombra, positiva, sebbene non sia la Realtà assoluta. «[...] E se vogliamo del spacio prendere la sola superficie, bisogna che si vada cercando in infinito un loco finito». [Giordano Bruno, De Infinito, Universo et Mondi, I, 4]

Quest’ombra procede dalla Realtà infinita, ed è la Realtà infinita a costruire come positivo ogni finito, quale contrazione individua dell’Infinito. In ogni punto è Dio, Unità infinita, trascendente e incomprensibile, che si svela e imparenta fra tutti i punti del mondo, positivi e negativi, tutti ordinati nel rapporto che li lega a Lui. 4

A tal proposito Bruno concorda con Niccolò Cusano nel dire che «fra tutte le cose c’è connessione e che l’universo intero è un ordine unitario, che un’Unità sola lo governa». Così Bruno spiega il mondo nel dialogo tra Filoteo e Fracastoro: «[...] Il mondo sarà qualcosa che non si trova. Se dici che estra il mondo è uno ente intellettuale e divino, di sorte che Dio venga ad esser luogo di tutte le cose, tu medesimo sarai molto impacciato per farne intendere come una cosa incorporea, intelligibile e senza dimensione possa esser luogo di cosa dimensionata. Che se dici quello comprendere come una forma ed al modo con cui l'anima comprende il corpo, non rispondi alla questione dell'estra ed alla dimanda di ciò che si trova oltre e fuor de l'universo». [Giordano Bruno, De Infinito, Universo et Mondi, II, 1]

E così viene criticata la spiegazione del mondo secondo lo Stagirita «Ove è il mondo? ove è l'universo? Risponde Aristotele: è in se stesso. [...] Or che vuoi dir tu, Aristotele, per questo, che «il luogo è in se stesso?«, che mi conchiuderai per «cosa estra il mondo?«. Se tu dici che non v'è nulla; il cielo, il mondo, certo, non sarà in parte alcuna [...]».

[Giordano Bruno, De Infinito, Universo et Mondi, I, 6]

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Bruno trasse inoltre molteplici conclusioni speculative con sorprendente audacia dalle

teorie di Copernico e le sue idee agirono da stimolo su altri pensatori. Egli immaginò una moltitudine di sistemi solari nello spazio illimitato:

«Io dico l’universo tutto infinito perché non ha margine, termine né superficie; dico l’universo non essere totalmente indefinito, perché ciascuna parte di quello che possiamo prendere è finita, e de mondi innumerabili che contiene, ciascuno è finito».

[Giordano Bruno, De Infinito, Universo et Mundi, I]

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Il Sole è una stella fra le altre e non occupa una posizione privilegiata. In effetti, ogni giudizio sulla posizione di un pianeta è per Giordano Bruno estremamente relativo. Si deduce di conseguenza che nessuna stella o pianeta può dirsi in senso assoluto «centro» dell’Universo. I sistemi solari nascerebbero e perirebbero continuamente, ma tutti insieme andrebbero a costituire un grande sistema in sviluppo, cioè un unico organismo animato dall’anima del mondo. Egli respinge di conseguenza radicalmente una visione meramente geocentrica ed antropocentrica dell’Universo, sia dal punto di vista astronomico, sia a maggior ragione da quello più ampio della filosofia speculativa. Nel suo sistema la natura sarebbe infatti come un tutto organico che occupa il centro del «quadro», e non gli esseri umani, che considera circostanzie dell’unica sostanza vivente del mondo. L’accento della speculazione di Bruno batte su ciò che assimila l’uomo a Dio, non su ciò che lo distingue. Egli apprezza ed esalta nella condizione umana tutto ciò che spinge l’uomo ad adeguarsi alla natura di Dio.

Nell’età dell’oro, quando l’uomo viveva in ozio, non era più virtuoso delle bestie e forse lo si poteva ritenere più stupido di alcune di esse. La povertà, le necessità e le difficoltà hanno acuito il suo ingegno e contribuito a far suscitare dal profondo dell’intelletto umano nuove e meravigliose invenzioni. Solo in questo modo, infatti, l’uomo esiste veramente e si conserva «Dio della natura» 4. La potenza intellettiva dell’uomo, tuttavia, non s’appaga di una cosa finita e tende alla fonte della sua sostanza, che è l’infinito della natura e di Dio. Qui è la più alta dignità dell’uomo che non è inghiottito dall’infinito naturale, ma può comprenderlo, farlo suo e riconoscere in esso il segno più certo della sua natura divina.

Dio è chiamato Naturans naturans in quanto è considerato come distinto dalle sue manifestazioni, mentre viene chiamato Natura naturata quando viene considerato nel suo manifestarsi. Questo può essere considerato uno degli aspetti monistici della filosofia di Bruno, che per certi aspetti anticipa quella di Spinoza e la monadologia di Leibniz. 4

Giordano Bruno, Spaccio, III, in Opp. it., II, 152 6

Nell’ultima fase del suo pensiero Bruno infatti riformulò la sua visione del mondo in termini neopitagorici, ponendo alla base di tutto il «triplice minimo» (aritmetico, geometrico e fisico), cioè l’atomo o la monade, e facendo derivare da esso la diade, la triade, la tetrade fino alla decade, secondo un simbolismo matematico universale. La formulazione di tale pensiero contribuì non poco a separare ulteriormente Bruno dal cristianesimo, in quanto la sua visione era strettamente associata al monismo (per alcuni da considerare una forma di panteismo5 ).

Pur consapevole della diversità teorica tra la sua filosofia ed il cristianesimo, egli non abbandonò mai il pluralismo a favore del monismo: di fatto continuò a credere nel Dio trascendente, ritenendo che la filosofia tratti la natura e, conseguentemente, che la teologia negativa non sia la sola a poter indagare su Dio, considerato in se stesso. Con ciò possiamo constatare che non si può considerare propriamente «panteistica» la visione di Dio secondo Giordano Bruno, il quale rimane ancor oggi uno dei filosofi più complessi dell’età post rinascimentale. Egli suscitò la disapprovazione e l’ostilità non solo dei teologi cristiani, ma anche di quelli calvinisti e luterani, e la sua infelice fine fu dovuta probabilmente non solo al fatto di aver sostenuto indirettamente la teoria copernicana, che si scontrava duramente con alcune verità indiscusse del cattolicesimo, né per aver criticato la scolastica aristotelica, ma per aver chiaramente negato alcuni dogmi teologici fondamentali. Egli fece infatti un tentativo di giustificare il suo pensiero non ortodosso con una specie di teoria della «doppia verità», ma la sua condanna per eresia è perfettamente comprensibile6, checché si pensi alla punizione materiale che gli fu inflitta.

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Cfr. Enrico Berti, Storia della Filosofia Dal Quattrocento al Settecento, Editori Laterza, Roma, 1991, pag. 48

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Frederick Copleston, Storia della Filosofia, vol. III, p. 376, Ed. Padeia, Brescia, 1966 7

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. 3, UTET, Torino ,1946 Franco Alessio, Filosofia Moderna, vol. 2, Zanichelli, Bologna, 1992 Enrico Berti, Storia della Filosofia Dal Quattrocento al Settecento, Editori Laterza, Roma, 1991 Giordano Bruno, De la causa, principio e uno De l’infinito, universo e mondi Frederick Copleston, Storia della Filosofia, vol. 3, Ed. Padeia, Brescia, 1966 Gabriele Giannantoni, La Razionalità Moderna, vol. 2, Loescher Editore, Torino, 1992

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